Anno Accademico 2022-2023

Vol. 67, n° 2, Aprile - Giugno 2023

Conferenza: La sindrome coronarica cronica. La nuova impostazione della malattia coronarica

31 gennaio 2023

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La sindrome coronarica cronica. La nuova impostazione della malattia coronarica

A. Boccanelli

Il vecchio inquadramento della malattia coronarica come “coronaropatia stabile” e “sindrome coronarica acuta” (SCA o ACS-acute coronary syndrome) è stato sostituito, nelle linee guida più recenti della Società Europea di Cardiologia (ESC)1 dalla dicitura “Sindrome coronarica cronica” in contrapposizione alla forma acuta. Nelle linee guida attuali, si identificano sei possibili scenari clinici di più frequente riscontro:

  1. pazienti con sospetta coronaropatia e sintomi anginosi e/o dispnea “stabili”;
  2. pazienti con scompenso cardiaco di nuova insorgenza e coronaropatia sospetta;
  3. pazienti sintomatici o asintomatici con sintomi stabilizzati a meno di un anno da una sindrome coronarica acuta o pazienti dopo una rivascolarizzazione recente;
  4. pazienti sintomatici o asintomatici dopo un anno dalla diagnosi iniziale o rivascolarizzazione;
  5. pazienti con angina e sospetta malattia vasospastica o microvascolare;
  6. soggetti asintomatici in cui la coronaropatia sia diagnosticata nel corso di uno screening.

L'angina stabile si verifica quando l'ischemia miocardica è causata da una stenosi fissa di origine aterosclerotica di una o più arterie coronarie epicardiche. In alcune circostanze, l'angina si verifica quando l'ischemia miocardica è causata da uno spasmo coronarico con o senza disfunzione endoteliale. L'angina microvascolare si riferisce all'assenza di ostruzione di un'arteria coronaria epicardica e, in questo caso, l’ischemia può essere causata da disfunzione e infiammazione microvascolare e/o endoteliale.

Nel corso delle ultime decadi, a seguito dell’introduzione di farmaci, quali le statine, capaci di stabilizzare la placca aterosclerotica, sempre più la malattia coronarica tende alla cronicizzazione. Questa modifica della struttura di placca si è tradotta in una riduzione degli infarti con sopraslivellamento del tratto ST (STEMI) ed in un aumento degli infarti con meccanismo non trombotico, ma emodinamico, più tipico della fragilità e comorbilità delle fasce più avanzate della popolazione. Inoltre, il proliferare delle procedure di rivascolarizzazione, chirurgiche o interventistiche, ha moltiplicato il numero di pazienti con alle spalle una storia di acuzie della coronaropatia.

Sia di esempio la lunga storia del caso clinico, simile a tanti altri, riassunto di seguito:

A.S.  79 aa

  • (1992) - 48 aa: Infarto miocardico inferiore;
  • (1992 e 1993) – 49 aa: angioplastica in due tempi sulla discendente anteriore. Cardiomiopatia ischemica dilatativa;
  • (2007) – 63 aa: Verifica coronarografica con pervietà degli stent su IVA;
  • (2012) – 68 aa: Impianto di defibrillatore con terapia di resincronizzazione;
  • (9/2014) – 70 aa: Nuova angioplastica su arteria discendente anteriore;
  • (4/2015) – 71 aa: Riparazione valvolare mitralica;
  • (6/2015) – 71 aa: Fibrillazione atriale cronica. Ablazione transcatetere di tachicardia ventricolare;
  • (9/2019) - 75 aa: inserimento di Entresto in terapia;
  • 2022 – sta bene.

Nel corso degli anni, si è potuto constatare che una terapia medica ben condotta può garantire una prognosi a distanza eccellente, anche a confronto con le procedure di rivascolarizzazione. Lo studio ISCHEMIA (International Study of Comparative Health Effectiveness With Medical and Invasive Approaches)23 ha confrontato una strategia di gestione iniziale invasiva rispetto ad una iniziale conservativa in pazienti con malattia coronarica cronica e ischemia moderata o grave, senza differenze nella maggior parte degli esiti durante un periodo medio di 3,2 anni.

L’aumento della sopravvivenza ottenuto grazie all’uso delle moderne terapie ha generato una popolazione in cui, al di là degli 80 anni, il 20% delle femmine e il 35% dei maschi ha qualche forma di malattia coronarica.

Nelle ultime decadi del secolo scorso si è assistito, in Italia, ad un crollo della mortalità per malattia coronarica. Secondo Palmieri e Coll.4 questo fenomeno è dovuto soprattutto al miglioramento dei fattori di rischio (in misura del 58%), soprattutto ipertensione e ipercolesterolemia, e al miglior trattamento della malattia coronarica (in misura del 40%).

Con il conseguente invecchiamento della popolazione dei coronaropatici, hanno assunto maggiore rilevanza clinica la comorbosità e la multimorbosità, che determinano quadri clinici complessi, presentazioni cliniche atipiche, maggiori difficoltà diagnostiche e difficoltà di trattamento a causa della polifarmacoterapia e inerente rischio di effetti collaterali.


Nuovi dati e nuove evidenze che hanno indotto a modificare le line guida

L’avanzamento tecnologico delle indagini per immagini e la mutata prevalenza della malattia coronarica hanno comportato notevoli revisioni degli algoritmi diagnostici.

La probabilità pre-test (PPT) di malattia coronarica (CAD) basata su età, sesso e natura dei sintomi ha subito importanti revisioni. Inoltre, è stato introdotto un nuovo concetto, ovvero quello di "Probabilità clinica di CAD" che utilizza anche i vari fattori di rischio di CAD come modificatori della PPT. Di conseguenza, è stata aggiornata l'applicazione di vari test diagnostici in diversi gruppi di pazienti (Tab. 1).

 

Tab. 1. Determinanti della probabilità di malattia coronarica.

 

L'approccio diagnostico può essere sintetizzato in sei fasi. Il primo passo è valutare i sintomi e i segni, per identificare i pazienti con possibile angina instabile o altre forme di SCA (fase 1). Nei pazienti senza angina instabile o altre forme di SCA, il passo successivo è valutare le condizioni generali e la qualità della vita del paziente (fase 2). Vengono valutate le comorbilità che potrebbero potenzialmente influenzare le decisioni terapeutiche e vengono considerate altre potenziali cause dei sintomi. La fase 3 include test di base e valutazione della funzione ventricolare sinistra. Successivamente, viene stimata la probabilità clinica di CAD ostruttiva (fase 4) e, su questa base, vengono praticati test diagnostici a pazienti selezionati per stabilire la diagnosi di CAD (fase 5). Una volta confermata la diagnosi di CAD ostruttiva, verrà determinato il rischio di eventi del paziente (fase 6) al fine delle successive decisioni terapeutiche.

La probabilità di CAD ostruttiva è influenzata dalla prevalenza della malattia nella popolazione studiata, nonché dalle caratteristiche cliniche del singolo paziente. È possibile utilizzare un semplice modello predittivo per stimare la probabilità pre-test di CAD ostruttiva in base all'età, al sesso e alla natura dei sintomi. Nei dati derivati ​​dallo studio PROMISE (Prospective Multicenter Imaging Study for Evaluation of Chest Pain), il 50% dei pazienti precedentemente classificati come aventi una probabilità intermedia di CAD ostruttiva è stato riclassificato a una PPT <15% secondo il nuovo calcolo5.  Nei dati derivati dall'analisi aggregata6, ​​il 57% di tutti i pazienti è stato classificato con una PPT <15%. A seguito della riclassificazione della PPT, si è reso necessario rivedere la sequenza dei test diagnostici in accordo con la probabilità di malattia. Se si riflette, ad esempio, che un paziente di età superiore ai 70 anni con sintomi definiti “tipici” ha una probabilità di malattia del 62% se maschio e del 27% se femmina, si comprende come il margine di errore possa essere relativamente grande (Tab. 2).

 

Tab. 2. Probabilità pre-test di malattia coronarica in pazienti con angina o dispnea e sospetto di malattia coronarica.

 

Quando la PPT è del 5-15% e la probabilità che un test sia falsamente positivo aumenta, occorre prendere in considerazione la preferenza del paziente, le risorse locali e la disponibilità di test. Si può presumere che i pazienti con una PPT ≤5% abbiano una probabilità così bassa di malattia che i test diagnostici dovrebbero essere eseguiti solo per motivi convincenti. L'implementazione dei nuovi criteri di probabilità indica inoltre che i pazienti non dovrebbero essere indirizzati di routine direttamente alla valutazione invasiva, a meno che i dati clinici o di altro tipo non indichino un'elevata probabilità di CAD ostruttiva.

Nei pazienti in cui la rivascolarizzazione è da considerare futile a causa di comorbilità e qualità complessiva della vita, la diagnosi di CAD può essere fatta clinicamente, limitandosi alla sola terapia medica. Se la presenza di CAD è incerta, è ragionevole stabilire la diagnosi utilizzando l'imaging funzionale non invasivo per ischemia miocardica prima del trattamento.

Nei pazienti con elevata probabilità clinica di CAD e sintomi che non rispondono alla terapia medica o angina tipica a basso livello di esercizio e una valutazione clinica iniziale (compreso l'ecocardiogramma e, in pazienti selezionati, l'ECG da sforzo) che indica un alto rischio di eventi, è bene procedere direttamente allo studio coronarografico invasivo senza ulteriori test diagnostici. In tali circostanze, l'indicazione alla rivascolarizzazione dovrebbe basarsi su un'appropriata conferma invasiva del significato emodinamico di una eventuale stenosi7, 8.

Sta progressivamente assumendo un ruolo di maggiore importanza l’angioTC coronarica, soprattutto in presenza di una PPT medio-bassa. Tuttavia, in presenza di stenosi stimate tra il 50% e il 90% all'ispezione visiva, si rende necessario valutarne il significato funzionale, in quanto non sempre inducono ischemia miocardica. Pertanto, in questi casi, si raccomandano test funzionali non invasivi o invasivi per un'ulteriore valutazione della stenosi rilevata mediante angioTC coronarica.


Ruolo dell’elettrocardiogramma da sforzo

L'ECG da sforzo ha un potere diagnostico inferiore rispetto alle tecniche di imaging e ha un potere limitato per escludere o diagnosticale la presenza di una coronaropatia ostruttiva9. Recenti studi clinici randomizzati hanno confrontato gli effetti di strategie diagnostiche basate sull'ECG da sforzo o su un test diagnostico per immagini10, 11. Questi studi hanno dimostrato che l'aggiunta di angioTC coronarica o imaging funzionale chiarisce la diagnosi, consente di indirizzare terapie e interventi preventivi e riduce potenzialmente il rischio di infarto miocardico rispetto a un ECG da sforzo. Pertanto, attualmente è raccomandano l'uso di un test diagnostico per immagini invece dell'ECG da sforzo come test iniziale per la diagnosi di CAD ostruttiva. Si può continuare ad utilizzare il test ergometrico come indagine iniziale qualora non siano disponibili le tecniche di imaging, tenendo in debito conto il rischio di falsi negativi o positivi. Il test da sforzo, ovviamente, può servire da completamento funzionale per un test di imaging o per giudicare altri parametri, come l’inducibilità di aritmie, le variazioni pressorie, la tolleranza allo sforzo.

La TC coronarica è il test da preferire nei pazienti con inferiore probabilità clinica di CAD, nessuna precedente diagnosi di CAD e caratteristiche associate a un'alta probabilità di buona qualità dell'immagine; rileva l'aterosclerosi coronarica subclinica, ma può anche escludere con precisione una CAD sia anatomicamente che funzionalmente significativa.

Al fine di poter prendere decisioni sulla rivascolarizzazione, nella maggior parte dei pazienti è necessaria una valutazione funzionale dell'ischemia (non invasiva o invasiva). Pertanto, i test funzionali non invasivi possono essere preferiti nei pazienti all'estremità superiore dell'intervallo di probabilità clinica, se è probabile la rivascolarizzazione o il paziente ha già una diagnosi di CAD.

L'ecocardiografia da sforzo o l'imaging perfusionale SPECT possono essere combinati con il test da sforzo e possono essere preferiti se sono considerate importanti informazioni aggiuntive disponibili dal test da sforzo.


Test invasivi

Lo studio coronarografico si può rendere necessario quando i test non invasivi siano inconcludenti o quando la valutazione non invasiva faccia sospettare un elevato rischio di eventi per decidere sulla opzione di rivascolarizzazione12.

Nei pazienti con elevata probabilità clinica di CAD e sintomi che non rispondono alla terapia medica o con angina tipica a basso livello di esercizio e la valutazione clinica iniziale indica un rischio di eventi elevato, può essere ragionevole praticare direttamente la coronarografia senza una precedente stratificazione del rischio non invasiva per identificare lesioni potenzialmente suscettibili di rivascolarizzazione. Nei pazienti in cui occorra valutare l’importanza funzionale di una stenosi occorre integrare con un esame funzionale (FFR- Fractional Flow Reserve), specialmente nei pazienti con stenosi coronariche del 50-90% o malattia multivasale.


Le cure della sindrome coronarica cronica

I caposaldi del trattamento della SCC sono:

- modifica del rischio;
- terapia ottimale secondo linee guida;
- terapie finalizzate alla prevenzione di infarto e morte;
- terapie per alleviare i sintomi;
- rivascolarizzazione.

Gli obiettivi della gestione farmacologica dei pazienti con SCC sono la riduzione dei sintomi anginosi e dell'ischemia indotta dall'esercizio e la prevenzione degli eventi cardiovascolari.

L'immediato sollievo dei sintomi anginosi, o la prevenzione dei sintomi in circostanze che possono provocare angina, si ottiene solitamente con formulazioni di nitroglicerina ad azione rapida. I farmaci anti-ischemici, ma anche i cambiamenti nello stile di vita, l'esercizio fisico regolare, l'educazione del paziente e la rivascolarizzazione, svolgono tutti un ruolo nel ridurre al minimo o eliminare i sintomi a lungo termine (prevenzione a lungo termine).

La prevenzione degli eventi cardiovascolari ha come obiettivo l'infarto miocardico e la morte associati a CAD, e si concentra principalmente sulla riduzione dell'incidenza di eventi trombotici acuti e sullo sviluppo di disfunzione ventricolare.

Sono pertanto due le categorie farmacologiche suggerite dalle Linee Guida:

  1. terapie che rallentano la malattia aterosclerotica, riducono la possibilità di infarto miocardico e riducono la mortalità a lungo termine: Antiaggreganti, beta bloccanti, antagonisti del RAAS, farmaci ipolipemizzanti;
  2. terapie dirette a correggere i sintomi ed eliminare l’angina: nitroderivati, betabloccanti, calcio-antagonisti, ivabradina, ranolazina (Tab. 3).

 


Tab. 3. Combinazioni possibili di farmaci idonei a correggere i sintomi ed eliminare l’angina1. (Legenda: BB = beta-bloccanti; CCB = calcioantagonisti; DHP-CCB = calcioantagonisti diidropiridinici; LAN = nitroderivati a lunga durata di azione; non-DHP-CCB = calcio-antagonisti non-diidropiridinici).

 

I farmaci antiaggreganti (Aspirina e inibitori P2Y12 Clopidogrel, Prasugrel e Ticagrelor) sono raccomandati nei pazienti con precedente infarto miocardico o procedure di rivascolarizzazione. La terapia di combinazione (Aspirina + Clopidogrel o Ticagrelor o Prasugrel) è raccomandata per i primi mesi dopo rivascolarizzazione o infarto miocardico, mentre la combinazione a tempi prolungati di Aspirina e Clopidogrel può essere indicata nei pazienti a maggior rischio, quali quelli con malattia multivasale, diabete mellito, arteriopatia periferica, insufficienza renale, infarto miocardico ricorrente, scompenso cardiaco.


Rivascolarizzazione coronarica

Sono numerose le meta-analisi che confrontano una strategia di rivascolarizzazione mediante angioplastica coronarica (PCI) con la terapia medica ottimale tra i pazienti con SCC che non hanno riscontrato un sostanziale beneficio in termini di sopravvivenza o infarto miocardico con una strategia invasiva13-15. In aggiunta al criterio anatomico (malattia del tronco comune o ischemia estesa >10% in presenza di stenosi di un ramo principale), nuove evidenze16 indicano una significativa riduzione in termini di morte o infarto miocardico nei pazienti selezionati in base FFR durante lo studio angiografico.

 


BIBLIOGRAFIA

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