Anno Accademico 2022-2023
Vol. 67, n° 1, Gennaio - Marzo 2023
Simposio: Il paziente pediatrico al bivio tra terapie cardiovascolari avanzate e prospettive di vita
22 novembre 2022
Simposio: Il paziente pediatrico al bivio tra terapie cardiovascolari avanzate e prospettive di vita
22 novembre 2022
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“L’affermazione di una autonomia, funzione ancora in formazione, profondamente caratterizzata dall’esperienza della sofferenza in relazione alle aspettative del Clinico ed alle attese della Famiglia”.
Diritto alla salute e minori d’età
La Convenzione sui diritti dell’infanzia rappresenta lo strumento normativo internazionale più importante e completo in materia di promozione e tutela dei diritti dei bambini (ONU, 1989). Secondo la definizione della Convenzione sono "bambini-adolescenti" gli individui di età inferiore ai 18 anni (art. 1), il cui interesse deve essere tenuto in primaria considerazione in ogni circostanza (art. 3).
La Convenzione tutela:
Tali documenti (in particolare l’art. 12 e 13) prevedono due principi generali a cui far riferimento nel coinvolgimento del minore nei processi decisionali di salute. Il primo è quello del superiore interesse dello stesso, identificato come criterio-guida in tutte le decisioni nell’ambito del diritto minorile; questo prevede che “in tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza sia delle istituzioni pubbliche e private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l’interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente”. La seconda prescrizione normativa è quella relativa all’obbligo di ascolto del minore, a norma della quale si garantisce al fanciullo, capace di discernimento, il diritto di esprimere liberamente la sua opinione su ogni questione che lo interessa.
Tali principi trovano riconoscimento in numerosi documenti giuridici1; oggi, ad esempio, la norma di riferimento più ampia è contenuta nella legge n. 219/2017, dedicata alle questioni del consenso informato in Medicina. La persona minore d’età deve ricevere informazioni sulle scelte relative alla propria salute in modo consono alle sue capacità, per essere messa nelle condizioni di comprendere le sue condizioni di salute ed esprimere di conseguenza le sue volontà sugli interventi programmati. Il fine è quello di coinvolge il minore nel processo decisionale e di tenere in adeguata considerazione le opinioni espresse in tutti i processi decisionali che lo riguardano. Sebbene quindi il consenso al trattamento (ed al rifiuto) sia espresso o rifiutato dai genitori o dal tutore, la decisione dovrà tenere conto della volontà della persona minore, “in relazione alla sua età e al suo grado di maturità, e avendo come scopo la tutela della salute psicofisica nel pieno rispetto della sua dignità”.
Le scelte terapeutiche e il processo decisionale condiviso
Nella Medicina pediatrica e dell’adolescenza i vari trattamenti sanitari devono dunque essere attuati solo in presenza del relativo consenso informato da parte di tutti i soggetti coinvolti. Se in passato si evitava il più possibile di affrontare con i pazienti più giovani la realtà della loro condizione, specie in caso di patologie gravi, oggi si va diffondendo la convinzione che un atteggiamento di sostanziale chiarezza sia preferibile anche nei confronti dei minori, che dovrebbero perciò essere parte attiva nel processo decisionale in modo consono al loro grado di sviluppo personale e cognitivo. Il paziente minore dovrebbe comprendere la propria situazione medica e le opzioni terapeutiche disponibili, valutarne il significato e prendere una decisione che risponda ai suoi interessi a medio e lungo termine. Qualora il paziente minore non avesse capacità di autodeterminazione, il medico dovrà richiedere il consenso ai genitori, tutori o amministratori, ma dando la possibilità al minore di rimanere attore del processo. Non sempre è facile gestire il coinvolgimento del giovane paziente nelle scelte terapeutiche in modo adeguato, ma una corretta condivisione del processo decisionale fra paziente, genitori e personale sanitario diventa presupposto indispensabile per una buona relazione terapeutica e dunque per il successo stesso della cura allo scopo di migliorare l’aderenza ai trattamenti.
Generalmente il processo di formulazione delle scelte può essere ricondotto a tre modelli decisionali: il modello paternalistico, il modello basato sul trasferimento di informazioni ed il modello di condivisione.
È stato dimostrato come un maggiore coinvolgimento del paziente e della famiglia di pazienti pediatrici possa aumentare la soddisfazione, l’adesione alla terapia e la capacità di fronteggiare la malattia (coping) con effetti positivi sugli esiti di salute e di qualità della vita. Per tali motivi viene sempre più spesso sottolineata l’importanza di favorire un approccio di condivisione nelle scelte terapeutiche secondo il modello Shared Decision-Making (SDM). L’importanza di favorire una maggiore partecipazione dei pazienti nelle scelte sulla salute è riconosciuta a livello internazionale e nazionale, tuttavia il limitato numero di pubblicazioni italiane sulla partecipazione dei pazienti e le esperienze esaminate, mostrano come l’implementazione del modello di decisioni condivise sia ancora in una fase iniziale in Italia, probabilmente anche a causa delle difficoltà oggettive che spesso devono essere affrontate nella pratica clinica, come ad esempio problemi organizzativi (il tempo limitato previsto per le visite ambulatoriali) e problemi culturali da parte dei pazienti.
L’importanza del coinvolgimento nella pianificazione preventiva e il ruolo dello psicologo
Una fase importante del processo terapeutico nella quale può essere necessario il coinvolgimento degli attori interessati è sicuramente quella della pianificazione preventiva. Parlare per tempo delle prospettive e delle possibili condizioni future del paziente permetterà al minore e alla famiglia di prepararsi rispetto alle decisioni che li attendono; la pianificazione preventiva condivisa permette di compiere le scelte necessarie in modo più informato e ponderato. In questo modo si migliora la qualità delle decisioni prese nell’interesse del giovane paziente e si contiene l’enorme pressione psicologica che già grava sui genitori chiamati a decidere, in parte, per il figlio o la figlia. I colloqui per la pianificazione preventiva hanno effetti positivi sui giovani pazienti: rafforzano negli interessati la sensazione di mantenere il controllo della situazione e danno loro la certezza che i loro desideri saranno tenuti in debita considerazione nell’ulteriore evolvere della malattia.
La presenza di un facilitatore, identificato nella figura dello Psicologo ospedaliero, diventa fondamentale nella gestione degli aspetti emotivi implicati. Questo è particolarmente importante perché, come dimostrato in letteratura, il livello di adattamento psicologico raggiunto incide sugli outcomes clinici e sulla sopravvivenza2. L’atteggiamento e lo stile di coping utilizzati dal paziente e dalla famiglia avranno un’influenza sulla qualità di vita, sulla compliance ai trattamenti medici e sul decorso biologico della malattia (Putton e Fortugno, 2011).
Emerge come sia necessario che i modelli terapeutici vadano oltre il corpo e si concentrino anche sulla mente, in quanto la malattia ha un impatto estremamente negativo sulla salute mentale, con tutti i pensieri intrusivi e le emozioni che accompagnano una diagnosi, una permanenza ospedaliera o un intervento chirurgico. In base a questa visione, le ricerche e gli studi attuati all’interno dell’ambito concorrono alla rappresentazione delle mutue influenze tra la malattia organica ed il disagio vissuto a livello psicologico (Kidd, Styron, 2020). L’obiettivo finale della Psicologia nel contesto ospedaliero sarà dunque quello di dare supporto al processo di cura nei confronti del paziente tramite l’utilizzo di un approccio multidisciplinare, che abbraccia la totalità dell’individuo, in cui l’ascolto profondo, il potersi aprire nella globalità delle proprie emozioni, potrà aiutare a non sprofondare nell’oblio di angoscia e tristezza che spesso caratterizza questi percorsi. Gli adolescenti, in particolare, vivono prevalentemente necessità non oggettive, in quanto ciò che sperimentano sono ansie e timori che non riescono a condividere neanche con i propri familiari per vari motivi, come ad esempio la paura di non essere compresi o di aggiungersi al carico emotivo già presente. Lo Psicologo, quindi, vuole rappresentare una figura esterna e formata, che costituisce un punto di riferimento, in grado non soltanto di dare accoglimento alle angosce e preoccupazioni del paziente, ma anche di aiutare quest’ultimo a riformulare tali pensieri e a renderli meno ostacolanti (Vito, 2014).
In sintesi, il colloquio psicologico può svolgere diverse funzioni, ma nello specifico ha l’obiettivo di diventare uno spazio dedicato alla pensabilità dell’esperienza e l’elaborazione di vissuti emotivi associati. Spesso, i vissuti dei giovani pazienti che non trovano un accoglimento, rischiano di prendere altre vie, come per esempio cadute depressive, disagio agito nella relazione con gli operatori sanitari, aggressività, svalutazione, non aderenza al trattamento, cattivo stile di vita... Pertanto, risulta necessario pensare alla strutturazione di un intervento psicologico su più livelli che faciliti il processo di accettazione, adattamento e reazione alla patologia e che incoraggi l’aderenza alle terapie attraverso un processo decisionale consapevole.
A sostegno del percorso descritto, prospettive future potrebbero prevedere diversi interventi collaterali a supporto, tra cui:
Per concludere, si sottolinea l’importanza di un approccio multidisciplinare a completo supporto del paziente coinvolto nel processo di cura, al fine di migliorare la qualità globale del processo stesso.
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