Anno Accademico 2021-2022
Vol. 66, n° 2, Aprile - Giugno 2022
ECM: Cuore Polmone 2021-2022 - V Edizione
08 febbraio 2022
ECM: Cuore Polmone 2021-2022 - V Edizione
08 febbraio 2022
Versione PDF dell'articolo: Download
Introduzione
La Fibrosi Polmonare Idiopatica (IPF) è una malattia polmonare progressiva, su base infiammatoria, caratterizzata da una risposta scarsamente efficace alla terapia, e da una prognosi infausta, con una sopravvivenza dopo la diagnosi variabile dai due ai cinque anni, ed un tasso di sopravvivenza a cinque anni del 30-50%1.
Sebbene nella maggior parte dei pazienti la IPF si presenti con un decorso gradualmente progressivo, si è visto che ogni anno il 10-20% circa di pazienti IPF va incontro ad un peggioramento acuto della dispnea non riconducibile ad una causa nota, in presenza di nuove alterazioni radiologiche alla tomografia computerizzata ad alta risoluzione (HRTC) del polmone (addensamenti bilaterali a tipo "ground glass"/consolidazioni) su un aspetto ("pattern") di Usual Interstitial Pneumonia (UIP)2.
Descritta inizialmente nel 1993 da Kondoh et al.3 quale distinta entità nosografica, la Fibrosi Polmonare Idiopatica riacutizzata (AE-IPF) nel 2007 è stata proposta come “an unexplained new or worsening shortness of breath within the past 30 days, along with new lung infiltrates and exclusion of any reversible and recognizable etiology causing lung injury”4.
Una diagnosi d’esclusione, dunque, che si avvale in primis della HRTC del polmone, associata al lavaggio bronco-alveolare (BAL), quando non all’ecocardiogramma, al peptide natriuretico atriale e al Dimer test2. Secondo tale definizione viene distinta in “idiopatica”, allorché non possa esserne identificata alcuna causa cosiddetta “estrinseca” (quali, tra le più comuni, l’insufficienza cardiaca, le infezioni, la biopsia o la trombo-embolia polmonare), ovvero secondaria ("triggered") alle più diverse cause, quali a es. il fumo di sigaretta (con il rischio di enfisema) ed il reflusso gastro-esofageo2. Tuttavia per le difficoltà a definirne l’etiologia, come dimostrato da numerosi studi che ne descrivevano l’aspetto e la prognosi comuni (quando non sovrapponibili) ad altri fattori causa di peggioramento dei sintomi, ed in assenza di specifici fattori precipitanti, è stato enfatizzato il ruolo diagnostico della clinica, accoppiata all’aspetto di "danno alveolare diffuso" (DAD) presente alla HRTC5.
Aspetti istologici
L'aspetto distintivo della AE-IPF è il DAD su un pattern istologico di malattia interstiziale a pattern UIP1-5. La perdita dell'unità alveolare con ammassamento degli alveoli e conseguente alterazione della fisiologica distensibilità del parenchima polmonare nella Fibrosi Polmonare fu evidenziata già da Gibson e Pride fin dal 19776.
Tale pattern istologico si osserva di solito anche nei pazienti con "Acute Respiratory Distress Syndrome" (ARDS)7. DAD ha 2 fasi: una fase essudativa iniziale (acuta) seguita da una fase proliferativa dei fibroblasti, che evolve in fibrosi. Il danno iniziale è a carico della matrice extracellulare (ECM) con conseguente distruzione dell'architettura polmonare a livello dei setti inter-alveolari, per fenomeni infiammatori dovuti ad accumulo di neutrofili (oltre che di monociti ed eosinofili) e di macrofagi alveolari, questi ultimi verosimilmente conseguenti a ripetuti micro-traumi ("microinjuries") delle cellule epiteliali di I tipo (Pneumociti I). L’infiammazione cronica e l’ipossia costituiscono forti stimoli alla neo-angiogenesi8.
Infatti processi riparativi ("anarchici") conseguenti al coinvolgimento delle cellule epiteliali di II tipo (Pneumociti II) (apoptosi ed attivazione dei fibroblasti con differenziazione in mio-fibroblasti) conducono a distruzione della normale architettura del polmone con rimodellamento della stessa ed evoluzione in fibrosi9.
Nella patogenesi della IPF svolge un ruolo determinante anche l'opsonizzazione microbica del surfactante alveolare prodotto dai Pneumociti II, cui consegue aumento della tensione superficiale; il che favorisce il fenomeno di collasso alveolare10.
Fenomeno peraltro riscontrato dalle alterazioni quali-quantitative della frazione fosfolipidica nel liquido di lavaggio broncoalveolare11.
La fisiologica omeostasi polmonare è assicurata dal ruolo di protezione contro i suddetti fenomeni di fibrogenesi svolto dal Vascular Endothelial Growth Factor (VEGF) sulla membrana capillare alveolare12.
Si ricorda qui peraltro come il VEGF sia indiretto responsabile dell'ipossia da "mismatch" ventilo/perfusorio (VA/Q) conseguente alla perdita del riflesso di vaso-costrizione ipossica13 dovuto verosimilmente, quest'ultimo, al danno del Pneumocita II14.
La lesione della membrana alveolo-capillare è considerata peraltro parte integrante della patogenesi della ARDS, della Polmonite da Ipersensibilità (“alveolite allergica estrinseca”) e della Sclerosi sistemica, sebbene attraverso meccanismi patogenetici per alcuni versi differenti. Inoltre è riconosciuto il ruolo protettivo del VEGF nei confronti dell'integrità dell'endotelio polmonare, attraverso un meccanismo non-cellulo-mediato15.
Proprietà meccaniche del polmone fibrotico
La relazione esistente tra pressione di insufflazione e volume polmonare è rappresentata dalla curva pressione/volume (o curva della compliance). Questa curva ci dice quale pressione è necessaria ad ottenere un dato volume polmonare, ed è misura del lavoro della respirazione (“work of breathing”: WoB)16.
Nella Fig. 1 è rappresentata la curva della compliance polmonare ("lung compliance": CL) e della gabbia toracica ("chest-wall compliance": CCW) rispettivamente, in inspirazione (I) ed espirazione (E). Modificazioni della meccanica respiratoria si verificano precocemente nella storia naturale del paziente con IPF, essendo strettamente correlate all’insorgenza e all’evoluzione della fibrosi17.
|
Nella fibrosi polmonare, la capacità polmonare totale (CPT) diminuisce per l’aumento della forza di retrazione elastica (“lung elastic recoil”) del parenchima(a). Anche la capacità funzionale residua (CFR) è determinata dalle opposte forze di retrazione del polmone e della gabbia toracica. Ad es., la CL, misurata in 31 pazienti con IPF aventi in media una Capacità Vitale (CV) di 79±17% del predetto, risultava fortemente ridotta (44±6% pred: v.n. 285±105 mL·cmH2O−1), correlandosi strettamente alla CV e CPT, ma non alla DLCO18.
Correlazione peraltro descritta da Nava e Rubini (Thorax 1999) in 7 pazienti con “end stage” IPF che necessitavano di ventilazione meccanica (VM), presentando una CL dinamica (misurata cioè sull’intero ciclo respiratorio) di appena 19±2.4 mL·cmH2O−119.
L’effetto dell'aumento della forza di retrazione polmonare (determinata dalla trasformazione delle fibre elastiche in fibre connettive, non distensibili), con conseguente riduzione della compliance polmonare, si traduce nello spostamento a destra della curva pressione-volume (Fig. 2). Ne consegue che il WoB è molto aumentato. Va considerato altresì il modello ventilatorio del paziente fibrotico che respira a bassi volumi ed alte frequenze a causa delle proprietà meccaniche. L'incremento della frequenza respiratoria comporta altresì un incremento della pressione di ritorno elastico, dal momento che, all'aumentare della frequenza, la stessa quantità di aria si distribuisce in un volume polmonare più piccolo; il che comporta un incremento del WoB, sia di tipo elastico20 (per vincere l'"elastic recoil"), sia di tipo flusso-resistivo a carico delle vie aeree21, (b).
Nella Fig. 3 è rappresentato il WoB globale (del polmone e della gabbia toracica) durante inspirazione. Non viene evidenziato il WOB in espirazione poiché essendo questo assicurato dal "elastic recoil" (rispettivamente del polmone e della gabbia toracica) è pertanto di entità trascurabile22.
|
|
Ventilazione Meccanica nel trattamento del paziente con AE- IPF
L'insufficienza respiratoria terminale è la prima causa di morte nell'IPF23.
Nella AE-IPF l'insufficienza respiratoria acuta (ARF) (causa principale di ricovero ospedaliero), rende necessario intraprendere la VM per ridurre il WoB, oltre che per correggere i gas ematici.
La posizione che al riguardo assumeva nel 2011 la ATS/ERS/JRS/ALAT, secondo la quale l’impiego della VM nei pazienti IPF era sconsigliato, se non in casi particolari e solo per pazienti in attesa di trapianto (testualmente: "... mechanical ventilation should not be used in the majority of patients with IPF, but may be a reasonable choice in a minority. ."...Moreover....."Noninvasive positive pressure ventilation may be appropriate in some patients. In rare circumstances, mechanical ventilation may be appropriate as a bridge to lung transplantation."), si fondava su due assunti: la prognosi infausta e la coesistenza della destrutturazione dell’architettura parenchimale e delle cause di ARF; aspetti entrambi irreversibili e progressivi1. Inoltre, la disomogeneità dell'architettura polmonare (“patchy lesions”), simile per molti aspetti a quella dell’ARDS, nonché la necessità di impiegare alti flussi ventilatori al fine di massimizzare il reclutamento alveolare, elevano di molto il rischio di baro/volu-trauma. Ciò poiché i flussi erogati vanno inevitabilmente ad insufflare le poche aree polmonari ancora aperte agli scambi, con la conseguenza di un’iper-inflazione delle stesse, come si ha notoriamente nel polmone con ARDS. Nel polmone fibrotico, peraltro, la distribuzione irregolare delle lesioni, fa sì che la CL non sia omogenea su tutto il polmone, ma sia maggiormente ridotta nelle regioni declivi, dove l’insufflazione di gas in corso di VM non arriverà, se non in misura molto ridotta (meccanismo del “pendelluft” alveolare)(c) (Fig. 4, 5) come dimostrato su animali da esperimento a mezzo aerosols marcati con il Radio-Tecnezio9924. Nell’ARDS, peraltro, il polmone non è rigido, ma essendo la sua funzione sostenuta da poche aeree reclutabili, può essere assimilato ad un polmone "piccolo" ("baby lung")25, e per certi aspetti ascrivibile al disordine dell’architettura polmonare propria della polmonite da Covid-1926.
|
|
Infatti, differentemente da quanto si verifica per il polmone con IPF, recenti studi effettuati su polmoni colpiti da ARDS hanno dimostrato che la compliance non è una funzione inversa della quota di tessuto non aerato; viceversa si correla direttamente alle aree polmonari ben aerate. Pertanto la compliance misura solo le aree polmonari che ricevono gas. Ne consegue che il polmone nell'ARDS non è rigido, ma essendo la sua funzione sostenuta da poche aeree reclutabili, può essere assimilato ad un polmone "piccolo" ("baby lung")25.
Il che non implica necessariamente che le aree che partecipano agli scambi siano sane, ma solo che siano coinvolte nella ventilazione, purché non sia presente una fibrosi o un deficit del surfactante. Ne è conseguito che la modificazione della distribuzione dei gas nel passaggio dalla posizione supina a quella prona ha portato a sviluppare il concetto di "baby lung funzionale"26.
Quanto al diverso andamento della curva di CL nel polmone con IPF rispetto a quello con ARDS, occorre considerare che nel primo (IPF) l'assai consistente componente fibrotica (che determina lo "stress" alveolare, ove venga sottoposta a una forza traente sul parenchima) si traduce in un aspetto rettilineo, senza punti di flessione, come invece si verifica nell'ARDS, ove la presenza di aree polmonari ancora distensibili (e quindi reclutabili alla ventilazione) genera i 2 punti di flessione: inferiore ("low inflection point": LIP) e superiore ("upper inflection point": UIP). Nella Fig. 6 il sistema di fibre elastiche e connettive nel polmone normale, nell'enfisema e nell'ARDS/Fibrosi che ne caratterizzano la curva P/V (compliance): in evidenza il cosiddetto "punto di flesso" (inferiore) sulla linea della compliance27. La distorsione dell'architettura polmonare o "strain" (quale si ottiene dal rapporto tra volume corrente ("Tidal Volume": TV) e CFR e lo "stress" (rappresentato dalla pressione trans-polmonare) agiscono entrambi come ("stress raiser") a livello dell'interfaccia tra unità polmonari aperte e chiuse28. Tali forze, applicate alla ECM cui sono ancorate sia le cellule epiteliali che le endoteliali, a causa della distorsione che determinano sulle stesse, inducono la liberazione di citochine infiammatorie, così segnando il passaggio dal volu/baro-trauma al bio-trauma29, 30. Quanto esposto costituisce il meccanismo patogenetico del danno polmonare da ventilazione meccanica (“ventilator induced lung injury”: V.I.L.I.)31, 32.
|
Il suggerimento dell’ATS/ERS/JRS/ALAT di non ventilare in caso di IPF veniva peraltro confermato dall’esito sfavorevole (“ventilatory failure”) della VM attuata prevalentemente per via invasiva (iMV: “invasive mechanical ventilation”) previa intubazione oro-tracheale, se effettuata con alti TV [12 ml/kg di peso corporeo "predetto": (PBW)] e PEEP fino a 15 cmH2O33-36.
Pur se la AE-IPF è una condizione, clinicamente e dal punto di vista isto-patologico, simile all'ARDS37, tuttavia, a causa della ridotta percentuale di aree polmonari reclutabili, a differenza dall'ARDS, nei pazienti con AE-IPF sottoposti ad iMV, una “open lung strategy”, con alti livelli di Pressione Positiva di Fine Espirazione (PEEP) (>10 cm H2O), può peggiorare il VILI; il che lo si deve ad un danno da iper-distensione polmonare conseguente agli alti livelli di Pressione di Plateau che si vengono ad instaurare, oltre che alla riduzione della compliance del sistema respiratorio (polmonare e della gabbia toracica)35.
Infatti l’impiego di valori più bassi di TV [7 - 9 ml/kg di PBW)], con un limite di pressione inspiratoria (Pi) di 40 mmHg e con un livello di PEEP impostato secondo un test per raggiungere la miglior ossigenazione (in media dai 5 ai 15 cmH20), ha dato risultati scoraggianti, sia a causa dell’insorgenza di polmonite associata a ventilatore (VAP: "ventilator associated pneumonia"), sia per il volutrauma34.
Per quanto attiene poi alla VAP, pur non essendo ad essa sicuramente imputabile il riscontro (pre-intubazione) di una positività del BAL per agenti notoriamente definiti come patogeni (quali ad es. lo Pneudomonas aeruginosa) - nei pazienti cronici e spesso immunodepressi anche una flora definita saprofita (ad es. Enterobacter cloacae) può essere causa di gravi infezioni - essa dovrebbe essere sempre sospettata dal persistere dell'ipossiemia e dalla graduale ritenzione di CO2 per alterazioni della meccanica respiratoria19, fino alla comparsa di quadri eclatanti di shock settico e conseguente insufficienza multiorgano. Si sottolinea al riguardo il rischio di insorgenza di ARF secondaria a tale procedura diagnostica38. Pertanto, allorché nelle fasi “end stage lung” della IPF sia necessario applicare la iMV, è consigliabile l’impiego di bassi valori di TV e di PEEP (“lung resting strategy”), indipendentemente dal modello ventilatorio (se a Volume o a Pressione) prescelto39. La PEEP non dovrebbe superare i 4-6 cmH2O, preferendo altresì una ventilazione a Pressione (piuttosto che a Volume) Controllata (PCV), specie ove il paziente sia in attesa di trapianto di polmone39.
Nonostante una non più recente Survey effettuata su 354 paz. con "de novo ARF" - di cui peraltro solo 5 affetti da IPF - (reclutati da 7 Centri jn Europa e negli USA), abbia fatto registrare oltre il 90% di "NIV failure"40, tale metodica sembra essere ormai di impiego routinario nei pazienti con AE-IPF41, 42. NIV è solitamente effettuata per migliorare gli scambi gassosi, aumentando l’ossigenazione, qualora il pur elevato flusso di O2 non sia sufficiente e per ridurre l’ipercapnia correggendo l’acidosi respiratoria, come peraltro avviene nelle fasi avanzate di AE-IPF; inoltre è impiegata a fini palliativi per ridurre la dispnea, da sola e in associazione agli oppioidi43, 44.
La scelta dell’interfaccia è condizionata dalle condizioni di maggiore o minore criticità del paziente (stato del sensorio, in particolare), dal “setting” della struttura in cui si opera (UTI/UTIR, corsia pneumologica, domicilio) e dalla presumibile durata del trattamento di ventilazione meccanica. L’impiego delle maschere facciali (FM) è limitato al trattamento della fase acuta dell’IR, sia essa ipercapnica o ipossiemica, in ambiente rianimatorio o di terapia intensiva respiratoria40-45.
In pazienti con IR ipossiemica, l’impiego della CPAP erogata a mezzo FM con un sistema a flusso continuo, non connesso al ventilatore, ma in mono-tubo, può causare ritenzione di gas carbonico dovuto alla rirespirazione dell’espirato. Tale inconveniente può essere risolto con l'impiego di una FM a doppio tubo, uno per il flusso inspiratorio, l'altro per quello espiratorio, cui sia connessa una valvola PEEP, utilizzabile peraltro anche in ventilazione a pressione di supporto (PSV)46-48.
Altra interfaccia per erogare la NIV è rappresentata dal Casco ("helmet"). Il casco, chiamato anche scafandro, è un cappuccio trasparente con collare morbido alla base e due cinghie che si posizionano sotto le ascelle, permettendo al dispositivo di rimanere attaccato alle spalle e creare la dovuta aderenza al paziente. Da un tubo entra la miscela gassosa arricchita in ossigeno ad alto flusso, dall’altro esce l’espirato. Si tratta di un sistema a Pressione Positiva Continua delle vie Aeree (C-PAP) che permette di reclutare aree polmonari chiuse agli scambi gassosi (Fig. 7 e Foto 1).
L’introduzione del casco o elmetto (“helmet”) si è dimostrata anch’essa efficace nel trattamento dell’IRA ipossiemica in corso di AE-IPF, specie qualora si preveda un trattamento protratto nel tempo. Per quanto attiene a quest’ultimo aspetto, occorre considerare che l’elmetto permette al paziente di bere, alimentarsi tramite sonda, ed una seppure ridotta vita di relazione. È inoltre possibile accedere alle vie aeree a scopi diagnostico-terapeutici (lavaggio bronco-alveolare)49.
Al fine di evitare ri-respirazione di aria espirata, con conseguente incremento di gas carbonico (e della PaCO2), si ribadisce la raccomandazione d’impiego di CPAP in casco connesso ad un sistema di erogazione di aria arricchita in O2 ad alti flussi (non meno di 60L/m), possibilmente non al ventilatore.
Il confronto tra le due interfacce farebbe preferire la FM nelle prime ore di trattamento, utilizzando un modello di VM a “pressione di supporto” (PSV), quando all’ipossiemia che caratterizza l’IR del paziente con AE-IPF si aggiunga l’ipercapnia (fase “end stage lung”); riservando invece l’elmetto in caso di utilizzo di una VM a CPAP. Quest’ultimo, tuttavia, sarebbe meno efficace della FM nel ridurre lo sforzo inspiratorio del paziente, peggiorandone peraltro l’interazione col ventilatore50.
Per quanto attiene invece agli effetti collaterali della NIV col casco si segnala, oltre all’impossibilità di ottenere valori misurati “reali” di TV espirato – il ventilatore misura anche lo spazio morto del casco – la necessità di impiegare valori elevati di PEEP per mantenere disteso il casco ed un sibilo continuo alla lunga molto fastidioso per il paziente, legato all’impiego delle alte pressioni in esso vigenti (Foto 1).
Un nuovo sistema Venturi costituito da un generatore di flusso ed un regolatore elettronico della FiO2 e del flusso di gas, posizionato in linea sul circuito, permetterebbe tuttavia di ridurre notevolmente il sibilo all'interno del casco51.
Patologie malformative/lesioni traumatiche del volto o malattie croniche delle alte vie aeree controindicano peraltro l'impiego di metodiche di ventilazione non-invasiva52.
Tra le complicanze più frequenti si segnala l’eccessiva distensione gastrointestinale e le ulcere alla cute del volto conseguenti all’impiego protratto della FM. La necessità di un controllo delle vie aeree (in presenza di uno stato di coma o in caso di abbondanti secrezioni bronchiali), o di effettuare la VM per più di 20 ore/die, obbliga all’impiego di V.M. “invasiva”, così pure situazioni d’instabilità emodinamica52. Un discorso a parte meriterebbe, allorché si sia instaurata una fase “end stage lung”, l’utilizzo di metodiche di VM di tipo invasivo permanente, quale la VM per via tracheo-stomica; essa andrebbe valutata con grande attenzione caso per caso. Infatti, la prognosi sfavorevole di questi pazienti, le innegabili limitazioni della qualità di vita connesse alla suddetta metodica, coniugate con le probabili infezioni delle vie aeree (VAP) ad essa conseguenti, inducono a difficili (e sofferte) scelte di gestione del paziente, che aprono il campo dell’etica in medicina, argomento, questo, che esula dalla presente trattazione.
|
|
HFOT tramite cannula nasale (HFNC) può essere una valida alternativa di trattamento del paziente con IR ipossiemica non-ipercapnica che non sia in grado di raggiungere un adeguato livello di SaO2 con bassi flussi di O2. HFNC è un nuovo sistema in grado di erogare fino al 100% di ossigeno riscaldato (a 37°) ed umidificato (100 RM, 44 mgH2O/L), ad un flusso massimo di 60 L·min−1 di miscela gassosa via cannula nasale. HFNC si è rivelato utile nella pratica clinica routinaria di trattamento della AE-IPF, poiché meno invasiva e più confortevole53.
Numerosi vantaggi rispetto alla convenzionale ossigeno-terapia ed un sempre maggiore disponibilità di dati, anche se derivanti da studi clinici non-controllati, si stanno ottenendo circa la effettuabilità, l'efficacia e la tolleranza della HFNC nell'IRA ipossiemica54.
L'HFNO è meglio tollerata della NIV, permettendo ai pazienti di alimentarsi e di comunicare e può essere un trattamento palliativo nei pazienti non suscettibili di iMV, o quale trattamento "ponte" in pazienti con AE-IPF in attesa di trapianto; quando non in fase di distacco dalla NIV per qualche ora54. Inoltre, in pazienti affetti da IRA ipossiemica, HFNO si è dimostrata efficace in fase di post-estubazione nel ridurre il rischio di reintubazione sia in pazienti ad alto55, 56, che a basso rischio57, oltre che nel post-operatorio in cardiochirurgia58.
Numerosi "trial" hanno dimostrato di recente un miglior impatto clinico nei pazienti con ARF54, ma non nell'outcome a 28 gg in pazienti con IRA da Covid-19 rispetto alla NIV, ove peraltro l'impiego di una maschera chirurgica sopra la HFNC eviterebbe la dispersione nell'ambiente delle goccioline (“dropplets”) infette59.
Analoghe risultanze sono emerse da uno studio italiano comparativo tra Helmet e HFNC60.
Un documento internazionale di esperti ne ha sottolineato gli effetti sia fisiologici che clinici nel trattamento dei pazienti affetti da IR ipossiemica54.
Per quanto attiene agli effetti fisiologici, la HFNO/HFNC permette il wash-out dello spazio morto61, in tal modo favorendo l'eliminazione di CO2; incrementa, come detto, la FiO2 (e quindi la PaO2), e la pressione nelle vie aeree (PAW): il che determina l'aumento del volume polmonare di fine espirazione (“End Expiratory Lung Volume”: EELV) e il reclutamento alveolare. In particolare HFNO/HFNC aumenta la compliance dinamica polmonare e riduce le resistenze espiratorie, riducendo in tal modo il WOB62.
Effetti questi che aumentano con l'incremento del flusso, passando cioè dai 20 ai 60 L·min−1; peraltro una riduzione degli sforzi ("swings") inspiratori del paziente, valutata tramite la riduzione della pressione esofagea, si manifesta in presenza di un flusso di 60L/m con consensuale riduzione del TV (a parità di FR). Il che comporta la riduzione del WOB63, 64.
Inoltre, l'umidificazione favorirebbe la clearance muco-ciliare65. Dal momento che il fallimento di un trattamento con HFNC potrebbe dilazionare l'intubazione e peggiorare l'"oucome" (in termini di sopravvivenza), è stato ideato l'indice ROX (termine che definisce il rapporto SpO2/FiO2 sulla FR [(SpO2/FiO2) / FR]. Tale indice, se maggiore di 4.88 sembra avere un buon potere predittivo di successo di trattamento66-69. Ad indicare infine quanto HFNO/HFNC sia considerata metodica altamente efficace, se erogata ad un flusso di almeno 30 L/m in pazienti in fase iniziale di ARDS (“early ARDS”) con PaO2/FiO2 uguale o inferiore a 315, basti considerare che, alla luce dei risultati così ottenuti, è stata proposta una modifica alla definizione di Berlino dell'ARDS70, 71.
Il monitoraggio è fondamentale perché nella IPF, così come nell'ARDS e nella polmonite da Covid-19, i pazienti inizialmente stabili possono peggiorare improvvisamente a causa dell’ipossiemia, manifestando dispnea, tachipnea e cianosi da desaturazione arteriosa di O2. Occorrerà pertanto monitorare in continuo: SpO2, FiO2, FR, frequenza cardiaca ed il sensorio.
Sarà inoltre necessario effettuare controlli emogasanalitici, sia all'ingresso in UTI/UTIR che ogni qual volta siano stati modificati i parametri di ventilazione. Per questo motivo è necessaria la presenza di personale medico e infermieristico addestrato, in grado di interpretare i dati rilevati dal monitoraggio. Il mancato incremento della PaO2 (e consensualmente del rapporto PaO2/FiO2) e /o l'assenza di un effettivo decremento della PaCO2 (con tendenza alla normalizzazione del pH) dopo la prima ora di trattamento costituiscono segnali di "ventilatory failure" ed impongono di passare a forme di ventilazione invasiva, tramite intubazione oro-tracheale.
In una Survey internazionale è risultato che i pazienti affetti da AE-IPF vengono trattati con NIV in una % del 74% e con HFNC/HFO nell'81%72. Si sottolinea peraltro che la HFNC/HFO non sostituisce il trattamento convenzionale (iMV) né la NIV in pazienti che versano in situazioni critiche. La recente applicazione nella polmonite da Covid-19 delle metodiche di ventilazione non invasiva, sia a mezzo casco che con ossigeno ad alto flusso, sembra essere una conferma della validità di un approccio non invasivo nel trattamento dei pazienti affetti da Insufficienza Respiratoria ipossiemica73. Al pari della SARS e della MERS, i quadri clinico-radiologici più gravi di polmonite da Covid - per l'entità delle lesioni anatomiche di cui sono responsabili, allorché ci si trovi di fronte ad un quadro di DAD - possono essere assimilabili alle forme “atipiche” di ARDS, anche in considerazione del fatto che questi pazienti sembrano rispettare i parameri di Berlino nella definizione dell'ARDS70. Tuttavia, le profonde differenze fisiopatologiche - specie in termini di meccanica respiratoria (compliance polmonare e shunt destro-sinistro) esistenti tra ARDS e polmonite da Covid - non permetterebbero l'impiego di un'analoga gestione ventilatoria. Per non dire della ossigenazione extra-corporea che, in quanto metodica ad altissima tecnologia, potendo essere applicata unicamente in Centri all'uopo attrezzati, esige un’attenta valutazione del rapporto costo/benefico per singolo paziente esaminato. La trattazione della quale, al pari del trapianto polmonare nei pazienti con AE-IPF, esula dalla presente trattazione.
a) L'elasticità del sistema polmoni-gabbia toracica è determinata misurando il cambiamento di volume a seguito di una modificazione della pressione applicata. Ad ogni dato volume polmonare, la pressione elastica di ritorno di tutto l'apparato respiratorio è la differenza tra la pressione negli alveoli e la pressione alla superficie corporea, purché i muscoli respiratori siano completamente rilassati.
b) Il lavoro flusso-resistivo inspiratorio è speso al fine di vincere le resistenze al flusso aereo rappresentate prevalentemente dalle alte vie aeree. Il lavoro flusso resistivo espiratorio - in condizioni fisiologiche - è vinto dall'energia elastica accumulatasi nel parenchima polmonare in fase inspiratoria) e pertanto risulta di entità trascurabile.
c) Pendelluft alveolare: fenomeno caratterizzato dal trasferimento di gas alveolare da regioni polmonari a diverse costanti di tempo, quale risultato della variazione delle resistenze e della morfologia degli alveoli che è causa di un riempimento e svuotamento più rapido di alcune regioni rispetto ad altre. Pertanto alla fine di un’espirazione rapida, le unità veloci con una constante di tempo più piccola sono pronte a riempirsi quando le unità lente si stanno ancora svuotando. Viceversa, alla fine di una rapida inspirazione, l’aria scorre dalle unità veloci, che stanno cominciando a svuotarsi, verso le unità lente che si stanno ancora riempiendo. Tenendo presente che il trasferimento di gas tra alveoli contigui è assicurato dai porocanali di Kohn, si consideri che tale meccanismo sta alla base di alcuni tipi di VM, quale ad es. la ventilazione percussiva ad alta frequenza (Fig. 4 e 5).
BIBLIOGRAFIA