Le analisi indipendenti condotte dalla Fondazione GIMBE nell’ambito della campagna #SalviamoSSN1 da quasi dieci anni documentano la perdurante grave crisi di sostenibilità del SSN. In particolare, il 4° Rapporto GIMBE sul SSN2, pubblicato nel giugno 2019, aveva rappresentato il SSN come un paziente cronico con multimorbidità, diagnosticando quattro principali “patologie” che ne compromettevano lo “stato di salute”: l’imponente definanziamento pubblico di circa € 37 miliardi nel decennio 2010-2019; l’incompiuta del DPCM sui nuovi Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) che aveva ampliato prestazioni e servizi a carico del SSN senza la necessaria copertura finanziaria; gli sprechi e le inefficienze a livello politico, organizzativo, professionale; l’espansione incontrollata dell’intermediazione assicurativo-finanziaria. Un grave stato di salute ulteriormente compromesso da due “fattori ambientali” che rendevano poco salubre l’habitat del SSN: da un lato la non sempre leale collaborazione Stato-Regioni, dall’altro le aspettative spesso irrealistiche di cittadini e pazienti. In questo contesto la pandemia COVID-19 ha confermato il cagionevole stato di salute del SSN, facendo emergere soprattutto l’imponente depauperamento del personale sanitario e la fragilità dell’assistenza territoriale, oltre che l’incapacità di attuare un’unica catena di comando. Tuttavia se nel pieno dell’emergenza tutte le forze politiche convergevano sulla necessità di potenziare e rilanciare il SSN, progressivamente la sanità è “rientrata nei ranghi”. E di fatto, le criticità rilevate sono ben lontane dall’essere risolte, non solo per l’impatto dell’emergenza sanitaria che ha prima paralizzato e poi fortemente rallentato la gestione ordinaria della sanità pubblica, come ampiamente riportato dal 5° Rapporto GIMBE sul SSN3:
- Finanziamento pubblico. Se formalmente la stagione dei tagli alla sanità può ritenersi conclusa è evidente che il netto rilancio del finanziamento pubblico è stato imposto dall’emergenza pandemica e non dalla volontà politica di rafforzare in maniera strutturale il SSN (Fig. 1). Una mancata intenzione confermata dalle previsioni del DEF 2022 e della NaDEF 2022 che nel triennio 2023-2025 prevedono una riduzione della spesa sanitaria media del’1,13% per anno e un rapporto spesa sanitaria/PIL che nel 2025 precipita al 6,0%, ben al di sotto dei livelli pre-pandemia. Nonostante le maggiori risorse investite, il confronto internazionale restituisce risultati simili a quelli dell’era pre-COVID: nel 2021 la spesa sanitaria totale in Italia è sostanzialmente pari alla media OCSE in termini di percentuale di PIL (9,5% vs 9,6%), ma inferiore come spesa pro-capite ($ 4.038 vs $ 4.435). Soprattutto, la spesa pubblica pro-capite nel nostro Paese è ben al di sotto della media OCSE ($ 3.052 vs $ 3.488) e in Europa ci collochiamo al 16° posto: ben 15 Paesi investono di più in sanità, con un gap dai $ 285 della Repubblica Ceca ai $ 3.299 della Germania (Fig. 2). Francamente impietoso il confronto con i paesi del G7 sulla spesa pubblica: dal 2008 siamo fanalino di coda con gap sempre più ampi e oggi divenuti incolmabili (Fig. 3). Peraltro, nella bozza della Legge di Bilancio 2023 del 23 novembre è previsto solo un incremento di € 2 miliardi, un importo che oltre ad essere eroso dall’inflazione non permetterà di coprire i costi straordinari dovuti alla pandemia e alla crisi energetica, né tantomeno di avviare alcun rilancio del SSN. Con il risultato di mandare “in rosso” anche le Regioni più virtuose, con inevitabili conseguenze sulla qualità dell’assistenza.
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Fig. 1. Fabbisogno Sanitario Nazionale: trend 2010-2022.
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Fig. 2. Spesa sanitaria pubblica pro capite nei Paesi OCSE.
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Fig. 3. Trend spesa pubblica pro capite 2008-2020 nei Paesi del G7.
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- Livelli Essenziali di Assistenza. Non si è mai concretizzato l’aggiornamento continuo dei LEA per mantenere allineate le prestazioni all’evoluzione delle conoscenze scientifiche; inoltre, le nuove prestazioni di specialistica ambulatoriale e protesica non sono esigibili su tutto il territorio nazionale perché il cd. “Decreto Tariffe” non è mai stato approvato per carenza di risorse economiche; infine il Nuovo Sistema di Garanzia, la nuova “pagella” con cui lo Stato darà i “voti” alle Regioni, non è affatto uno specchio fedele per valutare la qualità dell’assistenza. A quasi sei anni dal DPCM che ha istituito i “nuovi LEA”, le diseguaglianze regionali, in termini di esigibilità di prestazioni e servizi a carico del SSN, non dipendono solo dalle capacità di erogazione delle Regioni, ma affondano nell’impianto istituzionale di aggiornamento e verifica dei LEA. Un impianto che richiede una profonda revisione di responsabilità, metodi e strumenti, perché l’esigibilità di servizi e prestazioni sanitarie in tutto il territorio nazionale non rimanga solo sulla carta.
- Sprechi e inefficienze. Non è mai stato avviato un piano nazionale per ridurre sprechi e inefficienze.
- Espansione incontrollata del secondo pilastro. Il ciclo di audizioni parlamentari avviato nel gennaio 2019 e finalizzato alla riforma della normativa frammentata e incompleta relativa alla sanità integrativa, che negli anni ha favorito l’utilizzo strumentale della defiscalizzazione dei fondi sanitari integrativi a favore di assicurazioni e sanità privata, si è arenato dopo pochi mesi.
- Informazione della popolazione. Negli anni in cui la pandemia ha monopolizzato l’informazione il quadro è sensibilmente peggiorato per la diffusione di teorie negazioniste e posizioni no-vax che hanno contribuito a deteriorare il rapporto di fiducia tra sanità e cittadini.
- Regionalismo differenziato. Riguardo alle maggiori autonomie richieste in sanità da Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto, se alcune oggi rappresenterebbero uno strumento per fronteggiare la grave carenza di personale sanitario da estendere in tutto il Paese, altre rischiano di sovvertire totalmente gli strumenti di governance nazionale, altre ancora risultano francamente “eversive”.
Dal canto suo la pandemia non ha affatto mollato la presa e inizia a far vedere i suoi effetti a medio-lungo termine, identificandosi non solo come “patologia acuta recidivante”, ma anche come un’altra malattia cronica che peggiora lo stato di salute del SSN. Innanzitutto, si accumula sempre più ritardo nell’erogazione di prestazioni chirurgiche, ambulatoriali e di screening non ancora recuperate dalle Regioni nonostante quasi € 1 miliardo di investimenti dedicati e la definizione di un Piano Nazionale per il recupero delle liste di attesa. In secondo luogo, il progressivo impatto del long-COVID ha richiesto l’apertura di centri dedicati in tutto il Paese con uno sforzo organizzativo e di personale specialistico sempre maggiore. Ancora, l’impatto sulla salute mentale, fatica a trovare adeguate risposte assistenziali. Infine, la pandemia ha ulteriormente indebolito il capitale umano del SSN. In altri termini, gli effetti “non acuti” della pandemia costituiscono oggi un’ulteriore determinante che indebolisce il SSN, sia in termini di ritardo nelle prestazioni ordinarie, sia per l’emergenza di nuovi bisogni di salute, sia soprattutto per il depauperamento numerico e la demotivazione di professionisti e operatori sanitari. E nonostante l’azzeramento dell’imbuto formativo grazie ai consistenti investimenti in borse di studio per le scuole di specializzazione e contratti di formazione specifica in medicina generale, la “questione personale” è entrata nella fase più critica.
Al contempo il SSN si trova di fronte ad un’irripetibile occasione di svolta: oggi infatti le sfide della transizione digitale e dell’approccio One Health incrociano la fine della stagione dei tagli e, soprattutto, le grandi opportunità offerte dal PNRR che rappresenta un “prezioso organo da trapiantare in un paziente con malattie multiple”. Al fine di centrare i due obiettivi chiave della Missione 6, ovvero ridurre le diseguaglianze regionali ed ottenere il massimo ritorno di salute dalle risorse investite, è necessario predisporre le adeguate contromisure per fronteggiare le criticità che ostacolano l’attuazione del PNRR che riguardano vari ambiti: differenze regionali (modelli organizzativi e performance dell’assistenza territoriale, attuazione del fascicolo sanitario elettronico), carenza di personale, eterogeneità delle modalità contrattuali vigenti sul territorio, scarsa attitudine alla collaborazione inter-professionale, offerta del privato accreditato, analfabetismo digitale di professionisti sanitari e cittadini, tempi di attuazione della legge delega sugli appalti pubblici, carico amministrativo di Regioni e Aziende sanitarie, aumento dei costi delle materie prime e, soprattutto, dell’energia. In particolare, servono ulteriori riforme per attuare la riorganizzazione dell’assistenza territoriale, un aumento della spesa corrente vincolata al personale sanitario e una rigorosa governance di 21 servizi sanitari regionali per rispettare le scadenze imposte dall’Europa.
La XIX legislatura sarà determinante per il destino del SSN: tra gestione della pandemia, attuazione del PNRR, necessità di riforme strutturali, recupero delle prestazioni e gestione ordinaria, è indispensabile rimettere la sanità al centro dall’agenda politica, perché il diritto costituzionale alla tutela della salute non può essere ostaggio dell’avvicendamento dei Governi. E in questo contesto di crisi internazionale, bisogna tenere i riflettori accesi sul rischio reale per le persone: quello di perdere, lentamente ma inesorabilmente, il modello di un servizio sanitario pubblico, equo e universalistico, conquista sociale irrinunciabile per l’eguaglianza di tutte le persone. E, cosa ancor più grave, di non approfittare della grande opportunità per rilanciarlo offerta dal PNRR, di fatto una last call.
Con questo obiettivo, la Fondazione ha elaborato il “Piano di rilancio del Servizio Sanitario Nazionale” (Fig. 4) che sarà oggetto di una consultazione pubblica rivolta a tutte le categorie di stakeholder della sanità, sia a livello individuale, sia tramite le organizzazioni di categoria. Il Piano propone coraggiose riforme e azioni indispensabili a garantire il diritto costituzionale alla tutela della salute a tutte le persone. Un diritto fondamentale che, silenziosamente, rischia di trasformarsi in un privilegio per pochi, lasciando indietro le persone più fragili e svantaggiate. Perché se la Costituzione tutela la salute di tutti, la sanità deve essere per tutti.
Piano di rilancio del Servizio Sanitario Nazionale
- LA SALUTE IN TUTTE LE POLITICHE. Mettere la salute al centro di tutte le decisioni politiche non solo sanitarie, ma anche ambientali, industriali, sociali, economiche e fiscali (health in all).
- APPROCCIO ONE HEALTH. Attuare un approccio integrato alla gestione della salute, perché la salute dell’uomo, degli animali, delle piante e dell’ambiente, ecosistemi inclusi, sono strettamente interdipendenti.
- GOVERNANCE STATO-REGIONI. Rafforzare le capacità di indirizzo e verifica dello Stato sulle Regioni, nel rispetto delle loro autonomie, per ridurre diseguaglianze, iniquità e sprechi.
- FINANZIAMENTO PUBBLICO. Rilanciare il finanziamento pubblico per la sanità in maniera consistente e stabile, al fine di allinearlo alla media dei paesi europei.
- LIVELLI ESSENZIALI DI ASSISTENZA. Garantire l’uniforme esigibilità dei LEA in tutto il territorio nazionale, il loro aggiornamento continuo e rigoroso monitoraggio, al fine di ridurre le diseguaglianze e rendere rapidamente accessibili le innovazioni.
- PROGRAMMAZIONE, ORGANIZZAZIONE E INTEGRAZIONE DEI SERVIZI SANITARI E SOCIO-SANITARI. Programmare l’offerta di servizi sanitari in relazione ai bisogni di salute della popolazione e renderla disponibile tramite reti integrate che condividono percorsi assistenziali, tecnologie e risorse umane, al fine di superare la dicotomia ospedale-territorio e quella tra assistenza sanitaria e sociale.
- PERSONALE SANITARIO. Rilanciare le politiche sul capitale umano in sanità: investire sul personale sanitario, programmare adeguatamente il fabbisogno di medici, specialisti e altri professionisti sanitari, riformare i processi di formazione e valutazione delle competenze, al fine di valorizzare e motivare la colonna portante del SSN.
- SPRECHI E INEFFICIENZE. Ridurre gli sprechi e le inefficienze che si annidano a livello politico, organizzativo e professionale, al fine di reinvestire le risorse recuperate in servizi essenziali e vere innovazioni, aumentando il value della spesa sanitaria.
- RAPPORTO PUBBLICO-PRIVATO. Disciplinare l’integrazione pubblico-privato secondo i reali bisogni di salute della popolazione e regolamentare la libera professione per evitare diseguaglianze e iniquità di accesso.
- SANITÀ INTEGRATIVA. Avviare un riordino legislativo della sanità integrativa al fine di arginare fenomeni di privatizzazione, aumento delle diseguaglianze, derive consumistiche ed erosione di risorse pubbliche.
- TICKET E DETRAZIONI FISCALI. Rimodulare ticket e detrazioni fiscali per le spese sanitarie, secondo princìpi di equità sociale e prove di efficacia di farmaci e prestazioni, al fine di evitare sprechi di denaro pubblico e ridurre il consumismo sanitario.
- TRASFORMAZIONE DIGITALE. Diffondere la cultura digitale e promuovere le competenze tecniche tra professionisti sanitari e cittadini, al fine di massimizzare le potenzialità delle tecnologie digitali e di migliorare accessibilità ed efficienza in sanità e minimizzare le diseguaglianze.
- INFORMAZIONE AI CITTADINI. Potenziare l’informazione istituzionale basata sulle migliori evidenze scientifiche, al fine di promuovere sani stili di vita, ridurre il consumismo sanitario, aumentare l’alfabetizzazione sanitaria della popolazione, contrastare le fake news e favorire decisioni informate sulla salute.
- RICERCA SANITARIA. Destinare alla ricerca clinica indipendente e alla ricerca sui servizi sanitari un importo pari ad almeno il 2% del fabbisogno sanitario nazionale standard, al fine di produrre evidenze scientifiche per informare scelte e investimenti del SSN.
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Fig. 4. Piano di rilancio del Servizio Sanitario Nazionale.
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