Anno Accademico 2022-2023
Vol. 67, n° 3, Luglio - Settembre 2023
Settimana per la Cultura
04 aprile 2023
Corso di laurea in Medicina e Chirurgia, Dipartimento di Neuroscienze Umane, Facoltà di Farmacia e Medicina, “Sapienza” Università di Roma
Settimana per la Cultura
04 aprile 2023
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Introduzione
Malattia di Parkinson: definizione clinica ed epidemiologia
La malattia di Parkinson (Parkinson’s disease - PD) è una patologia neurodegenerativa cronica1, 2. È la seconda malattia neurodegenerativa dopo la malattia di Alzheimer e presenta una prevalenza dello 0,3% dell’intera popolazione italiana3. La malattia è sporadica nel 90% dei casi, mentre nel 10% risulta geneticamente determinata4, 5. Il PD è caratterizzato da sintomi motori e non-motori1, sebbene in ciascun soggetto possano essere variamente combinati tra loro, in funzione dell’endofenotipo peculiare di quell’individuo6.
Neuropatologia e fisiopatologia:
Da un punto di visto neuropatologico, il PD è caratterizzato dalla preminente perdita di neuroni dopaminergici a livello della pars compacta della substantia nigra (SNpc)1, 2, con interessamento tuttavia anche di vie non dopaminergiche. La caratteristica istopatologica della neurodegenerazione nel PD è la presenza di corpi di Lewy e di neuriti di Lewy, risultato della deposizione di polimeri insolubili di alfa-sinucleina misfolded nel citoplasma neuronale ed assonale, osservata a tutti i livelli del sistema nervoso. Ciononostante, ancora non è noto quale sia il reale primum movens eziologico, osservandosi anche un overlap dei pattern di deposizione tra le diverse patologie neurodegenerative. Tramite alcuni studi in vitro e in modelli animali, si è ipotizzato un meccanismo di progressione della degenerazione simil prionico. Ciò che si è messo in evidenza negli ultimi anni è il coinvolgimento della neuroinfiammazione; tuttavia il suo ruolo non è stato ancora ben definito, potendo agire sia in senso neurotrofico che in senso pro-infiammatorio1. Nonostante ormai sia evidente come il PD sia una patologia neurodegenerativa multisistemica1, 6, 7, il core neurofisiopatologico principale si identifica nel network dei gangli della base, fondamentale per l’iniziativa motoria e per il controllo della motilità volontaria, automatica e riflessa3. Sebbene i gangli della base esplichino un ruolo rilevante nel controllo motorio, essi sono implicati anche nei disturbi comportamentali, cognitivi8, 9, nonché nei disturbi dell’umore. Da un punto di vista funzionale, la maggiore stazione di input dei gangli della base è lo striato; invece, la principale stazione di output si identifica nel complesso globo pallido interno (GPi) e sostanza nera pars reticulata (SNpr)7. Nel caso del PD sembrerebbe che il deficit di dopamina porti ad una forte riduzione dell’output motorio e ad una modificazione della connettività sinaptica intrastriatale7. Dalle ultime evidenze si evince, tuttavia, una maggiore complessità del quadro, dato il riscontro di cambiamenti nel pattern di scarica e nella sincronizzazione neuronale e biemisferica che potrebbero avere un ruolo fisiopatologico nel PD7, 10-12.
Ruolo delle tecniche neurofisiologiche nello studio della fisiopatologia del PD
Attraverso la stimolazione magnetica transcranica (TMS) sono state riscontrate diverse alterazioni in alcuni parametri neurofisiologici. La maggior parte degli studi effettuati con paradigmi di TMS a singolo stimolo ha dimostrato che i pazienti con PD sono caratterizzati da un’aumentata eccitabilità corticale, valutabile con la pendenza della curva input/output (I/O), ovvero la curva sigmoide che descrive l’aumento dell’ampiezza del potenziale evocato motorio (PEM) in funzione dell’aumento dell’intensità della stimolazione. Attraverso paradigmi di TMS a doppio stimolo è stata invece dimostrataun’alterazione della facilitazione ed inibizione intracorticali, espresse in termini di SICI (short-interval intracortical inhibition) e ICF (intracortical facilitation) nel PD. In particolare, nel PD si è osservata una riduzione della SICI, che si normalizzava dopo trattamento dopaminergico, tuttavia tale alterazione sarebbe da afferire ad una maggiore facilitazione piuttosto che ad una ridotta inibizione11, 13, 14 e rappresenterebbe un meccanismo compensatorio della bradicinesia11. Sono invece presenti studi contrastanti riguardo l’alterazione dell’ICF11.
Al fine, invece, di valutare la plasticità corticale, è possibile sfruttare la TMS ripetitiva (rTMS)15, 16, ovvero la successione di singoli impulsi ad una determinata frequenza ed intensità, tali da modulare l’eccitabilità corticale. Uno specifico protocollo di stimolazione ripetitiva è costituito dalla theta burst stimulation (TBS), che può essere erogata in modo continuo o intermittente. Si ritiene che la iTBS induca una plasticità corticale long term potentiation-like (LTP-like), mentre la cTBS determinerebbe una riduzione dell’eccitabilità per fenomeni long term depression-like (LTD-like)15: questi meccanismi di riorganizzazione sinaptica sembrerebbero mediati da pathways NMDA-dipendenti17, 18. Diversi lavori hanno evidenziato un’alterazione della plasticità corticale LTP-like e LTD-like nei pazienti con PD11, 14, 19-22, evidente già nelle fasi precoci di pazienti con PD de novo, in entrambi gli emisferi, senza differenze di severità interemisferica e non correlata con la sintomatologia motoria22. Tuttavia, i risultati non sono sempre concordi in letteratura13, 21. Il ruolo comunque svolto dalla dopamina nella plasticità corticale23-25 e dei gangli della base (Prescott e coll., 2009) è ormai indubbio sia nel modello animale26 che nell’uomo. La neurodegenerazione determina, inoltre, anche alterazioni compensatorie del deficit dei gangli della base (GB), quali una riorganizzazione della corteccia sensorimotoria27. Nel PD è stata evidenziata anche un’alterazione del dominio sensoriale, che comprende alterazioni della sensibilità tattile, termica e dolorifica e della cinestesia28, alterazioni dell’integrazione sensorimotoria29, 30, nonché disordini puri della percezione cosciente, estrinsecabili in un incremento della soglia percettiva. In particolare, si è osservato un incremento dei valori della STDT (somatosensory temporal discrimination threshold), ovvero il minimo intervallo di tempo richiesto tra due stimoli affinché il soggetto li identifichi come distinti28, 29. Si ritiene che tale parametro sia codificato dai neuroni inibitori intracorticali dell’area sensoriale primaria S1 con coinvolgimento anche dei GB29, nonché di input provenienti dalla pre-SMA28. L’STDT risulta ugualmente alterata sia in presenza che in assenza di tremore nel PD, è influenzata dalle concentrazioni dopaminergiche e correla con la severità clinica29, 31.
Come si evince dalla letteratura, la malattia di Parkinson è estremamente eterogenea sia per quanto concerne la fenomenologia clinica che per le traiettorie di malattia. A tal fine recenti studi hanno indagato il possibile ruolo di parametri biomolecolari32-43, neuroradiologici37, 44-51 e neurofisiologici52, 53 come biomarcatori di progressione di malattia nei pazienti affetti da PD. Ne consegue che le alterazioni neurofisiologiche riscontrate in letteratura potrebbero potenzialmente rappresentare dei biomarcatori in tale patologia.
Scopo della tesi
Data l’assenza di terapie in grado di modificare il decorso della malattia, è fondamentale identificare biomarcatori di progressione, utili per la quantificazione degli effetti di future strategie terapeutiche volte a rallentare l’avanzare della malattia. Studi neurofisiologici hanno evidenziato la presenza di numerose alterazioni del sistema motorio e sensitivo. Tuttavia, non è noto il tempo di comparsa di tali alterazioni, cosa che permetterebbe, invece, di comprendere il ruolo dei diversi meccanismi fisiopatologici finora individuati nelle diverse fasi della malattia.
Il primo obiettivo della presente tesi è stato quello di effettuare una valutazione neurofisiologica del sistema motorio e del sistema sensitivo in un’ampia popolazione di pazienti parkinsoniani esaminati in fase iniziale (prima dell’introduzione della terapia dopaminergica) e dopo 4 anni dalla diagnosi. Ulteriore obiettivo delle tesi è stato quello di correlare tali alterazioni allo stadio di malattia, al fine di identificare possibili biomarcatori di progressione del PD.
Materiali e metodi
Soggetti
Quarantadue pazienti con PD e 45 soggetti sani hanno preso parte allo studio. I soggetti sani erano frequency-matched ai casi secondo le variabili di età e sesso.
Valutazione clinica
La valutazione clinica prevedeva la raccolta di dati relativi ad informazioni demografiche, a manifestazioni motorie (International Parkinson and Movement Disorder Society-Unified Parkinson’s Disease Rating Scale (MDS-UPDRS: parte II, parte III, parte IV), H&Y score) e a manifestazioni dei sintomi non-motori (MDS-UPDRS parte I; Non-Motor Symptoms Scale per la Malattia di Parkinson (NMSS)).
Valutazione neurofisiologica
Tecniche di stimolazione magnetica transcranica: eccitabilità e plasticità corticali
Per quanto concerne il paradigma di singolo e doppio stimolo magnetico è stato utilizzato uno stimolatore monofasico MAGSTIM 200 (MAGSTIM, Whitland, UK) connesso ad una bobina a forma di otto di 70 mm di diametro. La bobina è stata mantenuta tangenzialmente allo scalpo formando con esso un angolo di 45°.Gli stimoli magnetici sono stati erogati in corrispondenza dell’area motoria primaria (M1) del lato più affetto. È stato quindi registrato un PEM nel muscolo primo interosseo dorsale controlaterale (corrispondente all’hotspot). È stata calcolata la RMT, ovvero la minima intensità richiesta per elicitare un PEM di ampiezza picco a picco ≥ 50 μV in almeno 5 di 10 trial consecutivi. La curva input/output (I/O) è stata determinata in ciascun soggetto dalla misura dei PEM testati ad un’intensità uguale al 100%, 120% e 140% dell’RMT. Sono stati raccolti 10 PEM per ciascuna condizione in ordine randomizzato. La SICI e l’ICF sono state valutate usando un paradigma di TMS a doppio stimolo, con uno stimolo condizionante sottosoglia erogato ad un’intensità pari all’80% dell’RMT, seguito da uno stimolo test soprasoglia dell’intensità del 120% dell’RMT. L’intervallo interstimolo (ISI) tra lo stimolo condizionante e lo stimolo test è stato impostato a 3 ms per la SICI e a 10 ms per l’ICF. Dieci PEM sono stati registrati per ciascun ISI in ordine randomizzato. SICI e ICF sono stati espressi come rapporto percentuale tra il PEM non-condizionato e il condizionato.
La stimolazione theta-burst intermittente (iTBS) è stata condotta utilizzando uno stimolatore SuperRapid MAGSTIM bifasico ad alta-frequenza (MAGSTIM, Whitland, UK) connesso ad una bobina a forma di otto di 70 mm di diametro, posizionata in corrispondenza dell’hotspot dell’FDI. Il protocollo adottato prevedeva l’erogazione di treni di stimolazione della durata di 2 s con una pausa di 8 s tra treni consecutivi (20 treni; 600 impulsi magnetici totali); ciascun treno era costituito da 10 bursts e ogni burst includeva 3 impulsi magnetici erogati alla frequenza di 50 Hz e veniva ripetuto con un intervallo di 200 ms. L’intensità di stimolazione dell’iTBS è stata impostata al 90% dell’RMT. Al fine di valutare gli effetti della iTBS, sono stati registrati 10 PEM, testati ad un’intensità pari al 120 % dell’RMT prima (T0), 5-10 ( T1), 15-20 ( T2), 25-30 (T3) minuti dopo iTBS. L’attività elettromiografica (EMG) è stata registrata a livello del muscolo FDI attraverso un paio di elettrodi di superficie di Ag/AgCl, posizionati secondo un montaggio ventre muscolare-tendine. Il segnale EMG è stato filtrato mediante un filtro passa banda a 10-1000 Hz, amplificato (x 1000) (Digitimer D360; Digitimer, Welwyn Garden City, Uk), digitalizzato a 5 kHz (CED 1401; Cambridge Electronic Design, Cambridge, UK) e salvato su un computer per l’analisi offline. L’ampiezza dei PEM è stata misurata picco a picco e poi ne è stata calcolata la media.
Registrazione cinematica della performance motoria
L’analisi cinematica è stata effettuata utilizzando il sistema SMART (BTS Engineering, Milan, Italy). Il sistema SMART è munito di tre/quattro telecamere infrarosse (frequenza di campionamento, 120 Hz) ed è stato utilizzato per registrare i movimenti di abduzione del dito indice. Il braccio era abdotto a livello della spalla di circa 45-50° e flesso a livello del gomito di circa 90°. Lo spostamento dei marker durante il task è stato ricostruito mediante un software dedicato che attuava un algoritmo automatico, al fine di calcolare il grado di movimento (ROM- range of motion), ovvero lo spostamento del dito indice intorno alla sua articolazione metacarpofalangea, espresso come grado dell’angolo e velocità media (gradi/s) (BTS Engineering, Milan, Italy).
Valutazione della soglia di discriminazione temporale somatosensoriale (STDT)
La STDT è stata valutata a livello della mano del lato più affetto per mezzo di uno stimolatore elettrico di corrente costante (Digitimer DS7AH). Una coppia di stimoli tattili corrispondenti ad impulsi elettrici ad onda quadrata è stata inviata a livello della falange distale del dito indice attraverso degli elettrodi cutanei di superficie. L’intensità di stimolazione è stata definita attraverso l’erogazione di una serie di stimoli ad intensità crescenti, partendo da 2 mA ed incrementando di 0,5 mA in modo scalare. L’intensità variava in ciascun individuo, dipendendo dalla minima intensità richiesta dal soggetto per percepire 10 su 10 stimoli consecutivi. Coppie di stimoli elettrici sono state inviate partendo da un ISI di 0 ms (coppia simultanea), che veniva progressivamente incrementato di 10 ms attraverso una progressione scalare. È stata considerata come STDT a riposo il primo di tre ISI consecutivi a cui ciascun soggetto riconosceva gli stimoli come temporalmente separati in una media di 3 trial di STDT.
Tutte le procedure sperimentali sono state effettuate nel lato più affetto.
Analisi statistica
I dati sono espressi in termini di media ± deviazione standard.
Al fine di confrontare i dati neurofisiologici tra pazienti affetti da PD e soggetti sani sono state utilizzate tecniche di analisi statistica parametrica (T test di Student e ANOVA) e non parametrica (Kruskall Wallis test e Mann Whitney U test) in base alla distribuzione dei dati. L’analisi è stata effettuata sia per i dati ottenuti alla sessione basale (T0) che al follow up (T1).
Il coefficiente di correlazione di Spearman è stato utilizzato per indagare le possibili correlazioni tra i parametri neurofisiologici e lo stadio di malattia al T0 e al T1.
Risultati
Caratteristiche demografiche e cliniche dei pazienti
Le caratteristiche demografiche e cliniche dei pazienti sono riportate in Tab. 1.
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Confronto tra i pazienti con PD e i controlli sani al T0
Il Mann Whitney U test ha dimostrato che i pazienti avevano un’aumentata eccitabilità corticale, valutata come ampiezza del PEM, per una stimolazione pari al 100% (U=1253, Z=-3.45, p=0.0006) e 140% (U=1221, Z=-3.44, p=0.0006) della soglia motoria a riposo. Al contrario non sono state osservate differenze statisticamente significative quando veniva utilizzata un’intensità pari al 120% (U=1348, Z=-2.991, p=0.002 non significativo dopo correzione per confronti multipli) (figura 1A). Non sono state osservate differenze significative tra pazienti e controlli sia per quanto riguarda la SICI (U=1161, Z=-3.204, p=0.001 non significativo dopo correzione per confronti multipli; Fig. 1B) che l’ICF (U=1672, Z=-1.039, p=0.29; Fig. 1C). Per quanto concerne la plasticità corticale è stato osservato che i pazienti avevano una ridotta risposta all’iTBS al T2 (U=1218; Z=-3.389, p=0.0007) e T3 (U=1077, Z=-3.56, p=0.0004) ma non al T1 (U=1294, Z=-2.838, p=0.004 non significativo dopo correzioni per confronti multipli) (Fig. 1D). All’analisi cinematica della performance motoria è stata osservata una ridotta velocità angolare nei pazienti rispetto ai controlli (U=699, Z=-5.579, p<0.00001; Fig. 3). La funzione sensitiva, esaminata in termini di STDT, è risultata simile nei due gruppi (U=1811, Z=-1.565; p=0.1; Fig. 2).
Confronto tra i pazienti con PD e i controlli sani al T1
Il Mann Whitney U test ha confermato che i pazienti avevano un’aumentata eccitabilità corticale, valutata come ampiezza del PEM, per una stimolazione pari al 100% (U=555, Z=-4.483, p<0.00001) e 140% (U=779, Z=-2.86, p=0.0004) della soglia motoria a riposo. Al contrario non sono state osservate differenze statisticamente significative quando veniva utilizzata un’intensità pari al 120% (U=837, Z=-2.446, p=0.01 non significativo dopo correzione per confronti multipli) (Fig. 1A). Non sono state osservate differenze significative tra pazienti e controlli per quanto riguarda l’ICF (U=1139, Z=-0.0.95, p=0.924; Fig. 1C) mentre la SICI, a differenza di quanto osservato al T0, era significativamente ridotta nei pazienti rispetto ai controlli (U=520, Z=-4.417, p<0.00001; Fig. 1B). Per quanto riguarda la plasticità corticale è stato osservato che i pazienti avevano una ridotta risposta all’iTBS al T1 (U=420; Z=-5.074, p<0.00001) e T2 (U=596, Z=--3.721, p<0.00001) ma non al T3 (U=694, Z=-2.707, p=0.007 non significativo dopo correzioni per confronti multipli) (Fig. 1D). All’analisi cinematica della performance motoria è stata confermata una ridotta velocità angolare nei pazienti rispetto ai controlli (U=526, Z=-3.745, p<0.00001; Fig. 3). A differenza di quanto osservato in fase iniziale, la funzione sensitiva è risultata alterata, come suggerito dagli aumentati valori di STDT osservati nei pazienti rispetto ai controlli (U=1139, Z=-1704; p<0.00001; Fig. 2).
Correlazione tra i parametri neurofisiologici e lo stadio di malattia
Il coefficiente di correlazione di Spearman ha dimostrato una correlazione positiva tra l’eccitabilità corticale e il punteggio della scala di Hoehn and Yahr sia al T0 (r= 0.247; p=0.02; Fig. 4A) che al T1 (r=0.371; p=0.006; Fig. 4B).
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Discussione
Il nostro studio ha dimostrato che l’aumento dell’eccitabilità corticale e la riduzione della plasticità corticale rappresentano alterazioni fisiopatologiche precoci del PD. Al contrario, le alterazioni relative ai meccanismi inibitori intra-corticali e alla discriminazione temporale tattile intervengono successivamente.
Lo studio delle correlazioni tra i parametri neurofisiologici e lo stadio di malattia ha evidenziato una correlazione positiva tra l’eccitabilità corticale e lo stadio di malattia, descritto dallo score H&Y, sia al basale che al follow-up.
Lo studio è stato condotto in una coorte omogenea per caratteristiche demografiche e la sessione valutativa è stata inoltre condotta mentre i pazienti erano in fase off, dopo un wash-out di circa 12 ore. Ciò ci fa pertanto escludere sia che le differenze evidenziate siano dovute a fattori contingenti diversi dai meccanismi fisiopatologici che intercorrono nella malattia di Parkinson sia che le evidenze riscontrate possano essere determinate da un’azione in acuto del trattamento dopaminergico. Inoltre, sebbene la valutazione al basale sia stata condotta in pazienti che avevano una storia di malattia ≤ 2 anni, al follow- up sono stati esclusi tutti i pazienti che, nel corso della progressione di malattia, a seguito di una maggiore chiarezza del quadro sintomatologico, siano stati diagnosticati diversamente.
Al meglio delle nostre conoscenze, questo è il primo studio il cui obiettivo è quello di identificare i possibili biomarcatori neurofisiologici di progressione attraverso l’applicazione simultanea di diverse tecniche volte a indagare il sistema sensitivo e il sistema motorio.
In letteratura è riportato un incremento dell’eccitabilità corticale in termini di ampiezza del PEM54-57, in linea con quanto riscontrato nel presente studio. Tuttavia, il nostro lavoro ha evidenziato un’aumentata eccitabilità corticale nei pazienti con PD anche al basale, e quindi in uno stato precoce di malattia, al contrario delle evidenze riportate dal gruppo di Kojovic e coll.27. L’incremento dell’eccitabilità corticale è stato interpretato come il risultato di un meccanismo di compenso alla deafferentazione dopaminergica a partenza dai GB14, 58, 59. Tuttavia, l’incremento osservato dell’eccitabilità corticale potrebbe anche essere il risultato di un incremento nell’eccitabilità degli alfa-motoneuroni spinali57, 60, nonché essere una conseguenza diretta della fisiopatologia della malattia di Parkinson e non un meccanismo compensatorio14, 58. Inoltre, la stessa potrebbe anche derivare da una riduzione dei meccanismi inibitori56. Tuttavia quest’ultima ipotesi sembrerebbe meno probabile, data la preservazione dei circuiti inibitori, in termini di SICI, al basale rispetto al follow-up. Per quanto concerne invece i circuiti intracorticali, il nostro riscontro di una riduzione della SICI e di un’ICF preservata è in linea con la letteratura scientifica13, 27, 58, 61, 62, sebbene siano presenti evidenze discordanti13. La preservazione della SICI nelle fasi iniziali potrebbe essere determinata dal mancato raggiungimento di una sufficiente soglia di deplezione dopaminergica27, o piuttosto dal risparmio dei circuiti inibitori nelle fasi iniziali di malattia. Studi precedenti ritenevano che la SICI non fosse alterata per una ridotta inibizione, quanto per una ridotta soglia di facilitazione13, 61, 62. Tuttavia, il nostro studio ha utilizzato uno stimolo condizionante pari all’80% dell’RMT, in accordo agli studi di Mackinnon e coll. evidenziando comunque, negli stadi moderato-avanzato di malattia, una riduzione della SICI.
Numerosi sono anche gli studi inerenti alle alterazioni della plasticità corticale nel PD11, 14, 19-22, sebbene talvolta contrastanti13, 14. Le evidenze riscontrate nel nostro lavoro sono in accordo con gli studi presenti in letteratura, sia per quanto concerne i tempi di comparsa dell’alterazione22, sia in termini di alterazione qualitativa riscontrata14, 20, 22. Data la quantità di evidenze circa il ruolo della dopamina nei meccanismi sottesi alla plasticità corticale14, 23-26, il mantenimento nel tempo dell’alterazione della stessa è compatibile con la progressione della neurodegenerazione e, quindi, con l’incremento della deplezione dopaminergica. Ciò potrebbe rappresentare anche il motivo per cui osserviamo al follow-up un’alterazione della plasticità più precoce nei time points rispetto al basale. Non si può escludere a priori, tuttavia, che le differenze riscontrate tra il basale e il follow-up possano essere il risultato del trattamento cronico dopaminergico. Per quanto riguarda l’STDT, inoltre, il dato da noi riscontrato è in linea con quanto riportato in letteratura28, 29, 31. È interessante sottolineare come il gruppo di Conte e coll.31 ha evidenziato, sebbene in una piccola coorte di pazienti de novo, una preservazione dell’STDT ad un follow-up di due anni. Ne consegue che l’incremento osservato dell’STDT sembra compaia dopo un minimo di tre anni di malattia. Ciò fornisce supporto all’ipotesi secondo cui l’alterazione dell’STDT sia influenzata dai livelli di deplezione dopaminergica, ma tuttavia risieda primariamente in un’alterazione della corteccia somatosensoriale primaria (S1), che potrebbe dipendere sia da un’alterazione diretta, o più probabilmente essere secondaria ad un alterato output dai GB29, 31.
Infine, per quanto concerne l’analisi cinematica, la presenza di bradicinesia già all’esordio di malattia è comunque attesa63-66, essendo uno dei sintomi cardine per la definizione diagnostica del PD67, 68.
Dallo studio longitudinale di tale coorte di pazienti possiamo quindi osservare come i parametri neurofisiologici che dalla letteratura sono correlati ai livelli di dopamina, ovvero l’eccitabilità e la plasticità corticali, così come la performance motoria, risultano alterati sin dalle fasi precoci di malattia. Tuttavia, l’evidenza di una coesistenza di alterazioni nell’eccitabilità e nella plasticità corticali ad entrambi i time points non fa escludere l’ipotesi che le alterazioni nella plasticità possano essere influenzate dalle alterazioni nell’eccitabilità interneurale a livello corticostriatale14, così come non si può escludere che la bradicinesia possa essere il risultato sia della deplezione dopaminergica stessa che della plasticità disfunzionale corticostriatale. Infatti, già uno studio precedente aveva riscontrato una correlazione tra l’eccitabilità corticale e l’ipocinesia, nonché tra la plasticità corticale e l’effetto sequenza58. Il presente studio ha inoltre messo in evidenza una correlazione positiva tra l’eccitabilità corticale e lo stadio di malattia, presupponendo, quindi, la possibilità che l’eccitabilità corticale possa divenire in futuro un possibile biomarcatore di progressione di malattia.
Al contrario, i parametri neurofisiologici che sono più direttamente correlati ai circuiti inibitori intracorticali GABA-ergici15, 31, ovvero l’STDT e la SICI, risultano alterati esclusivamente al follow-up. Alcuni studi precedenti hanno già osservato una correlazione della SICI con gli stadi avanzati di malattia61, suggerendo che nelle fasi iniziali i circuiti inibitori siano preservati. Ne consegue dunque che anche la SICI e l’STDT potrebbero divenire in futuro dei biomarcatori di progressione di malattia. Tuttavia, un’altra possibile ipotesi potrebbe essere che con l’avanzare della neurodegenerazione si incentivi l’iperattivazione delle aree prefrontali come meccanismo compensatorio alla deafferentazione dai GB61, 69, portando di conseguenza ad un aumento della facilitazione a livello della corteccia motoria primaria61. Tuttavia, le evidenze riscontrate dal gruppo di Ni e coll.62 suggeriscono comunque la presenza di una minima alterazione anche dei circuiti inibitori gabaergici che mediano la SICI.
Il nostro studio ha tuttavia dei limiti. In particolare, la valutazione cinematica non è ottimale a seguito di un ridotto numero di tracce congrue per l’analisi offline. Inoltre, la limitazione nel numero dei pazienti arruolati per il follow-up non ha permesso di discriminare longitudinalmente le alterazioni neurofisiologiche tra i diversi sottotipi di pazienti. Ne consegue che studi futuri saranno necessari per valutare se la progressione in termini di eccitabilità e plasticità corticali, SICI e STDT e bradicinesia si differenzi nei diversi cluster, potendo delineare quindi differenti traiettorie di malattia per ciascun cluster, o se invece con la progressione di malattia si perda la sottotipizzazione, portando ad un’omologazione nella traiettoria di malattia.
Conclusioni
Il presente studio ha riscontrato una correlazione positiva tra l’eccitabilità corticale e lo stadio H&Y di malattia, prefigurando la possibilità che essa possa delinearsi come biomarcatore di progressione, essendo un parametro misurabile non soggetto ad apprendimento motorio, e la cui valutazione richiede poca collaborazione da parte del paziente; in aggiunta, non è influenzato dalla risposta motoria e verbale dello stesso, le quali risultano alterate nel PD. Inoltre, questo lavoro ha anche evidenziato come sia l’STDT che la SICI siano dei parametri che si alterano solo tardivamente nel PD, potendo anch’essi divenire dei possibili biomarcatori.
Sintesi della Tesi di Laurea discussa il 20 giugno 2022
Corso di laurea in Medicina e Chirurgia, Dipartimento di Neuroscienze Umane, Facoltà di Farmacia e Medicina, “Sapienza” Università di Roma
Relatore: Prof. Alfredo Berardelli,Dipartimento di Neuroscienze Umane, “Sapienza” Università di Roma
Correlatore: Dott. Daniele Belvisi, Dipartimento di Neuroscienze Umane, “Sapienza” Università di Roma
BIBLIOGRAFIA