Anno Accademico 2021-2022

Vol. 66, n° 3, Luglio - Settembre 2022

Conferenza: Non solo COVID-19. Un mondo di infezioni: antiche e nuove, neglette ed emergenti, orfane e globalizzate

05 aprile 2022

Copertina Atti Terzo Trimestre 2022 per Sito.jpg

Versione PDF dell'articolo: Download

Non solo COVID-19. Un mondo di infezioni: antiche e nuove, neglette ed emergenti, orfane e globalizzate

F. Belli

“La medicina è una scienza sociale

e la politica non è altro che

medicina su larga scala”

Rudolf Virchow

 

 

Nel mondo occidentale, nei ricchi e socio-sanitariamente progrediti paesi del «nord del mondo», la pandemia COVID-19 si è diffusa all’improvviso e ha colto di sorpresa, mettendo a nudo fragilità strutturali, organizzative, culturali: un ottimismo miope in tema di sanità pubblica confinava tra le memorie delle generazioni passate i milioni di infettati, e di morti, a seguito di malattie infettive da patogeni, vecchi o nuovi, aggressivi. Si pensava che antibiotici, nuovi farmaci e vaccini avessero sconfitto per sempre gran parte delle malattie infettive. COVID-19 ha aperto (!) gli occhi (e la mente?…) a (quasi) tutti. Gli allarmi lanciati da epidemiologi e infettivologi, a seguito di numerosi segnali rilevati in tutto il mondo (piccoli e grandi focolai epidemici) erano rimasti inascoltati, sia dai singoli cittadini, sia dalle istituzioni preposte: nessuno era preparato, niente è stato preventivamente organizzato per affrontare una pandemia «globale» da nuovo virus. Sarebbe bastata la memoria storica e la conoscenza del passato per capire che non si trattava di «se», ma di «quando»: dopo aver scampato aviaria, suina, SARS, MERS, e altro, da 30 mesi siamo costretti a confrontarci con i fantasmi delle «pesti» di ieri,…e di oggi!

E abbiamo dovuto acquisire, e in fretta, consapevolezza dell’impatto che una pandemia «globale» ha sulle società, la politica, l’economia. La fase calante, si spera, definitivamente, dell’epidemia COVID-19, grazie al miglioramento delle cure, alla gestione razionale del malato e dei contatti, alla prevenzione, alla campagna vaccinale, ci induce, dopo due anni di impasse, di tornare da un punto di vista clinico ed epidemiologico, a volgere il nostro sguardo su quanto interrotto a inizio 2020, alla situazione infettivologica globale. Faremo tutto questo sotto alcuni punti di vista peculiari:

  1. Impatto dei cambiamenti climatici
  2. Ruolo della «poverty»
  3. Farmacoresistenze (antibiotici e antivirali)
  4. Nuovi farmaci
  5. Il problema «vaccini»: nuovi preparati e nuove tecnologie, copertura nel mondo. Per quanto riguarda temi quali le campagne e la propaganda contro i vaccini, il ruolo delle fake news, il negazionismo e l’avversione a vaccini vecchi e nuovi, rimandiamo alla nostra conferenza in Accademia del 20171.


Note epidemiologiche

Confrontando le principali cause di morte, valutate all’inizio del XX e del XXI secolo, nel mondo, registriamo come i decessi provocati da malattie infettive si sono oggi, dopo cento anni, più che dimezzati, passando dal 46.6% al 20.9%, mentre le malattie cardiovascolari (12.9% vs 30.4%) e le neoplasie (1.9% vs 22.8%) sono attualmente ai primi posti2. Tuttavia, mentre un secolo fa non vi erano grandi differenze di incidenza e mortalità per malattie infettive fra le diverse aree geografiche, nel momento presente si sono acuite disuguaglianze e disparità, in conseguenza delle quali nel sud del mondo le popolazioni continuano ad ammalarsi e a morire per infezioni molto più che nell’emisfero boreale, anche, ma non solo, a causa del comparire di nuove patologie e dell’emergere di patogeni sconosciuti o più aggressivi.

Nella Tab. 1 abbiamo riportato le più diffuse malattie infettive (tubercolosi, malaria, HIV), con il rapporto mortalità/incidenza maggiormente elevato3; abbiamo escluso le epatiti B e C, in quanto epidemiologia e decorso sono oggi favorevolmente mutate, nel primo caso, dopo l’introduzione del vaccino, nel secondo, con gli antivirali anti-HCV di ultima generazione. Abbiamo invece inserito, per raffronto, i dati relativi la Dengue, per l’alta morbilità annua, e l’influenza, come esempio di infezione ricorrente stagionale.

Non dobbiamo dimenticare le disabilità come postumi susseguenti a numerose malattie infettive, in particolare a quelle definite (vedi oltre) “Neglected Tropical Diseases”: Africa e sub-continente indiano sono le aree ove osserviamo maggiormente l’incidenza di queste infezioni, tanto nella fase acuta, quanto, come detto, nelle conseguenze invalidanti4. La tabella dedicata a queste patologie aiuterà a comprendere di quali infezioni “neglected” stiamo parlando.

Un dato interessante5 emerge dalla tipologia e dal numero di infezioni unicausali registrate nei diversi paesi: Cina, larga parte del sud-est asiatico, Nigeria e numerosi paesi del centrafrica, Brasile ne denunciano attualmente una cifra superiore al centinaio, ma, a sorpresa, gli USA sono prossimi a questo valore, da rapportare alla diversità delle popolazioni ospitate e dai consistenti flussi migratori. L’Italia denuncia circa 70/80 diverse infezioni unicausali/l’anno.

Riportando la frequenza attuale delle malattie infettive su un planisfero, si ottiene un’immagine a piramide con l’apice coincidente con la zona equatoriale, la quale, assieme ai tropici, è caratterizzata dalla massima concentrazione quali-quantitativa di infezioni. Il confronto fra i due emisferi evidenzia invece una predominanza di patologie infettive in quello australe, circa i 3/5, sia per fattori socio-economici, che climatici: andamento di monsoni e alisei, del Niňo, piovosità e umidità5. Sicuramente in aumento, e consistente, in tutto il mondo, le zoonosi e gli eventi di spillover, alla base di vecchie e nuove infezioni portate da vettori animali, anche a carattere pandemico e globale, come COVID-19 dimostra. Le nuove zoonosi originano e si verificano, prevalentemente, ma non solo, in Africa, Asia e sud-America, ma sono segnalate persino nelle zone artiche e sub-artiche, ove l’aumento di temperatura, lo scioglimento di ghiacci e permafrost, l’impatto di patogeni imprevisti con l’uomo e animali stanno creando una vera e propria nuova microbiologia, nel prossimo futuro tutta da indagare.

Conseguenze a tutto quanto fin qui sommariamente esposto sono, tra l’altro: l’attuale differenziazione dell’incidenza, delle disabilità provocate  e della mortalità in rapporto alla posizione geografica dei diversi paesi, all’impatto del clima e suoi cambiamenti, allo status economico e socio-sanitario6; nei paesi LMICs si associano, amplificando le conseguenze l’un con l’altra, l’alta incidenza e mortalità per malattie infantili nell’infanzia, la scarsa copertura vaccinale, la bassa disponibilità di farmaci antimicrobici e disinfettanti essenziali, oltre, come vedremo, carenze prettamente sociali e organizzative. Persiste nel mondo odierno una ineguale aspettativa di vita, cui concorrono diverse cause, non ultima la diversità nella diffusione delle malattie infettive7.

 


Tab. 1. Le più diffuse malattie infettive, nel mondo, con il rapporto mortalità/incidenza più elevato. A raffronto, abbiamo aggiunto i dati annui relativi la Dengue e l’influenza.

 


Di quali infezioni stiamo parlando?

Puntualizziamo e definiamo le patologie infettive di cui ci stiamo occupando. Oltre le forme più comuni, già illustrate nella Tab. 1, ma che includono anche le infezioni sessualmente trasmesse, le epatiti, quelle responsabili di gastroenteriti e sindromi diarroiche, tutte diffuse a livello planetario, sebbene perlopiù preminenti nelle zone tropico-equatoriali, rivolgiamo la nostra attenzione a 4 tipologie di malattie infettive, alcune delle quali inseribili in due o più dei seguenti gruppi.

Orfane o rare: infezioni poco frequenti, ma anche poco conosciute e studiate, spesso sottostimate per inadeguati mezzi diagnostici e di sorveglianza, prive o con scarse possibilità terapeutiche. Poco appetibili alla ricerca sperimentale e clinica, godono di bassissimi aiuti finanziari. Un elenco in continuo aggiornamento dell’O.M.S. ne conta attualmente circa 300.

NTIDs (Neglected Tropical Infectious Diseases): malattie che non godono dell’attenzione dovuta nella e dalla comunità, a carattere endemico, perlopiù diffuse in zone tropico-equatoriali, «della povertà», in LMICs, dimenticate, scarsamente studiate e con fondi limitati o assenti. Colpiscono popolazioni sottoalimentate, con scarso accesso alle cure e inadeguata copertura vaccinale, prive di strutture socio-sanitarie efficenti. Spesso trattasi di zoonosi e infezioni trasmesse da animali. L’ultimo elenco aggiornato dall’ O.M.S. ne include 20 (Tab. 2). L’impressione è che prossimamente la lista si arricchirà di ulteriori patologie infettive.

(r)EID: (riemerging) or Emerging Infectious Diseases: infezioni che aumentano col tempo o sono a rischio di incremento, causate da patogeni che erano scomparsi, o nuovi e sconosciuti. Trattasi sia di infezioni note ma che si diffondono in nuove aree geografiche, sia in incremento a causa di resistenze agli antibiotici o per il fallimento di misure contenitive di salute pubblica. La difficoltà di stabilire, in un dato periodo di tempo e in uno spazio geografico delimitato, qualcosa di relativo, condiziona la loro classificazione, tant’è che O.M.S., C.D.C. e N.Y.H. ne hanno diffuso elenchi differenti, in base a principi e parametri non uniformi; ad esempio, C.D.C. dà particolare enfasi al rischio, concreto o paventato, di infezioni diffuse a seguito di atti di bioterrorismo. Riportiamo nella Tab. 3 le patologie infettive emergenti secondo C.D.C.

Globalizzate: per definizione epidemiche o pandemiche, travalicano dinamiche e caratteristiche esclusivamente biologiche, ma sono frutto di fenomeni complessi che investono la sfera ambientale, sociale, economica, politica e culturale. Il cambiamento climatico, i fenomeni migratori, le crisi economiche, l’industrializzazione senza regole, i deficit alimentari e idrici condizionano lo stato di benessere, o meno, di un individuo o di una popolazione. Anche eventi storici e comportamenti «a rischio» facilitano insorgenza e diffusione, come accadde per le prime infezioni globalizzate dell’era moderna: Spagnola e HIV.

 

Tab. 2. Elenco delle NTDs secondo WHO, 2019 e dati statistici relativi8, 11.

 

 


Tab. 3. Elenco di patogeni emergenti e riemergenti secondo C.D.C, 2019.

 

NTIDs8. Lo scarso interesse della ricerca verso queste affezioni è ben dimostrato da un’indagine9 che correla il numero di pubblicazioni indicizzate in 52 malattie infettive con l’impatto clinico di queste, espresso da una serie di parametri quali i decessi, i giorni di ricovero, i giorni lavorativi persi, e altri, nel decennio 2010-19; le NTIDs sono agli ultimi posti della graduatoria ottenuta da questa correlazione, soprattutto le forme da parassiti intestinali e le geoelmintiasi (poche centinaia di pubblicazioni), rispetto alle decine di migliaia dedicate a tubercolosi, malaria, HIV, HCV e infezioni sessualmente trasmesse.

Esaminando programmi (partnership pubblico/privato) di sviluppo e cooperazione per la prevenzione, la diagnosi e la cura delle malattie infettive in LMIC’s e i fondi stanziati in era pre-COVID-1910, osserviamo come le NTIDs abbiano richiamato investimenti irrisori, sia da parte di enti e fondazioni locali che internazionali: a infezioni come la Dengue, per la ricerca di un vaccino, malattia di Chagas, lebbra e leishmaniosi non è stata dedicata alcuna attenzione economica negli ultimi dieci anni.

Anche statistiche precise latitano: abbiamo, da parte dell’O.M.S., dati parziali per la persistente difficoltà a ricevere report dai paesi coinvolti. Solo per alcune infezioni il numero di nuovi casi/l’anno o la stima totale degli infetti sono aggiornati: li riportiamo nella Tab. 211. In Africa si registrano circa 535.000 decessi l’anno, ma il numero è riferito solo a 12/20 patologie, quindi largamente incompleto.

In sintesi, ci troviamo di fronte a malattie neglette, trascurate, che persistono (quasi) solamente nelle popolazioni più povere e dimenticate, dimenticate nella comunità, a livello locale e internazionale, dalla ricerca, dai flussi di finanziamento pubblici e privati, prive o con scarsi farmaci e vaccini, oggetto di pregiudizi e discriminazione sociale (ad es. la lebbra).

La stretta associazione fra NTIDd e “poverty” è sottolineata da una serie di dati: oltre il 70% dei paesi in cui queste affezioni sono preminenti ha un PIL fra i più bassi del mondo; il 100% di questi paesi è afflitto da almeno 5 NTIDs; la trasmissione è facilitata da acqua non potabile, scarsa igiene, promiscuità tra uomini e animali, tutte condizioni associate alla povertà.

Per trattare le NTIDs, non solo sul piano clinico-sanitario, ma anche, compiutamente, da un punto di vista socio-economico, è indispensabile: migliorare l’offerta scolastica e innalzare il tasso di scolarizzazione; migliorare la capacità produttiva e aumentare il tasso di occupazione; ridurre il rischio di comorbidità con HIV, malaria, TBC, epatiti, infezioni sessualmente trasmesse. Una lotta decisa a queste affezioni non può prescindere da piani concreti e attuati per lo sviluppo socio-economico dei paesi coinvolti: le strategie di riduzione della povertà spezzano il circolo vizioso fra questa e le malattie infettive, a patto che sia implementato l’accesso alle cure specifiche e siano estesi alle popolazioni programmi di educazione sanitaria.

Le strategie di lotta contro le NTIDs non sono né semplici né uniformi, trattandosi di infezioni da patogeni differenti e con segni clinici specifici e multiformi; così, ad esempio, è stata attuata con risultati alterni una chemioterapia preventiva per filariasi linfatica, oncocercosi, schistosomiasi e geo-elmintiasi. Un approccio clinico integrato e multidisciplinare è sperimentato per Leishmaniosi, Tripanosomiasi, M. di Chagas e Ulcera di Buruli. Priorità comuni da raggiungere sono: farmaci sicuri, di semplice somministrazione, a basso costo; diagnosi individuale o di comunità facili ed economiche; approccio basato su trattamenti preventivi per gruppi di popolazione, a scadenze regolari, ad opera di strutture e personale non necessariamente afferente alla sola sfera sanitaria, ma ad es., anche a scuole; il fine è di espandere la copertura terapeutica. Un approccio clinico individuale, che richiede personale e strumentazione specializzata, in questo campo, può venir dopo la sorveglianza e il monitoraggio di comunità. Ma, prioritarie su tutto, rimangono la lotta contro i vettori, la decontaminazione ambientale, la bonifica delle acque, la chemioterapia e la profilassi con medicamenti semplici e a basso costo.

(r)EID. Siamo in grado di ricostruire, in parallelo, l’evoluzione umana e la comparsa di patogeni, definiti, in un momento storico specifico e geograficamente delimitati o diffusi, “emergenti”. Possiamo anche individuare quegli eventi chiave, dalla rivoluzione neolitica a oggi, posti in relazione con le età presunte dell’esordio, sulla scena dell’uomo, delle malattie infettive12. Così, la malaria accompagnò l’uomo quando iniziò a espandersi nei continenti e a frequentare zone paludose per adattarle all’agricoltura; tubercolosi, lebbra e vaiolo emersero nei primi agglomerati urbani sovraffollati; il colera e la peste seguirono le rotte commerciali, le invasioni e le guerre, le migrazioni di massa; Spagnola e HIV possono essere considerate le prime pandemie di un mondo globalizzato. La frammentazione della linea umana in popolazioni distinte, geneticamente e geograficamente, fu accelerata dalle migrazioni “Out of Africa”. In seguito, queste popolazioni iniziarono a mescolarsi ulteriormente, soprattutto lungo rotte commerciali (come la Via della Seta), attraverso la colonizzazione, ieri, ed una frequente consuetudine ai viaggi internazionali, globalizzati, oggi. Tutti questi eventi hanno favorito l’emersione e la dispersione dei patogeni nel mondo.

Vi sono situazioni in cui determinati patogeni non sono mai scomparsi sulla scena umana, ma periodicamente appaiono varianti e sottospecie, che possono comportarsi con caratteristiche totalmente nuove e impattare nei confronti del sistema immunitario dell’uomo fino a provocare epidemie su scala globale; le varianti sono geneticamente generate per riarrangiamenti e ricombinazioni, favorite anche da variazioni climatiche e ambientali di vasta portata. L’esempio più significativo è quello dei virus influenzali: negli ultimi 130 anni varianti del virus A, ognuna con caratteristiche immunologiche diverse e specifiche13, hanno provocato una decina di epidemie grandi e piccole, devastanti o contenute. Oggi, e ancor più in futuro, il quadro ecologico si va complicando: nuove specie animali diventano reservoir o ospiti intermedi del virus, facilitando ulteriori riassortimenti genici e la comparsa di nuove varianti, dalle conseguenze imprevedibili1415.

Di EIDs, a carattere sporadico o epidemico, delimitato o globale, se ne parla da circa 80 anni e i patogeni rilevati e inseriti nelle varie liste di OMS, CDC o altri organismi ed enti, aumentano sempre più; ogni zona del pianeta ne è stata e né interessata, con una maggior concentrazione, e questo è un dato che può sorprendere, in Europa e nord-America e assenza quasi assoluta di segnalazioni per le aree artiche, ove tuttavia la situazione sta mutando, in particolare a causa del forte incremento termico16.

Per quanto riguarda la tipologia dei patogeni, negli ultimi 80 anni si sono registrati diversi cambiamenti microbiologici: decremento, soprattutto nelle ultime 3 decadi, delle infezioni batteriche, scarse variazioni quantitative degli episodi da imputare ad un’eziologia virale, aumento delle elmintiasi in occidente, perlopiù legate alle migrazioni; forte incremento delle zoonosi e delle forme “vector borne”, sia a livello locale, che su scala planetaria (basti pensare alle ultime pandemie da virus influenzali e coronavirus); incremento costante ma più evidente dopo il 1990 di ceppi microbici resistenti (spesso poliresistenti) ai farmaci.

L’Italia non è esente da questi eventi, come dimostrano i nuovi virus respiratori o la comparsa di infezioni fino a pochi anni fa “aliene”, come la Dengue. Preoccupante il diffondersi di microrganismi farmacoresistenti: su tutti, MDR/XDR M. tuberculosis in Europa orientale, Africa e Asia, St. aureus meticillino-resistente in USA ed estremo oriente, Candida auris in USA, Plasmodi malarici ovunque la malattia sia endemica. Né vanno dimenticate EIDs in seguito a episodi di bioterrorismo, sospetti o accertati: antrace in USA e Asia, Hendra-virus in Australia17.  

Per il prossimo futuro tutte le stime16 concordano su un incremento del trend attuale, anzi, ancor più marcato: pertanto è facile prevedere il rischio di infezioni, a carattere tendenzialmente pandemico, globalizzato, da patogeni emergenti anche totalmente sconosciuti, susseguenti a zoonosi e relativi fenomeni di spillover, trasmessi da animali ai quali viene sovvertito il proprio habitat naturale, anche e, forse, soprattutto, per mano dell’uomo. Così come è facile prevedere un aumento delle antibioticoresistenze, cui si aggiungeranno ulteriori segnalazioni di resistenze agli antivirali già impiegati, ma anche di ultima generazione, da parte di virus patogeni. L’Italia sarà interessata da EIDs anche in conseguenza dei cambiamenti climatici e della tropicalizzazione del clima, con alluvioni che sconvolgono ampi territori e ripercussioni sulle popolazioni, la flora e la fauna: pertanto ci dovremo confrontare con zoonosi e infezioni trasmesse da vettori vecchi e nuovi. Il fenomeno dell’antibioticoresistenza sarà legato alla nostra capacità di migliorare, e calmierare, scelte oggi scellerate nella prescrizione degli antibiotici e nello stimolo all’industria farmaceutica nell’utilizzo delle moderne tecnologie per allestire molecole innovative.

Zoonosi e spillover

Infezioni causate da patogeni trasmessi da animali, a seguito del salto di specie, sono in forte aumento in tutto il mondo da più decenni: cambiamenti climatici, disastri ambientali, profonde modifiche degli habitat naturali, quali le deforestazioni sistematiche, a spese della fauna, sono tra i fattori favorenti. Lo spillover è l’evento conclusivo di complesse interrelazioni tra più specie, che possono essere caratterizzate da fasi e situazioni diversificate, durante le quali si verifica l’infezione di animali diversi dal reservoir primario e/o dell’uomo:

    1. microbi presenti negli animali e trasmessi ad altre specie ma, in condizioni naturali, non all’uomo;
    2. patogeni che dagli animali possono essere trasmessi all’uomo (infezione primaria), mentre è impossibile l’infezione secondaria tra umani;
    3. - 4. il patogeno, trasmesso all’uomo, compie pochi o numerosi cicli replicativi e di maturazione nell’uomo stesso, caratterizzando così una fase di latenza e un’infezione secondaria di breve o lunga durata;
     5. patogeni adattati all’uomo e trasmessi solo per via intraumana18.

 

Nella Tab. 4 sono riportati alcuni esempi delle 5 fasi qui illustrate.

 


Tab. 4. Esempi di microrganismi che, attraverso fasi differenti di maturazione e replicazione, vengono trasmessi da animali all’uomo, infettandolo (vedi testo).

 


Cambiamenti climatici, salute e malattie infettive

I modelli convenzionali considerano solo gli effetti diretti delle variazioni climatiche e i cambiamenti finali della salute, ma vi sono anche conseguenze indirette, attraverso la loro influenza su numerosi fattori socioeconomici, combinandosi con questi, reciprocamente, in un processo a due vie che provoca rischi per la salute, condizionata pertanto a sua volta da situazioni socioeconomiche. Il clima non può essere considerato solo come la parte esterna di questo sistema: i fattori socioeconomici guidano e condizionano i cambiamenti climatici attraverso l’emissione di CO2 e altri gas e le modifiche della superficie terrestre19.

I cambiamenti climatici provocano un ventaglio di reazioni, innanzitutto sull’interazione microrganismi/ospite e sulle produzioni agricole, a seguire sui mezzi di sussistenza, la sicurezza agro-alimentare, i comportamenti, con ulteriori ripercussioni sulla disponibilità di cibo e acqua, la variabilità demografica, gli assetti sociali, economici e sanitari e gli spostamenti di popolazioni, che a loro volta determinano ricadute sui rapporti microrganismi/ospite, chiudendo così un circolo perverso20.

Le variazioni climatiche provocano ripercussioni sulla biomassa terrestre e marina, i cui mutamenti quali-quantitativi sono strettamente dipendenti dall’aumento delle temperature, le oscillazioni marcate di piovosità, l’umidità, l’irraggiamento; l’aumento della biomassa e l’emersione di nuove specie, ad esempio per lo scioglimento del permafrost, può cambiare in un dato ambiente il rapporto aerobi/anaerobi, determinare nel suolo e nelle acque nuove catene metaboliche come la metanogenesi, aumentare la decomposizione della flora, mutare la tipologia di nutrienti nel suolo e nelle raccolte idriche, infine, produrre ulteriori quantità di CO2 e altri inquinanti.

Numerose attività umane, a cominciare dall’agricoltura, dipendono dalla composizione microbiologica del terreno e dell’ambiente e la condizionano: ricordiamo come i fertilizzanti a base di N e P interferiscono col metabolismo microbico; le vasche di trattamento emettono metano e altri prodotti carboniosi; l’emissione di CO2 e CH4 non è da imputare alle sole attività industriali, ma anche agricole (allevamenti di ovini e bovini) e terziarie; in determinati habitat, le variazioni climatiche selezionano specie microbiche riducendone la biodiversità e la capacità di vivere in una simbiosi benefica con le piante e supportarne la crescita; ma i guasti maggiori, l’eutrofizzazione e il perturbamento dell’ecologia microbica sono, sempre e comunque, da ricondurre ad attività umane.

Le variazioni climatiche amplificano l’impatto dei patogeni: è stretta la connessione tra mutamenti climatici antropogenici e diffusione, mediante ampiamento dei propri areali, dei vettori di patogeni e infezioni correlate; particolarmente pesanti sono le conseguenze sulla biovita marina, stressata a seguito della rottura di delicati equilibri degli ecosistemi e diffusione di nuove malattie infettive; aumentano le malattie delle piante alimentari per l’invasione di parassiti “alieni”, con perdita dei raccolti, e attentato alla sicurezza agraria, da cui la necessità di una sorveglianza più assidua; l’aumento della temperatura correla con l’incremento delle antibioticoresistenze, per selezione di ceppi neutralizzanti i nostri farmaci; la fuga da terre deforestate e desertificate di animali vettori favorisce le zoonosi e la diffusione planetaria dei microrganismi; nuove reti e più efficaci mezzi di sorveglianza ambientale, climatologica e microbiologica diventano irrinunciabili.

Per quanto riguarda la trasmissione dei patogeni, numerosi sono i fattori ambientali e le variazioni climatiche che la influenzano. 4 gli scenari possibili:

  1. Patogeni trasmessi da vettori animali (malaria, dengue, West Nile Virus, m. di Lyme): la trasmissione è influenzata dalle precipitazioni piovose, umidità relativa, temperatura, oscillazioni periodiche del Niňo del Sud. Parametri che interferiscono con la trasmissione sono la carica del vettore, la replicazione del patogeno nel vettore stesso, epoca e numero dei morsi (o punture).
  2. Patogeni trasmessi mediante acque infette (vibrioni, criptosporidium, rotavirus): interferiscono la temperatura ambientale e delle acque, pH e salinità di queste ultime, fattori ambientali quali le precipitazioni e il Niňo; importanti sono il trasporto, la sopravvivenza e la replicazione dei patogeni.
  3. Patogeni trasmessi per via aerea (virus influenzali e parainfluenzali, coronavirus, hantavirus, coccidioides): i parametri climatici e ambientali che interferiscono con la loro diffusione sono temperatura, umidità relativa e andamento dei venti, quelli inerenti le modalità di trasmissione riguardano la sopravvivenza e la dispersione dei microrganismi nell’ambiente.
  4. Patogeni trasmessi con gli alimenti (salmonelle, campylobacter): a livello ambientale hanno importanza temperatura e precipitazioni, per la trasmissione la replicazione microbica e i comportamenti umani.

Negli ultimi anni imponenti flussi migratori, in e fra tutti i continenti, devono essere imputati ai cambiamenti climatici, cronici o repentini, e disastri ambientali; come abbiamo avuto modo di sottolineare21 nella conferenza presso l’Accademia Lancisiana nel 2021 (origine di COVID-19), le stesse motivazioni e i perturbamenti della biologia e degli habitat naturali riguardano anche gli animali: milioni di specie, miliardi di esemplari fuggono e viaggiano anche più velocemente dell’uomo, portando con se un carico di patogeni vecchi o sconosciuti.

Oscillazioni sempre più marcate della piovosità (alternanza di periodi siccitosi e altri a carattere alluvionale) e aumento termico nelle zone endemiche per diverse infezioni “vector borne”, soprattutto in Africa, sono oggetto di studio congiunto fra epidemiologi, climatologi e zoologi; malaria e dengue sembrano risentirne maggiormente, il risultato finale è comunque un’estensione dell’areale degli insetti vettori e una diffusione delle patologie a macchia di leopardo, irregolare e imprevedibile, più a nord e più a sud del convenzionale22.

Le emissioni di CO2 e altri inquinanti sono studiate e dibattute negli incontri internazionali sul clima soprattutto nell’ottica degli effetti diretti sulla salute umana, quali i danni respiratori e cardiovascolari; i processi infettivi, visti soprattutto come conseguenze secondarie e sovrapposte, spesso latitano da queste discussioni, mentre meriterebbero un’attenzione ben maggiore e ricerche più accurate riguardo i rapporti specifici dei singoli patogeni con gli inquinanti e le modalità di diffusione.

Negli ultimi 120 anni la temperatura media è aumentata in Africa di 2.5/3.5°, in Europa, Asia del nord e regioni artiche di 5° e oltre: per ogni grado di aumento, le zanzare Anopheles e Aedes possono estendere il proprio areale di diffusione di due gradi di latitudine, a nord e a sud23.

La perdita dei grandi polmoni verdi rappresentati dalle foreste pluviali, in Amazzonia, Africa centrale e sud-est asiatico, sia a seguito dei cambiamenti climatici (aumento della temperatura, riduzione della piovosità, avanzamento di aree aride), sia per mano dell’uomo (disboscamento irrefrenabile) muta gli habitat naturali di popolazioni umane e animali, costrette a fuggire: nella già citata conferenza del 202121, cui si rimanda, abbiamo estesamente discusso di questi problemi, alla luce dell’origine dei coronavirus patogeni, dello spillover da mammiferi e uccelli all’uomo di nuovi microrganismi, della diffusione planetaria di pandemie da agenti finora sconosciuti24.

Inserire le malattie infettive, e in primo luogo NTIDs, tra le conseguenze cosidette “invisibili”25 dei cambiamenti climatici e di quei fattori socio-economici di cui parleremo a breve, comporta due ricadute a parer nostro negative: in prima istanza, da un punto di vista mentale e culturale, generando un’attenzione solo marginale a livello governativo e legislativo, oltreché nei massmedia e nell’opinione pubblica; inoltre da un punto di vista operativo ed economico, stornando fondi pubblici e privati dal problema “salute”. E così le infezioni nel sud del mondo e nei LMICs, già neglette e trascurate, perdono ulteriore visibilità rispetto ai danni materiali, certamente ingenti e planetari, che i nuovi climi determinano.  

Tra i paesi maggiormente colpiti, negli ultimi decenni, dalle conseguenze delle variazioni climatiche, l’Italia è, come quasi tutto il mondo nord-occidentale, in prima linea: aumento delle temperature e dei giorni con ondate di calore, precipitazioni incrementate non tanto in quantità, ma per una nuova tipologia ad impronta torrentizia e tropicale, estensione dei territori aridi, dissesto idrogeologico, sono sotto gli occhi di tutti e caratterizzeranno clima e ambiente in futuro. Ma si stanno evidenziando due scenari differenti, a causa della concentrazione antropica in grandi città, urbani ed extraurbani, con i primi a manifestare più evidenti ricadute su tutta la sfera della salute, com’è dimostrato dall’aumento della mortalità negli anziani in estate, i secondi più sul versante infettivologico, per la comparsa di patogeni finora assenti o rari alle nostre latitudini: dengue, chikungunya, West Nile Virus, micobatteri ambientali. Il nuovo coronavirus, tuttavia, si è diffuso ovunque26.

Lo scioglimento del permafrost a seguito dell’innalzamento delle temperature nelle aree siberiane e artiche comporta lo sprofondamento dei suoli, l’immissione di una massa di terreno e acqua, finora trattenuti dal gelo, nei mari e nei fiumi, l’emersione di strati sottostanti; il carotaggio con indagini microbiologiche fornisce elementi su quella che, a breve, potrebbe divenire una “nuova” Microbiologia. Siamo in grado di rilevare segni diretti e indiretti della biomassa e del microbioma di terreni e strati non più coperti dal gelo, rimasti esclusi dal contatto con l’atmosfera per migliaia di anni. Acidi nucleici, frazioni proteiche e altro materiale organico sono riconducibili a batteri, perlopiù anaerobi, clamidie, attinomiceti, clostridi, spore e virus appartenenti a centinaia di specie in gran parte ignote: alcune, immesse nel mare, si sono dimostrate né dormienti, né inattive, bensì vitali e patogene per la fauna acquatica27. Ci chiediamo, quante per l’uomo? È stato condotto un carotaggio anche di terreni ora riemersi, i cui strati risalgono al Pleistocene: nelle carote con materiale risalente a 19/27/33.000 ya è stato trovato DNA di attinomiceti (micrococcaceae), bacilli (bacillaceae, termoattinomiceti), clostidri, anche in sequenze integre28.

Numerose conseguenze dei cambiamenti climatici, dei disastri idrogeologici e dell’inquinamento atmosferico si sono dimostrati, in uno studio recente29, concause importanti nella diffusione di virus influenzali e dei Coronavirus: è cambiato l’habitat di numerosi uccelli selvatici migratori, reservoir dei virus influenzali, mentre per i Coronavirus la deforestazione e l’acquisizione di nuovi areali periurbani dei pipistrelli, loro serbatoio naturale, sono dati acquisiti da tempo. Il cambiamento delle correnti aeree, oggi più accentuato, e le marcate oscillazioni dell’irraggiamento, dell’umidità e delle piogge sono gli altri elementi concorrenti, che, all’unisono, potrebbero aver favorito anche la rapida diffusione di COVID-19, soprattutto nell’emisfero boreale.

Numerose infezioni, catalogabili soprattutto fra NTIDs e EIDs, hanno visto negli ultimi decenni aumentare le proprie zone di diffusione, a latitudini insospettate e là dove finora non si erano mai viste, anche per il concorso decisivo dei fattori climatici e ambientali ora discussi. Riportiamo alcune situazioni.

Ebola. Il virus ha provocato epidemie periodiche con migliaia di infetti e 32.000 morti dal 1976 a oggi; si è diffuso lungo il fiume omonimo, nei paesi del golfo di Guinea, sporadicamente altrove. Hanno concorso alla sua diffusione, oltre il mutato habitat dei reservoir e diversi disastri ambientali, molti imputabili all’uomo, numerosi fattori legati a promiscuità uomo-animali e particolari abitudini alimentari, sociali e usanze funebri delle popolazioni del luogo30, 31. Ma gli ambientalisti hanno lanciato per i prossimi anni l’allarme: lo sconvolgimento in Africa centrale della natura, in particolare la perdita delle foreste pluviali (sempre!) per mano dell’uomo e l’avanzata di terreni aridi e desertificati, come in Asia e Amazzonia, costringe uomini e animali, soprattutto volatili, a migrare, incontrarsi, vivere maggiormente a contatto fra loro anche presso le grandi città: ecco che l’areale di diffusione di Ebola sta per estendersi dall’Atlantico fin quasi alle coste dell’Oceano Indiano, dall’Africa subsahariana e molto a sud del Tropico del Capricorno. Se tutto questo è irrefrenabile, deve almeno partire una campagna di educazione sanitaria delle popolazioni al cambiamento di abitudini ataviche, per limitare prossimamente i contagi in occasione di nuove epidemie5.

Zika. L’infezione fino a vent’anni fa era praticamente confinata in Africa centrale, in seguito si è estesa sia in Oriente che, ancor più, in America centro-meridionale, tanto da scatenare piccole epidemie in Brasile. Casi sporadici, ma d’importazione, sono stati segnalati anche in Europa; in Italia da viaggiatori in Brasile e Polinesia, nessuno finora autoctono. La diffusione dalle foreste africane a tutta la fascia tropico-equatoriale del pianeta, con sporadiche estensioni nelle zone meridionali di Argentina e Brasile, e numerosi paesi allertati, è dovuta a nuove specie di zanzare del genere Aedes in grado di veicolare il virus (ad es., zanzara tigre), alla dispersione di vettore e virus mediante i viaggiatori, alle correnti transoceaniche mutate negli ultimi decenni32, 33.

West Nile Virus. L’infezione è arrivata in Italia, diverse segnalazioni negli ultimi anni di casi, anche gravi, neurologici, soprattutto nelle campagne e fra gli allevatori di cavalli. Le zanzare vettrici (Aedes) sono giunte alle nostre latitudini con merci e animali, ma anche sfruttando correnti calde tropicali e giovandosi di temperature elevate. Casi sono stati segnalati persino nelle isole Britanniche e nei paesi baltici, il numero di nazioni a rischio o con infezione presente, aumenta sempre più. Per quanto riguarda la diffusione tropico-equatoriale, valgono le stesse situazioni viste per Zika34, 35.

Dengue. È una delle infezioni più diffuse al mondo (vedi Tab. 1), fino a 100 milioni di nuovi casi/l’anno e 20.000 decessi; i paesi extra-tropicali colpiti sono sempre più numerosi, Italia inclusa, con casi di variabile gravità; segnalazioni arrivano dall’Australia alle zone subartiche, tant’è che fra pochi anni potrebbe essere riduttivo definirla “malattia tropicale”. Anche in questo caso si nota un aumento di specie del genere Aedes responsabili della trasmissione36. Negli ultimi 5 anni è stata evidenziata un’inversione di tendenza in America centrale e latina, con riduzione di incidenza e mortalità; il fenomeno non ha trovato finora spiegazioni definitive, probabile il concorso di cause climatiche (Niňo?), l’inversione di correnti aeree e oscillazioni di piovosità e temperatura: il trend andrà monitorato per tempi più lunghi.

Febbre gialla. Originaria dell’Africa, diffusasi nelle Americhe con la tratta degli schiavi, era fino a qualche decennio fa assente in Asia ed estremo oriente: anche in queste zone, e persino in Europa, iniziano le segnalazioni di casi autoctoni e d’importazione, a causa degli stesi fattori ecologici, climatologici e turistico-commerciali che abbiamo discusso nei paragrafi precedenti riguardo le infezioni trasmesse dalle zanzare del genere Aedes. In Oriente la situazione potrebbe divenire complessa nei prossimi anni: aumentano i paesi a rischio e la trasmissione ha due vie di accesso, da ovest (Africa) e da est (America centro-meridionale), il che la differenzia da altre “vector borne” prevalenti solo in Africa37, 38.

Chikungunya. Originaria dell’Africa, è ormai diffusa in quasi tutta l’America, Cina e Asia del sud-est, ed è arrivata nei primi anni di questo secolo anche in Europa occidentale. In Italia dal 2007 si sono registrati alcuni focolai, anche con casi gravi e decessi, riconducibili non tanto a Aedes Aegipty, suo veicolo primario, quanto alla zanzara tigre, giunta alle nostre latitudini con merci provenienti da altri continenti e stanziatasi ormai ben oltre i tropici, sia nel nostro emisfero, come in quello australe39.


“Poverty”

Infezioni emergenti, malattie tropicali dimenticate, ma anche le “convenzionali” tubercolosi, malaria, HIV, epatiti, infezioni sessualmente trasmesse trovano una interconnessione perversa, un circolo vizioso di cause ed effetti, con tutti quei fattori politico-economici, sanitari, ambientali, comportamentali e culturali, il cui ruolo e differente grado di compenetrazione nel tessuto sociale segnano la discriminante fra attuazione o mancanza di uno sviluppo sostenibile (SDGs). Soluzioni sanitarie ad impatto immediato, o a lungo termine, ne sono state proposte in gran numero negli ultimi decenni, da ONU, OMS e altri organismi internazionali, programmi perlopiù disattesi o riusciti solo parzialmente, come quello per la diffusione di vaccini e l’accesso a farmaci a basso costo per cure primarie.

Oggi si è compreso che il concetto di “poverty” non può essere inteso solo su una base meramente economica: alla stragrande maggioranza delle popolazioni del mondo tanto altro manca, oltre le risorse monetarie, in campo alimentare, educazionale, sanitario, lavorativo e professionale, cura dell’infanzia e dei fragili, e l’elenco e ancora lungo. La chiave di volta è questa: i problemi sanitari non si risolvono, soprattutto, ma non solo, nei paesi LMICs, e la lotta a malattie ataviche come quelle infettive, fino all’eradicazione delle stesse, non può avere successo, se non si affronta uno sviluppo sostenibile globale che investa tutta la società. Così l’OMS ha stilato una serie di obiettivi che rispondono ad una domanda di salute e benessere globale, in un’ottica imprescindibile nella soluzione di tutti i problemi della società, anch’essa globale40. I 17 obiettivi prefissati sono elencati nella Tab. 541.

È indubbio tuttavia che gli aspetti economici rimangono preminenti: pertanto, se vogliamo attribuire alla percentuale di PIL investito in salute, nelle diverse nazioni, il valore di indicatore significativo di efficienza e organizzazione sanitaria, anche se sappiamo che questo parametro da solo non è sufficiente a fornire indicazioni assolute, l’esame di una mappa planetaria evidenzia, e non può essere un caso, un rapporto inversamente proporzionale tra i valori di PIL investiti e la diffusione delle malattie infettive: evidenziamo indici inferiori al 2%, o prossimi allo zero, in tutta l’Africa (ad eccezione del Sud-Africa), l’America centro-meridionale, versante andino, l’Europa dell’est, buona parte dell’Asia, tutte aree geografiche in cui maggiore è la diffusione, in valori assoluti e tipologia, delle patologie infettive. L’Italia come quasi tutta l’Europa occidentale si trova in una posizione intermedia, circa il 5%, giudicata oggi alla luce di quanto accaduto con la pandemia da COVID-19 insufficiente; paesi “virtuosi” sono (>10%) Svizzera e USA, ma sappiamo come proprio in America vi siano altri problemi di assistenza sanitaria e forti sperequazioni fra ricchi e poveri, pubblico e privato, che si riflettono anche nella gestione delle malattie infettive e delle campagne vaccinali.

Va ribadito che tutte quelle cause ed eventi che possono comunque condizionare e amplificare la vulnerabilità e le fragilità degli assetti socio-sanitari, hanno un peso e conseguenze ben maggiori, spesso devastanti, nei LMICs (Tab. 642) ; per riportare un esempio, pensiamo a come la guerra civile abbia in Siria dissolto il sistema sanitario pubblico, esponendo la popolazione a nuove pandemie, alla mancanza di farmaci e vaccini, ad una speranza di vita tornata ai livelli di parecchi decenni fa.

Tutte le stime concordano nel prevedere, nel prossimo decennio, un’accentuazione delle sperequazioni economiche tra benestanti e poveri, a livello individuale, di popolazione, di regione geografica, soprattutto in Africa: chi oggi non può investire in sanità, senza aiuti internazionali, domani avrà a disposizione risorse ancor più basse, anche per le necessità elementari in prevenzione, assistenza e cura. Corriamo il rischio che le liste di NTIDs e EIDs debbano essere prossimamente aggiornate con l’inserimento di ulteriori infezioni43.

Ma, riguardo gli aiuti internazionali, la ricerca di vaccini in infezioni “orfane” o il miglioramento di altri ormai obsoleti, nonché l’allestimento di preparati a costi contenuti, hanno stimolato diverse istituzioni ad occuparsi dello sviluppo di vaccini contro EIDs e NTDs, da distribuire in Africa e Asia, là dove le popolazioni sono più esposte a malattie infettive altrimenti prevenibili e curabili44: fra gli enti meritevoli ricordiamo la senese NVGH, alla cui guida scientifica vi è Rino Rappuoli, che ha provveduto a preparare, con tecniche innovative e distribuire a basso costo vaccini contro shigellosi, febbre enterica, rotavirus e meningiti, e ne ha in progetto numerosi altri45.

Concludiamo con un’osservazione significativa che riguarda la nostra Europa: uno studio recente ha correlato la diffusione nelle singole nazioni di infezioni neglette ed emergenti con diversi parametri rientranti nel concetto di “poverty” e il PIL46. Mentre nei paesi centro-occidentali prevalgono infezioni batteriche e virali, all’est e nei nuovi stati nati dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica, il cui PIL è tra i più bassi sia in termini assoluti, che nella percentuale investita in sanità, sono molto diffuse le elmintiasi alimentari, le geoelmintiasi e le infezioni protozoarie, configurandosi un quadro accostabile a quello degli altri LMICs del mondo. Concorrono a questa situazione anche i recenti flussi di profughi innescati dai conflitti in medio-oriente e regione afgana.

 

Tab. 5. Obiettivi di uno sviluppo sostenibile41.

 

 


Tab. 6. LMICs: cause ed eventi che condizionano e amplificano la vulnerabilità e le fragilità degli assetti socio-sanitari42.

 


Note epidemiologiche su i Coronavirus e i patogeni più diffusi al mondo

Coronavirus. L’imprevedibilità dell’origine e della diffusione di COVID-19 contrasta con un dato incontrovertibile: conosciamo CoV patogeni per l’uomo da più di 50 anni, ma nella rete di sorveglianza dei vettori ed ecologia ambientale degli stessi, evidentemente, c’è stata qualche falla. Solo per citare le forme maggiori, dal 1966 al 2004 si diffusero in Asia almeno 3 α e β-CoV, trasmessi da pipistrelli e roditori, che provocarono piccole epidemie con infezioni delle alte/medie vie respiratorie; nel 2005 si ebbe un salto di qualità con la diffusione dai roditori di un nuovo β-CoV che provocò polmoniti anche mortali. Dal 2003 a oggi abbiamo avuto le ben note SARS-CoV1, MERS e SARS-CoV2, tutte da β-CoV trasmessi dai pipistrelli (e, forse, altri animali), il cui tasso di mortalità è stato, rispettivamente, del 10, 37 e 3.7%47. Oggi conosciamo le caratteristiche e le differenze molecolari dei CoV patogeni, sequenze comuni e specifiche dei genomi, proteine strutturali, non strutturali e accessorie, interazioni recettoriali con le cellule umane: tutto questo ha permesso di comprendere l’eziopatogenesi di ogni singola forma infettiva e la variabilità dell’interazione CoV-ospite e della risposta immune, da cui dipendono i diversi quadri clinici, da sfumati a letali. Ma, soprattutto, le nostre conoscenze genetiche e molecolari dei due protagonisti, aggressore ed ospite, hanno fatto sì che si ottenessero in tempi brevi diversi tipi di vaccini efficaci anti-COVID-19, nella speranza di avere presto un presidio universale contro la maggioranza dei CoV48, che altri, nel prossimo futuro, infesteranno sicuramente il mondo.

Malaria. Nella Tab. 1 sono riportati i dati statistici complessivi di tutte le forme, invero tuttora drammatici; ma, nello specifico, incidenza e mortalità da Pl. falciparum sono in calo, almeno negli adulti, da vent’anni a oggi, grazie all’adozione di filtri quali le zanzariere, la bonifica di aree paludose, l’impiego di farmaci dotati di una certa efficacia, come l’artemisina. L’incidenza globale nel mondo si è ridotta dal 2000 al 2019 del 9%, la mortalità del 27%; in Africa, incidenza e mortalità si sono ridotte, rispettivamente, del 5% e del 26%49. Tutto questo in attesa di un vaccino, che da anni rimane un obiettivo cui si dedicano istituzioni pubbliche e private: numerosi finora sono stati i tentativi e le sperimentazioni fallite, ora, con le tecnologie più moderne, il traguardo sembra prossimo.

Diversa la situazione per le forme da Pl. vivax, che è il parassita predominante nel sud-est asiatico e sud-America: gli indici statistici evidenziano una situazione quasi stazionaria negli ultimi decenni, mentre nelle stesse aree endemiche, ma anche in Africa, aumentano le segnalazioni di resistenza del vivax alla clorochina e altri farmaci50.

Abbiamo sottolineato come il decremento delle infezioni da Pl. falciparum, e mortalità correlata, sia un dato che riguarda gli adulti: tutte le forme di malaria incidono invece con intensità significativa in età infantile, soprattutto < 5 anni, rappresentando, specie in Africa sub-sahariana, una delle maggiori cause di morte a quell’età, senza sostanziali variazioni negli ultimi tempi di rilevazione: tutto questo impone, in paesi tra i più poveri del mondo, complessi programmi di prevenzione e stringenti monitoraggi dell’unità materno-infantile. Se sovrapponiamo le mappe di endemicità della malaria e quelle relative agli stati con stime assolute di “poverty”, le une e le alte praticamente coincidono.

Tra le malattie infettive, la malaria rimane la più emblematica dei paesi gravati da “poverty” e che subiscono passivamente gli effetti dei cambiamenti climatici e dei danni al proprio territorio; si rende perciò indispensabile un modello integrato e complesso per affrontare tutti i fattori di rischio, tenendo conto delle caratteristiche di popolazione e individuali nella risposta ai patogeni e ai vettori51. Un modello siffatto, valido anche per altre infezioni tropicali, potrebbe assemblare e connettere i seguenti parametri riguardanti le comunità:

  1. Ambientali, modifiche e variabilità del clima: temperatura differenziata dell’aria, delle acque, percepita al suolo; precipitazioni medie annue; El Niňo.
  2. Modifiche dell’utilizzo della terra e dei territori, in tema di agricoltura, variazioni di micro-habitat, zone umide e paludose, programmazione della topografia generale di una regione e delle opere di bonifica.
  3. Rischi connessi all’eziopatogenesi della malattia: numero e concentrazione dei vettori, modalità di trasmissione mediante morsi, carica dei parassiti.
  4. Suscettibilità (o resistenza): differenze nella risposta immune fra adulti e bambini, situazione idro-alimentare, percezione del rischio e protezione individuale, risvolti della “poverty” sul benessere fisico e mentale delle popolazioni.
  5. Capacità difensive acquisite della popolazione: uso delle zanzariere, controlli ambientali, livello di preparazione del capofamiglia, comportamenti per migliorare salute e benessere delle famiglie e delle comunità.
  6. Capacità difensive istituzionali: qualità dei sistemi nazionali locali, controllo e lotta alle zanzare, qualità dell’informazione e delle procedure d’istruzione.

Tubercolosi. I numeri riportati nella Tab. 1 non sono esaustivi della situazione globale dell’infezione, non entrando nel merito delle profonde differenze fra aree geografiche riguardo incidenza, mortalità e diffusione di forme cliniche gravi e farmacoresistenti; la malattia tubercolare continua a colpire pesantemente i paesi “storicamente” coinvolti, nelll’Africa sub-sahariana e Asia sud-orientale, ma soprattutto da due/tre decenni si sta diffondendo in Europa dell’est e paesi ex-sovietici52. Se complessivamente indici quali incidenza e mortalità complessiva, fra HIV+ e HIV- hanno avuto un piccolo, ma costante decremento dall’inizio del secolo attuale, siamo comunque lontani non solo dall’eradicazione, ma da una decisa inversione di tendenza nella diffusione della malattia e questo sancisce, in sostanza, il fallimento dei piani a medio-lungo termine dell’OMS che si proponevano di raggiungere cifre ben diverse.

Vi sono anche differenze per quanto riguarda la tubercolosi polmonare ed extrapolmonare: quest’ultima mantiene un’incidenza costante ed è diffusa soprattutto in Africa mediterranea, medio-oriente, Mongolia e Oceania.

In Italia, prima del COVID-19, fino al 2019, erano notificati circa 3300 casi l’anno, di cui il 79.5% nuovi e il 70% forme polmonari; 355 decessi (nel 2019) fra pazienti nuovi e pregressi, ma il dato forse più significativo è l’incremento anche nel nostro paese dei casi MDR-TB, 46, 38 dei quali polmonari e 2 XDR-TB.

L’eradicazione della tubercolosi passa per due grandi sfide nel prossimo futuro: la prima è proprio quella del contenimento delle forme farmaco-resistenti, in aumento in tutto il mondo sia come paesi coinvolti, ormai più di 60, sia come aree geografiche interessate, quelle “storiche” ma soprattutto l’est europeo, sia infine nella tipologia di resistenze, alla rifampicina, ad altri farmaci di prima e seconda scelta, o totalmente resistenti (XDR-TB). Fra i numeri più significativi, segnaliamo la percentuale di MDR-TB tra i nuovi casi e quelli precedentemente trattati, 3.4% e 18%, rispettivamente. È stato osservato che fra i casi resistenti alla rifampicina, solo la metà reagisce positivamente a farmaci di seconda scelta, e quasi il 40% diviene XDR-TB. Pochi dati, questi, emblematici della nuova situazione della malattia e delle forme cliniche che caratterizzeranno i prossimi anni: come illustreremo più avanti, diventa sempre più urgente riprendere la ricerca di nuove molecole che possano affiancare o sostituire quelle convenzionali, al fine di aumentare l’armamentario farmacoterapeutico a disposizione del clinico.

La seconda sfida è quella di trovare un nuovo vaccino, preventivo e/o curativo: acquisita ormai da anni l’obsolescenza del BCG, si battono nuove vie che coinvolgano tutta l’immunità antitubercolare, il complesso network di cellule e mediatori che a vario titolo entrano nell’interazione micobatterio-ospite53; vaccini sperimentati sono stati molti, oggi una quindicina di preparati sono in fase 1-2 o 3, i risultati per ora rimangono sostanzialmente scarsi54.

HIV. Sono ormai diversi decenni che l’Africa australe è l’area geograficamente più colpita, rispetto al resto del mondo, con i maggiori indici di incidenza e mortalità, riassumendo tutte le condizioni e i comportamenti a rischio che favoriscono i contagi; inoltre, proprio là dove la malattia è maggiormente diffusa, si hanno le peggiori condizioni per curare con farmaci adeguati, favorire l’aderenza ai trattamenti, e aumenta il riscontro di resistenze a nuovi e vecchi antivirali. Purtroppo questo scenario si sta diffondendo anche altrove, persino in Europa, dove, all’aumento dei casi di HIV nei paesi dell’est e baltici, corrisponde negli stessi un impiego e un’aderenza verso HAART limitati55.

In Italia il numero di nuovi casi è in lenta, costante diminuzione, attestati a < 5 per 100.000 abitanti, nella media dei paesi dell’Europa occidentale; altrove, nel nostro continente, in Romania e Ucraina abbiamo valori fra 5 e 10, in Grecia e paesi baltici > 10; soprattutto si è avuto un crollo dell’incidenza fra eterosessuali e tossicodipendenti, mentre la quota di nuovi casi permane invariata tra MSM e bisessuali56.

Il problema delle resistenze agli antivirali è divenuto di primaria importanza: la frequenza rilevata verso HAART in popolazioni naive riguarda tutte le aree geografiche in cui l’infezione è diffusa con incidenza più (Africa) o meno (Europa) marcata; un modello predittivo di comparsa di nuove mutazioni in HIV associate a resistenza agli antivirali, in diverse zone del mondo, ha stimato nei prossimi anni un incremento in Europa e America latina, in particolare di quelle correlate con resistenza verso nevirapina ed efavirenz57.

Epatiti B e C. Storia naturale e decorso clinico di queste infezioni sono mutate radicalmente negli ultimi decenni: nel caso di HBV, da 30 anni a oggi, con l’introduzione del vaccino, per HCV, più di recente, con l’impiego di antivirali specifici di ultima generazione che possono portare all’abbattimento completo e permanente della viremia, persino alla guarigione58. Il problema è che la copertura vaccinale anti-HBV è largamente insufficiente (<50% e oltre), in Africa, India e sud-est asiatico, proprio nelle aree di maggior circolazione del virus, e analoga situazione si ripropone per la diffusione, la disponibilità, l’accesso e l’aderenza alle cure con i nuovi farmaci anti-HCV, peraltro assi costosi, là ove l’epatite C incide maggiormente. Pertanto, se non si interviene nella biodisponibilità di farmaci e vaccini più diffusamente, anche riducendone i costi, si prospetta per il prossimo futuro uno scenario di ulteriore emarginazione per le popolazioni a maggior rischio d’infezione e allargare, anche in questo campo, il divario fra paesi ricchi e paesi in “poverty59. Anche per quanto riguarda vecchi e nuovi antivirali impiegati nelle infezioni da HBV e HCV dobbiamo prendere in considerazione il problema delle resistenze; si stima che, fra le mutazioni note associate a resistenza a Boceprevir e Telaprevir, alcune, nel prossimo futuro, aumenteranno consistentemente: V36A/M + R155K/T del 70%, A156V/T fino al 400%, V36A/M + R156K/T >700%. Inoltre si affacciano mutazioni di nuova individuazione associate a resistenza verso inibitori delle proteasi NS3/NS4, almeno una quindicina, che determinano resistenza a Telaprevir, Boceprevir, Faldaprevir, Danoprevir, Vaniprevir e Sineprevir. Pertanto non deve essere assolutamente abbassata la guardia nella sorveglianza e nel riscontro di vecchie e nuove mutazioni, ma anche va proseguita la ricerca di ulteriori molecole per incrementare l’armamentario antivirale60.

Morbillo. La copertura vaccinale anti-morbillo e la riduzione di incidenza e mortalità della malattia sono indicatori, proposti dall’OMS, di wellness delle popolazioni; numerose campagne per incrementare la diffusione di questo vaccino sono state attuate negli ultimi 40 anni, abbassando drasticamente il numero e le conseguenze più gravi di piccole e grandi epidemie, specie in Africa, che causano ancora tanti morti e non solo in età infantile61. A metà degli anni ’80 del secolo passato si è avuto un netto incremento dei bambini vaccinati, fino ad una media globale, oggi, dell’80%, ma ancora con profonde differenze nelle diverse aree del mondo, mentre il numero di nuove infezioni/l’anno si è attestato a 500.000, rispetto agli oltre 5.000.000 di 40 anni fa. La copertura vaccinale è ancora largamente insufficiente in buona parte dell’Africa, India e Indocina, si è drammaticamente ridotta in paesi belligeranti come Siria (< 40%), Nigeria e Afghanistan, ma anche USA, Italia, Francia e Gran Bretagna hanno visto negli ultimi anni un rallentamento delle vaccinazioni, persino < 80% (finchè non sono state adottate misure obbligatorie connesse con la frequenza scolastica), per diverse cause, come, ad esempio, le conseguenze dannose della diffusione su riviste mediche prestigiose di fake news, veri imbrogli, riguardanti i rapporti tra vaccino e autismo. In USA e Italia la copertura vaccinale non è uniforme: largamente deficitaria nel primo negli stati del sud, ove si sono verificate diverse epidemie, mentre da noi la copertura non supera l’80% nelle regioni del nord-est e vi è una forte sperequazione fra prima dose e ciclo completo62. Nei paesi in cui i contagi evidenziano valori ancora elevati, come l’Africa centro-meridionale, il miglioramento indubbio, anche se non pienamente soddisfacente, della copertura vaccinale ha comunque ridotto la mortalità infantile per morbillo negli ultimi 20 anni di oltre il 70%63.


Farmacoresistenze

È un problema non nuovo, trascurato e sottovalutato, in costante incremento; se osserviamo la cronologia della scoperta degli antibiotici e dei primi report riguardanti le resistenze, ci rendiamo conto come queste ultime abbiano sempre seguito a breve l’individuazione di un nuovo chemioterapico, ai successi si sono affiancati in tempi stretti i primi riscontri di ceppi resistenti. Così è stato per la Penicillina dal 1943, Tetraciclina dal 1950, Eritromicina dal 1953, Gentamicina dal 1967, e via di seguito; del resto, gli scopritori delle diverse molecole, da Fleming in poi64, avevano da subito sottolineato la possibilità di selezione di ceppi resistenti a vecchie e nuove molecole ad azione antibatterica, fenomeno che ha iniziato ad aumentare dal 1960 con una curva in lenta ma costante crescita. Soprattutto negli ultimi decenni assistiamo ad un altro particolare, l’aumento, verso una determinata molecola, del numero e della tipologia di specie o ceppi batterici ad essa resistenti65.

Un fenomeno preoccupante, ben dimostrato in Europa e USA (ancora poco studiato altrove) è la correlazione fra aumento delle antibioticoresistenze e incremento della temperatura ambientale66: il costante e persistente innalzamento di quest’ultima, come osserviamo oggi, seleziona ceppi più resistenti a diversi fattori fisico-chimici esogeni (temperatura, ma non solo) e alcune mutazioni possono riguardare tanto l’adattamento a situazioni termiche più elevate, quanto la farmacoelusione; in altre parole, batteri che ben si adattano alle mutate condizioni climatiche sono altresì capaci, attraverso caratteri genetici ereditati o neo-acquisiti, di eludere l’armamentario farmacologico. Del resto conosciamo bene il problema dell’antibioticodispersione nel suolo, nelle acque e nell’ambiente, anche in conseguenza di un eccessivo uso dei farmaci in questione in agricoltura e zootecnia, oltre che nella filiera industriale produttiva, per cui è indubbio che solo i ceppi geneticamente meglio attrezzati resistono in un mondo sempre più inquinato, caldo e pieno di farmaci67.

Nella Tab. 7 sono riportate le motivazioni alla base del fenomeno, tutti fattori fra loro interconnessi, che portano ad un impiego quali-quantitativo irrazionale degli antibiotici: uso eccessivo, smodato, anche senza prescrizione medica, dispersione nell’ambiente, sono le cause principali, ma non uniche, che hanno determinato la situazione attuale e, probabilmente, un trend ulteriormente in crescita per il futuro68. Nella Tab. 8 abbiamo illustrato una serie di misure d’intervento per stoppare le resistenze agli antibiotici, e gli steps fondamentali per prevenire origine e disseminazione di batteri resistenti, a diversi livelli d’azione69.

Fra le tante situazioni oggi divenute emergenze cliniche, approfondiamo brevemente la farmacoresistenza nella malattia tubercolare. È questo un ulteriore macigno che si aggiunge, in numerosi paesi ove l’infezione incide maggiormente e con quadri clinici ancor oggi destruenti, ad altri, quali la coinfezione TB-HIV, la scarsità di risorse economiche, le capacità e possibilità gestionali limitate o arretrate. Spesso si passa dalla resistenza a farmaci primari come la rifampicina a forme MDR o persino XDR-TB. Nel 2020, poco prima dell’esordio della pandemia COVID-19, l’OMS ha aggiornato una lista di nazioni, in cui 3 eventi si sovrappongono: tubercolosi polmonare ed extrapolmonare ad alta incidenza, coinfezione TB-HIV frequente, incremento di casi MDR/XDR-TB: i paesi sono 30, dislocati perlopiù in Africa australe e sud-est asiatico, ma anche, new entries, ex Unione Sovietica.

Diversi report, dell’OMS, ma non solo, richiamano l’attenzione sui fondi stanziati per la prevenzione, la diagnosi e il trattamento della tubercolosi, in totale, per forme TB/HIV+ e MDR-TB: dal 2006 a oggi sono incrementati, ma risultano ancora insufficienti, mal distribuiti e mal gestiti soprattutto in quei 30 paesi (ecco l’importanza di aggiornare la lista) summenzionati in cui, al contrario, occorrerebbero più risorse e meglio investite70.

Osservando i dati statistici su base geografica, notiamo quanto segue:

  1. la resistenza primaria alla rifampicina tra i nuovi casi di tubercolosi (2019) è sì diffusa fra i 30 paesi di cui sopra, ma anche in America Latina e Messico;
  2. MDR-TB, sia tra i nuovi casi, che tra quelli già trattati (2019), sta avanzando pericolosamente nell’Europa dell’est, Russia europea e asiatica, ex stati sovietici;
  3. la percentuale di casi MDR-TB in cui viene eseguito il test di suscettibilità per gli antibiotici di seconda linea è largamente insufficiente non solo in Africa, ma anche in America Latina: la motivazione è da ricercare nell’esiguità dei laboratori attrezzati. Il fenomeno è però segnalato anche in Cina.

Le regioni genomiche associate con una riduzione di suscettibilità ai farmaci anti-tubercolari, individuate grazie al sequenziamento del genoma di M. tuberculosis, riguardano vecchie e nuove molecole, antibiotici di prima o seconda scelta; negli ultimi anni  sono state individuate ulteriori mutazioni geniche, sia assolutamente nuove tra i micobatteri e specifiche di questi, che trasmesse loro orizzontalmente da altri microrganismi, connesse con resistenze farmacologiche71: tutto questo dà il polso di una situazione in evoluzione da affrontare con risorse e ricerca a tutto campo.

Un’ultima osservazione riguarda i costi: la gestione economica di un malato MDR/XDR-TB è ben diversa da quella di un paziente suscettibile, con un divario che può arrivare, nei casi più impegnativi, a superare le centinaia, persino migliaia di euro o dollari. È un ulteriore argomento che deve sensibilizzare gli operatori sanitari ad intensificare monitoraggio, gestione e ricerca specifica nel tema delle vecchie e nuove resistenze farmacologiche del M. tuberculosis.

 


Tab. 7. Fattori e motivazioni, fra loro interconnessi, che determinano un uso irrazionale degli antibiotici68.

 

 

 


Tab. 8. Misure d’intervento per stoppare le resistenze agli antibiotici. Steps fondamentali per prevenire l’insorgere e la disseminazione di batteri resistenti, a diversi livelli d’azione69.


 


Nuovi farmaci

Nella Tab. 9 sono illustrati approcci innovativi e percorsi differenziati per scoprire nuovi antibiotici72; ci piace sottolineare, tra le modalità delineate, il recupero critico, alla luce delle conoscenze attuali, di molecole, antibiotici o altro, in passato frettolosamente accantonate. L’impiego dell’intelligenza artificiale, di software dedicati, soprattutto di programmi di autoapprendimento sono ad un tempo sistemi teorici e mezzi operativi ormai insostituibili.

Inserendo la tubercolosi come paradigma anche di questo capitolo, ricordiamo come l’OMS, nei prossimi piani di controllo e/o eradicazione della malattia, da attuare entro il 2025, ha fissato 10 target raccomandati e validi per tutti i paesi: fra questi, l’implementazione dell’utilizzo, fino al 100%, in tutti i pazienti, dei test di farmacosensibilità (stimolando l’allestimento di test rapidi e facilmente eseguibili, in particolare in LMICs, nel primo riscontro di malattia e delle resistenze); l’impiego, nei test di secondo livello, delle tecniche più aggiornate di sequenziamento per il rilievo di vecchie e nuove mutazioni correlate alle resistenze; infine, ma non ultima, l’implementazione nella ricerca di nuovi farmaci, auspicandone, dopo accurate selezione e procedura sperimentale, e quindi l’approvazione da parte degli enti preposti, l’impiego e la diffusione, la più ampia possibile, nelle popolazioni.

La ricerca ha ripreso vigore: oggi diverse molecole sono in sperimentazione, 9 in fase I, 12 in fase II, 15 in fase III; trattasi di principi attivi totalmente nuovi, o recuperati dopo precedenti insuccessi, da impiegare singolarmente o in associazione, comunque un ampio ventaglio di possibilità da cui, si spera, possano uscire farmaci in grado di affiancare quelli convenzionali e aggredire la tubercolosi proprio nelle situazioni che più preoccupano, le forme mono o poliresistenti.

Comunque è tutta l’industria farmaceutica che da qualche tempo sta nuovamente rivolgendo particolare attenzione alla ricerca di nuovi antibiotici in diversi campi: così nelle infezioni respiratorie non-tubercolari assistiamo ad una “new age”, quale non si vedeva dagli anni ‘80/’90 del secolo passato; in USA l’FDA ha approvato, nel biennio 2020/21, dunque in epoca COVID-19, 9 nuovi antibiotici, e altri 10 sono in fase avanzata di approvazione. Anche in questi casi si tratta di molecole scovate, fra migliaia, dall’A.I., e la sorpresa è stata nel ritrovare principi attivi già scartati e oggi riproposti da soli o in associazione sulla base di nuove conoscenze73.

 


Tab. 9. Approcci e percorsi differenziati per scoprire nuovi antibiotici72.

 


Vaccini

La gran parte dei temi: nuovi preparati e nuove tecnologie, copertura della popolazione, diffusione, disponibilità e accesso ai vaccini, negazionismo e avversione, fake news, antagonismo scienza-antivaccinisti, sono stati ampiamente discussi nella conferenza tenuta presso l’Accademia Lancisiana nel 2017, al cui testo si rimanda1; la pandemia COVID-19, soprattutto nel momento in cui sono stati preparati e diffusi vaccini specifici, ha accentuato l’interesse per tutta la materia, e ne è scaturito un dibattito, talora con toni accesi e non sempre lucidi e sereni, un vero e proprio scontro tra chi si affida alla ricerca scientifica e chi la rifiuta con atteggiamenti aprioristicamente irrazionali e immotivati.

A complemento e aggiornamento di quanto esposto in quella conferenza, possiamo aggiungere:

  1. I tentativi di impiegare mRNA per veicolare antigeni o geni, nell’allestimento di un vaccino, sono iniziati ben 30 anni fa, i primi successi datano 2015, soprattutto in zootecnia e veterinaria, COVID-19 ha dato la spinta definitiva fornendoci un oceano di nuove conoscenze metodologiche che saranno preziose anche per altri vaccini74.
  2. I tempi necessari a trasferire una teoria scientifica in tecnologia per ottenere vaccini sicuri ed efficaci, si sono ridotti progressivamente dall’ordine degli anni a pochi mesi, come dimostrano i successi del 2020/21 nella profilassi anti-COVID-19. È questo un dato essenziale se vogliamo, oggi e ancor più, domani, fermare pandemie su scala globale da patogeni di nuovo riscontro75.
  3. La ricerca vaccinologica oggi è impegnata sia nella immunoprofilassi di malattie infettive verso le quali, finora, non si è ancora riusciti ad ottenere un vaccino sicuro ed efficace (il caso più paradigmatico è quello della malaria), sia nel miglioramento di preparati obsoleti o che han perso parte della propria efficacia per mutate interazioni immunologiche microrganismo-ospite (antrace, micobatteriosi, malattie esantematiche dell’infanzia). Il sequenziamento completo dei genomi di numerosi agenti patogeni e la miglior conoscenza dell’armamentario di aggressione e virulenza dei microrganismi, in particolare le capacità di mutare la struttura antigenica e di eludere l’immunità dell’ospite, impongono un aggiornamento continuo dei vaccini (influenza, COVID-19)76.
  4. L’obiettivo ambizioso che i ricercatori si sono prefissati, nei prossimi anni, è di arrivare ad una “vaccinologia di precisione”, se non propriamente personalizzata: utilizzando gli approcci più innovativi, dall’impostazione teorica, ai modelli sperimentali su animali e uomo, all’impiego di transcriptomica, proteomica, metabolomica e genomica e quant’altro siamo riusciti a creare, il vaccino del prossimo futuro si avvicinerà sempre più alle esigenze del singolo o di coorti di pazienti omologhi. L’allestimento di vaccini curativi in oncologia, in cui il target è l’assetto antigenico della cellula neoplastica, può insegnare nuovi percorsi procedurali anche in infettivologia, e saranno a breve protagoniste le tecniche di editing recentemente introdotte come CRISP-CaS977.
  5. Il ventaglio di possibili vettori per un vaccino, affinchè interagisca con le cellule umane, è assai ampio: frammenti genetici (RNA, DNA), virus, nanoparticelle, nanoemulsioni, liposomi e supporti totalmente sintetici; ognuno ha i suoi pregi e limiti, ma disporre di così tante possibilità, e altre sono in progetto, accresce la ricerca, caso per caso, vaccino per vaccino, della strada ottimale per portare geni o antigeni a stimolare la nostra immunità.
  6. Come insegna la pandemia COVID-19, la prevenzione e il trattamento delle infezioni più impegnative passa da un approccio multidisciplinare, vaccini, ma non solo: non dobbiamo dimenticare gli anticorpi monoclonali, i nuovi antibiotici e antivirali, i farmaci biologici ad attività anti-infiammatoria, tutti presidi “costruiti” mediante le nuovissime tecnologie78.
  7. Il confronto fra le mappe, di oggi e di due-tre decenni fa, della copertura vaccinale nel mondo, per quanto riguarda le vaccinazioni-base dell’infanzia, mostra significativi miglioramenti, ma anche diverse criticità: la situazione è peggiorata nei paesi belligeranti, ma anche in nazioni, USA, Francia, nord-Europa, ove ci aspetteremmo un plateau stabilmente elevato. Ben vengano dunque nuovi programmi EPI/OMS per implementare, nelle diverse aree geografiche, le vaccinazioni maggiormente deficitarie e campagne di sensibilizzazione e informazione che spazzino via fake news, propaganda antiscientifica, e accrescano la conoscenza di ciò che viene preparato e diffuso per salvare le vite e per il benessere di tanti bambini79.


Conclusioni

COVID-19 ha già lasciato molti insegnamenti, oltre una eredità tecnologica in tema di allestimento di farmaci e vaccini, su larga scala, con nuovissime procedure, dunque un bagaglio culturale e scientifico prezioso per il futuro.

E, si spera, abbiamo acquisito la consapevolezza che in un mondo in cui tutto è globalizzato, salute e malattie comprese, nessuno può difendersi e salvarsi da solo: in termini geografici, economici, di politica e gestione interdisciplinare socio-sanitaria. La medicina da sola può poco contro le malattie dovute ai cambiamenti climatici e alla «poverty», così come lo sviluppo economico deve tener conto degli aspetti sanitari. La salute è inevitabilmente globale, come le malattie, non conosce confini: i deficit (economici, ma non solo…), le mancanze, l’ignoranza culturale e scientifica di alcuni, coinvolgono negativamente e travolgono il mondo intero.

Vogliamo concludere con le parole di Carlo Urbani, medico che ha sacrificato sé stesso durante l’epidemia SARS-CoV-1, quando nel 1999 ritirò il premio Nobel per la pace assegnato a “Medici senza frontiere”: «…in tutti i consessi internazionali si ripete che in Africa e parte dell’Asia la causa della gran parte delle malattie infettive è una sola: la povertà. Oggi abbiamo consapevolezza che la mano dell’uomo, sull’ambiente e il clima, ne è corresponsabile. Quando arrivai in Africa fresco di studi scoprii che la gente moriva sì di malattie «strane» e dimenticate, ma anche e soprattutto di diarrea e infezioni respiratorie, curabilissime altrove con farmaci da pochi soldi, ma qui spesso introvabili. L’accesso ai farmaci essenziali è una sfida ineludibile, che richiede di dedicare ogni energia a noi,…noi che abbiamo il privilegio di fare un lavoro che ci fa guardare le persone negli occhi, ci fa toccare le persone, da quella posizione di prossimità agli individui violati…continueremo a chiamare i politici al loro dovere, gridando ai microfoni la sofferenza dei nostri pazienti, per un’azione alle radici dei mali che osserviamo…siamo convinti che anche se le parole non salvano le vite umane, il silenzio le uccide»80.


BIBLIOGRAFIA

  1. Belli F. I vaccini nel XXI secolo, tra evidenze scientifiche e disinformazione. Il punto sull’immunoprofilassi delle infezioni critiche: tubercolosi, malaria, HIV, HCV. Atti Acc Lancisiana 2017; 61: 1-23.
  2. Weiss RA, McMichael AJ. Social and environmental risk factors in the emergence of infectious diseases. Amer J Nat Med 2004; 10(12 Suppl) :70-6.
  3. Nicoletti M. Three scenarios in insect-borne diseases. Insect-Borne diseases in the 21st century 2020: 99-251.
  4. De Rycker M. Challenges and recent progress in drug discovery for tropical diseases. Nature 2018; 559: 498-506.
  5. Murray KA, Olivero J, Roche B, Tiedt S, Guégan JF. Pathogeography: leveraging the biogeography of human infectious diseases for global health management. Ecography 2018; 41: 1411-27.
  6. Bekker LG, Alleyne G, Baral S et al. Advancing global health and strengthening the HIV response in the era of the Sustainable Development Goals: the International AIDS Society-Lancet Commission.  Lancet 2018; 392: 312-58.
  7. MacLennan CA, Saul A. Vaccines against poverty. Proc Natl Acad Sci 2014; 111: 12307-12.
  8. Hotez PJ, Aksoy S, Brindley PJ, Kamhawi S. World neglected tropical diseases day. PLoS Negl Trop Dis 2020; 14: e0007999.
  9. Furuse Y. Analysis of research intensity on infectious disease by disease burden reveals which infectious diseases are neglected by researchers. Proc Natl Acad Sci 2019; 116: 478-83.
  10. Mueller-Langer F. Neglected infectious diseases: are push and pull incentive mechanisms suitable for promoting drug development research? Health Econ Policy Law 2013; 8: 185-208.
  11. Cultrera R. le malattie dimenticate. Ferrara: University Press, 2016.
  12. Karlsson EK, Kwiatkowski DP, Sabeti PC. Natural selection and infectious diseases in human populations. Nat Rev Gen 2014; 15: 379-93.
  13. Francis ME, King ML, Kelvin AA. Back to the future for Influenza preimmunity—Looking back at Influenza virus history to infer the outcome of future infections. Viruses 2019; 11: 122. doi: 10.3390/v11020122.
  14. Kumar B, Asha K, Khanna M, et al. The emerging influenza virus threat: status and new prospects for its therapy and control. Arch Virol 2018; 163: 831-44.
  15. Krammer F, Smith GJ, Fouchier RA, et al. Influenza. Nat Rev Dis Primers 2018; 4: 3.
  16. Jones KE, Patel NG, Storeygard A, et al. Global trends in emerging infectious diseases. Nature 2008; 451: 990-3.
  17. Morens DM, Folkers GK, Fauci AS. Emerging infections: a perpetual challenge. Lancet Infect Dis 2008; 8: 710-9.
  18. Wolfe ND, Dunavan CP, Diamond J. Origins of major human infectious diseases. Nature 2007; 447: 279-83.
  19. Nissan H, Ukawuba I, Thomson M. Climate-proofing a malaria eradication strategy. Malar J 2021; 20: 190. Correction in: Malar J 2021; 20: 215.
  20. Heffernan C. Climate change and multiple emerging infectious diseases. Vet J 2018; 234: 43-7.
  21. Belli F. COVID-19. Identikit di un virus. Atti Acc Lancisiana 2021; 65: 163-89.
  22. Booth M. Climate change and the neglected tropical diseases. Adv Parasitol 2018; 100: 39-126.
  23. Molinari M. Atlante del mondo che cambia. Milano: Rizzoli, 2020.
  24. Hess J, Boodram LG, Paz S, Stewart Ibarra AM, Wasserheit J, Lowe R. Strengthening the global response to climate change and infectious disease threats. BMJ 2020; 371: m3081.
  25. Parry L, Radel C, Adamo SB, et al. The (in)visible health risks of climate change. Soc Sci 2019; 241: 112448.
  26. Berry P, Enright PM, Shumake-Guillemot J, Villabodos Prats E, Campbell-Lendrum D. Assessing health vulnerabilities and adaptation to climate change: a review of international progress. Int J Environ Res Public Health 2018; 15: 2626.
  27. Burkert A, Douglas TA, Waldrop MP, Mackelprang R. Changes in the active, dead, and dormant microbial community structure across a Pleistocene permafrost chronosequence. Appl Environ Microbiol 2019; 85: e02646-18.
  28. Liang R, Lau M, Vishnivetskaya T, et al. Predominance of anaerobic, spore-forming bacteria in metabolically active microbial communities from ancient siberian Permafrost. Appl Environ Microbiol 2019; 85: e00560-19.
  29. Hofmeister AM, Seckler JM, Criss GM. Possible roles of permafrost melting, atmospheric transport, and solar irradiance in the development of major Coronavirus and Influenza pandemics. Int J Environ Res Public Health 2021; 18: 3055.
  30. Jacob ST, Crozier I, Fischer WA, et al. Ebola virus disease. Nat Rev Dis Primers 2020; 6: 13.
  31. Coltart Cordelia CE, Lindsey B, Ghinai I, Johnson AM, Heymann DL. The Ebola outbreak, 2013–2016: old lessons for new epidemics. Philos Trans R Soc Lond B Biol Sci 2017; 372: 20160297.
  32. Chang C, Ortiz K, Ansari A, Gershwin ME. The Zika outbreak of the 21st century. J Autoimmun 2019; 68: 1-13.
  33. Noorbakhsh F, Abdolmohammadi K, Fatahi Y, et al. Zika virus infection, basic and clinical aspects: a review article. Iran J Public Health 2019; 48: 20-31.
  34. Habarugira G, Suen WW, Hobson-Peters J, Hall RA, Bielefeldt-Ohmann H. West Nile Virus: an update on pathobiology, epidemiology, diagnostics, control and “One Health” implications. Pathogens 2020; 9: 589.
  35. Chancey C, Grinev A, Volkova E, Rios M.  The global ecology and epidemiology of West Nile Virus. Biomed Res Int 2015; 376230.
  36. Viennet E, Ritchie SA, Williams CR, Faddy HM, Harley D. Public health responses to and challenges for the control of Dengue transmission in High-Income Countries: four case studies. PLoS Negl Trop Dis 2016; 10: e0004943.
  37. Shearer FM, Longbottom J, Browne AJ, et al. Existing and potential infection risk zones of Yellow Fever worldwide: a modelling analysis.  Lancet Glob Health 2018; 6: 270-8.
  38. Kuno G. The absence of Yellow Fever in Asia: history, hypotheses, vector dispersal, possibility of YF in Asia, and other enigmas. Viruses 2020; 12: 1349-87
  39. Moizèis RNC, Fernandes TAAM, Guedes PMDM, et al. Chikungunya fever: a threat to global public health. Pathog Glob Health 2018; 112: 182-94.
  40. Klohe K, Amuasi J, Moriku Kaducu J, et al. The 2017 Oslo conference report on neglected tropical diseases and emerging/re-emerging infectious diseases – focus on populations underserved. Infect Dis Poverty 2019; 8: 40.
  41. Engels D, Zhou XN. Neglected tropical diseases: an effective global response to local poverty-related disease priorities.  Infect Dis Poverty 2020; 9: 10.
  42. Kruk ME, Gage AD, Arsenault C, et al. High-quality health systems in the Sustainable Development Goals era: time for a revolution. Lancet Glob Health 2018; 6: 1196-252.
  43. Soergel B, Kriegler E, Bodirsky BL, Bauer N, Leimbach M, Popp A. Combining ambitious climate policies with efforts to eradicate poverty. Nat Commun 2021; 12: 2342.
  44. Bukhman G, Mocumbi AO, Atun R, et al. The Lancet NCDI Poverty Commission: bridging a gap in universal health coverage for the poorest billion. Lancet NCDI Poverty Commission Study Group. Lancet 2020; 396: 991-1044.
  45. Barocchi MA, Rappuoli R. Delivering vaccines to the people who need them most.  Philos Trans R Soc Lond B Biol Sci 2015; 370: 20140150.
  46. Hotez PJ, Gurwith J. Europe's neglected infections of poverty. Int J Infect Dis 2011; 15: 611-9.
  47. Zhao X, Ding Y, Du J, Fan Y. 2020 update on human Coronaviruses: One Health, One World. Med Nov Technol Devices 2020; 8: 100043.
  48. Shang J, Han N, Chen Z, et al. Compositional diversity and evolutionary pattern of Coronavirus accessory proteins. Brief Bioinform 2020: bbaa262. doi: 10.1093/bib/bbaa262.
  49. Weiss DJ, Lucas TC, Nguyen M, et al. Mapping the global prevalence, incidence, and mortality of Plasmodium falciparum, 2000-17: a spatial and temporal modelling study. Lancet 2019; 394: 322-31.
  50. Howes RE, Battle KE, Mendis KN, et al. Global epidemiology of Plasmodium vivax. Am J Trop Med Hyg 2016; 95: 15-34.
  51. Onyango E, Sahin O, Awiti A, Chu C, Mackey B. An integrated risk and vulnerability assessment framework for climate change and malaria transmission in East Africa. Malar J 2016; 15: 551.
  52. Murray CJL, Ortblad KF, Guinovart C, et al. Global, regional, and national incidence and mortality for HIV, tuberculosis, and malaria during 1990–2013: a systematic analysis for the “Global Burden of Disease Study 2013”. Lancet 2014; 384: 1005-70.
  53. Hawn T, Day T, Scriba T, et al. Tuberculosis vaccines and prevention of infection. Self Microbiol Mol Biol Rev 2014; 78: 650-71.
  54. Sable SB, Posey JE, Scriba TJ. Tuberculosis vaccine development: progress in clinical evaluation. Clin Microbiol Rev 2019; 33: e00100-19.
  55. Buchbinder SP, Liu AY. CROI 2016: hot spots in HIV infection and advances in HIV prevention. MPH Top Antivir Med 2016; 24: 10-28.
  56. Csete J, Kamarulzaman A, Kazatchkine M, et al. Public health and international drug policy: report of the Johns Hopkins – Lancet Commission on drug policy and health. Lancet 2016; 387: 1427-80.
  57. Rhee SY, Blanco JL, Jordan MR, et al. Geographic and temporal trends in the molecular epidemiology and genetic mechanisms of transmitted HIV-1 drug resistance: an individual-patient- and sequence-level meta-analysis. PLoS Med 2015; 12: e1001810.
  58. Schillie S, Vellozzi C, Reingold A, et al. Prevention of Hepatitis B Virus infection in the United States: recommendations of the Advisory Committee on Immunization Practices. MMWR Recomm Rep 2018; 67: 1-31.
  59. Nelson NP, Easterbrook PJ, McMahon BJ. Epidemiology of Hepatitis B Virus infection and impact of vaccination on disease. Clin Liver Dis 2016; 20: 607-28.
  60. Ansaldi F, Orsi A, Sticchi L, Bruzzone B, Icardi G. Hepatitis C Virus in the new era: perspectives in epidemiology, prevention, diagnostics and predictors of response to therapy. World J Gastroenterol 2014; 20: 9633-52.
  61. Moss WJ. Measles control and the prospect of eradication. Measles 2009; 330: 173-89.
  62. Coughlin MM, Beck AS, Benkamp B, Rota P. Perspective on global measles epidemiology and control and the role of novel vaccination strategies. Viruses 2017; 9: 11.
  63. Adamo G, Baccolini V, Massimi A, et al. Towards elimination of measles and rubella in Italy: progress and challenges. PLoS One 2019; 14: e0226513.
  64. Zaman SB, Hussain MA, Nye R, Mehta V, Mamun KT, Hossain N. A review on antibiotic resistance: alarm bells are ringing. Cureus 2017; 9: e1403.
  65. Olesen SW, Barnett ML, MacFadden DR, et al. The distribution of antibiotic use and its association with antibiotic resistance. Elife 2018; 7: e39435.
  66. MacFadden D, McGough S, Fisman D, Santillana M, Brownstein J. Antibiotic resistance increases with local temperature. Open Forum Infectious Diseases 2017; 4 (Suppl 1): S179-S179.
  67. McGough SF, MacFadden DR, Hattab MW, Molbak K, Santillana M. Rates of increase of antibiotic resistance and ambient temperature in Europe: a cross-national analysis of 28 countries between 2000 and 2016. Euro Surveill 2020; 25: 1900414.
  68. Machowska A, Stalsby-Lundborg C. Drivers of irrational use of antibiotics in Europe. Int J Environ Res Public Health 2019; 16: 27.
  69. Roca I, Akova M, Baquero F, et al. The global threat of antimicrobial resistance: science for intervention. New Microbes New Infect 2015; 6: 22-9.
  70. Global tuberculosis report 2015 WHO/HTM/TB/2015.22. Geneva: World Health Organization 2015, accessed June 2019: www.who.int/iris/bitstream/handle_eng
  71. Mathema B, Kurepina NE, Bifani PJ, Kreiswirth BN. Molecular epidemiology of tuberculosis: current insights. Clin Microbiol Rev 2006; 19: 658-85.
  72. Venter H, Blaskovich MA, Butler MS. Polishing the tarnished silver bullet: the quest for new antibiotics. Essays Biochem 2017; 61: 103-14.
  73. Russo A. Spotlight on new antibiotics for the treatment of pneumonia. Clin Med Insights Circ Respir Pulm Med 2020; 14: 1179548420982786.
  74. De Gregorio E, Rappuoli R. From empiricism to rational design: a personal perspective of the evolution of vaccine development. Nat Rev Immunol 2014; 14: 505-14.
  75. Rappuoli R, Pizza M, Del Giudice G, De Gregorio E. Vaccines, new opportunities for a new society. Proc Natl Acad Sci 2014; 111: 12288-93.
  76. Walvogel FA. Infectious diseases in the 21st century: old challenges and new opportunities. Int J Infect Dis 2004; 8: 5-12.
  77. Borriello F, Van Haren SD, Levy O. First International Precision Vaccines Conference: Multidisciplinary approaches to Next-Generation Vaccines. mSphere 2018; 3: e00214-18.
  78. Bloom D, Black S, Rappuoli R. Emerging infectious diseases: A proactive approach. Proc Natl Acad Sci 2017;114: 4055-9.
  79. Rey-Jurado E, Tapia F, Muñoz-Durango N, et al. Assessing the importance of domestic vaccine manufacturing centers: an overview of immunization programs, vaccine manufacture, and distribution. Front Immunol 2018; 9: 26.
  80. Urbani C. Le malattie dimenticate. Milano: Feltrinelli, 2002.