Anno Accademico 2022-2023
Vol. 67, n° 4, Ottobre - Dicembre 2023
Conferenza: La sindrome cardio-renale: la bidirezionalità cuore-rene
02 maggio 2023
Conferenza: La sindrome cardio-renale: la bidirezionalità cuore-rene
02 maggio 2023
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“ma io darò le regole che potrò”
(Bartolo da Sassoferrato, 1314-1357)
Definizione della sindrome cardio-renale (SCR)
Una definizione, ormai desueta, definiva questa sindrome nel modo seguente: “Un rene relativamente normale che manifesta un’alterata funzione come conseguenza di una malattia cardiaca”. Quindi, in presenza di un cuore sano il rene avrebbe avuto una buona funzione. In tempi non lontani questa definizione è stata cambiata e riteniamo che sia stata migliorata1, 2. Attualmente, questa sindrome viene definita come una: “Varietà di complessi disordini fisiopatologici acuti o cronici inizialmente a carico del cuore o del rene e che spesso, in un secondo tempo, possono coinvolgere la funzione dell’altro organo non primitivamente interessato, sino a renderlo insufficiente”. Come si può facilmente intendere, questa definizione descrive meglio le interazioni bidirezionali tra i due organi.
Classificazione e definizioni attuali della “sindrome cardio-renale”1-3 (a):
Interessante è sottolineare come l’andamento evolutivo di una cardiopatia e di una nefropatia siano abbastanza simili5.
Per quanto riguarda l’evoluzione cardiaca, possiamo rilevare:
Di converso, per l’evoluzione renale indichiamo:
Dall’ipotesi di Guyton al collegamento cardio-renale
Questo collegamento tra cuore e rene può essere spiegato con l’ipotesi di Guyton, che è stata in seguito riconsiderata6. Tale teoria sottolinea che quando è presente un deficit della funzione cardiaca (relazione o legge di Frank-Starling), la “ritenzione idro-elettrolitica compensa la diminuzione del volume ematico efficace”. Se l’espansione di volume non riesce più a sopperire al deficit della “pompa cardiaca”, si sviluppa più o meno lentamente una congestione sistemica.
La sindrome cardio-renale è in parte causata da un’aumentata attività sia per l’infiammazione di basso livello, sia per l’attivazione dei sistemi renina-angiotensina-aldosterone e del simpatico, sia per lo sbilanciamento tra l’ossido nitrico e le specie reattive dell’ossigeno. Queste varie funzioni interagiscono tra loro stimolandosi a vicenda e peggiorando le condizioni del soggetto scompensato. In pratica, secondo questa ipotesi fisiopatologica, vengono “facilitate” nell’organismo l’espansione di volume e l’incremento della gittata cardiaca, ma anche un miglioramento della diuresi a causa di un intervento del BNP-B7 (b).
(SCR-1) - Sindrome cardio-renale del 1° tipo, cioè nell’insufficienza cardiaca acuta
La sindrome si caratterizza per la presenza di un’alterazione acuta della funzione cardiaca che nel tempo può indurre o accelerare una riduzione improvvisa della funzione renale. Questa condizione costituisce il motivo, forse meglio uno dei motivi, di circa due milioni di ricoveri in un anno negli Stati Uniti d’America. Le quattro cause cardiache più importanti che la possono porre in atto sono8:
Le precedenti alterazioni cardiache indurrebbero modificazioni funzionali a livello renale oppure, qualora queste fossero preesistenti, il danno potrebbe cronicizzarsi. I componenti dello studio clinico-osservazionale “REGISTRO ADHERE”9 (Acute Decompensated HEaRt failurE national), hanno controllato due registri dello studio ed evidenziato le principali caratteristiche dei soggetti con insufficienza cardiaca acuta. Questi requisiti, dal 2,5 al 61% dei casi, erano costituti dall’età media (72,2 anni), dal sesso femminile (52%) e dall’insufficienza cardiaca (60%). Inoltre, in tali individui la prevalenza dell’anemia era variabile e comunque risultava in relazione con alcuni fattori, tra cui l’età e le gravità dell’insufficienza cardiaca e renale, documentata quest’ultima da una creatininemia non normale (>1,5-1,6 mg/dl)9.
Smith e collaboratori10 hanno studiato e documentato con chiarezza che le persone con un alto rischio d’insufficienza renale acuta sono quelle che presentano una ridotta frazione di eiezione (circa il 70% dei soggetti), ovvero quelli con un’insufficienza cardiaca. Un danno cardiaco, come uno scompenso al 3° e 4° stadio, può favorire alcuni effetti renali negativi (nel 27-45% dei soggetti) ed in genere si tratta di un peggioramento acuto della funzione renale10. D’altro canto, il monitoraggio emodinamico dimostra che la riduzione acuta della funzione renale non dipenderebbe del tutto dal diminuito output cardiaco.
Nelle seguenti figure a barre tridimensionali si può osservare, nella Fig. 1, come un sottogruppo (n=972) dello studio PRIME II11 abbia dimostrato in modo progressivo un rischio di mortalità (assi verticali - RR) sia verso la frazione di eiezione (FE) del ventricolo sinistro, sia verso la riduzione del filtrato glomerulare (GFR mm/min). Nella Fig. 2 il rischio di mortalità (assi verticali - RR) è stato documentato sempre in modo progressivo sia verso il decremento della classe NYHA (New York Heart Association), sia verso la diminuzione del filtrato glomerulare (GFR mm/min).
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Nei soggetti con un’insufficienza cardiaca acuta, a causa delle alterazioni emodinamiche indotte, si viene a stabilire a livello renale una perfusione non adeguata e/o una congestione a cui corrisponde una riduzione del flusso plasmatico. In questi casi, sarebbe opportuno tentare di utilizzare i diuretici dell’ansa a dosi elevate, specialmente se fosse presente un aumento della potassiemia e a dosi ridotte nelle altre condizioni. Inoltre, quando si è in presenza di un’insufficienza acuta del ventricolo sinistro, la terapia diuretica induce un’attivazione neuro-ormonale che produce a livello renale un ridotto flusso e quindi lo sviluppo di una diminuita perfusione con la conseguenza di un’alterazione della funzione renale e/o una resistenza ai diuretici. Questa condizione, ovviamente, facilita un aumento delle morbosità e della mortalità.
La resistenza ai diuretici può essere spiegata come una conseguenza dell’incremento di alcune sostanze (norepinefrina ed endotelina), che riducono il flusso renale a causa della vasocostrizione dell’arteriola afferente. Allo stesso tempo, a livello del tubulo prossimale l’angiotensina II aumenta il recupero del sodio, mentre all’altezza del dotto collettore l’aldosterone ne incrementa il riassorbimento12. Quando la terapia è diuretica, l’azione di alcuni neuro-ormoni determina una riduzione dell’attività dei peptidi natriuretici (baroreceptor adaptation) a cui segue una loro diminuita sensibilità, un potenziamento del sistema-renina-angiotensina-aldosterone (RAAS) ed una diminuzione della sodiemia. L’iposodiemia favorirebbe importanti espressioni cliniche, con eventi a volte mortali. Queste manifestazioni sono costituite dalla cefalea, dall’irritabilità, dalla nausea, dal vomito, dalla confusione mentale, da uno stato di disorientamento, dal coma, dalle convulsioni ed infine dall’arresto respiratorio. Tali condizioni possono essere documentate con una TC cerebrale. Questi quadri clinici potrebbero avvalersi dei seguenti trattamenti:
Sono in commercio alcune sostanze proteiche che diagnosticano precocemente un danno renale, come la cistatina C, che può rilevare una precoce tubulopatia a livello prossimale.
(SCR-2) - Sindrome cardio-renale del 2° tipo, cioè nell’insufficienza cardiaca cronica
La sindrome si caratterizza per alterazioni croniche della funzione cardiaca che in un tempo variabile accelerano o inducono una permanente diminuzione della funzione renale, probabilmente a causa della prolungata ridotta perfusione. In genere, tale condizione si riscontra quando una malattia cardiaca si sia cronicizzata oppure può presentarsi insieme ad una patologia cronica a livello renale. Alcuni studi ci dicono che una delle due malattie può precedere l’altra, risultando però in diverse situazioni difficile comprende quella che è insorta prima12. La sindrome può esordire con varie modalità sia con una malattia renale cronica nei soggetti che hanno un’insufficienza cardiaca cronicizzata, sia con una diminuzione del filtrato glomerulare, sia con una ridotta funzione cardiaca. Questa situazione costituisce però un fattore prognostico negativo nei soggetti con un’alterata attività ventricolare, ed in quelli con una grave insufficienza cardiaca.
L’insieme delle due forme morbose (cardiaca e renale) tuttavia potrebbe non costituire, secondo le nostre attuali conoscenze12, una condizione per porre diagnosi di una sindrome cardio-renale del 2° tipo. Per diagnosticarla sono invece necessari alcuni requisiti e ne ricordiamo alcuni:
Inoltre, gli episodi di scompenso cardiaco acuto e/o d’insufficienza renale acuta possono favorire la progressione della malattia renale cronica. È probabile che ci sia una relazione positiva tra un basso filtrato glomerulare ed una ridotta frazione di eiezione.
Come già ricordato, alcuni modelli sperimentali hanno riscontrato e confermato che ad una insufficienza cardiaca corrisponde spesso, se non sempre, una riduzione del flusso sanguigno nei glomeruli con un consecutivo danno glomerulare a causa di una vasocostrizione dell’arteriola efferente12. Infatti, qualora non si modifichi in senso positivo l’emodinamica, nel tempo inizieranno a danneggiarsi dapprima i podociti sino ad arrivare, più o meno lentamente, ad una glomerulosclerosi di varie entità. Gran parte delle alterazioni descritte sono riconducibili al sistema renina-angiotensina-aldosterone. I parenchimi renali sottoposti all’insufficienza cardiaca cronica possono produrre grandi quantità di renina e di conseguenza ad una copiosa sintesi di angiotensina II13. Il risultato è una vasocostrizione dell’arteriola efferente con incremento specialmente della pressione oncotica nei capillari peritubulari. Inoltre, l’insufficienza cardiaca cronica comporta quasi sempre la presenza di un’anemia di vario livello (Fig. 3) ed espressa, nelle sue linee generali, da:
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Circa il 40% dei soggetti con una insufficienza cardiaca presenta pure un’emoglobinemia inferiore a 12 g/dl, che spesso si pone in relazione con alcune caratteristiche, come ad esempio l’età, ma anche con la gravità dell’insufficienza renale e cardiaca14. Quindi, una maggiore prevalenza dello stato anemico si può riscontrare negli anziani e nei soggetti con grave insufficienza cardiaca e/o renale. Per di più, esistono alcune dimostrazioni di un’associazione negativa tra emoglobinemia e classe funzionale NYHA (New York Heart Association)15 (Fig. 4). Questa classificazione, distinta nelle seguenti quattro classi funzionali, viene definita con i segni e i sintomi dello scompenso, che si utilizzano sia per stabilire la gravità della sindrome, sia per monitorare gli effetti del trattamento effettuato:
L’anemia, nelle persone con un’insufficienza cardiaca e renale, è stata evidenziata con studi retrospettivi specialmente nei soggetti appartenenti alle classi NYHA III e IV, documentando così una buona relazione con la sindrome cardio-renale. La conclusione di questi studi è stata che maggiore è la compromissione della funzionalità renale, più elevata sarà l’anemia16 (Fig. 5). Rispetto ai soggetti con la sola insufficienza cardiaca, quelli con insufficienza cardiaca ed anemia presentano17:
Per quanto riguarda il trattamento, questi soggetti con una sindrome cardio-renale di tipo 2 assumono generalmente dosi più elevate di diuretici dell’ansa, di vasodilatatori, di sartani e di ACE-inibitori rispetto ai soggetti con funzione renale normale. Questa condizione, se non opportunamente trattata, può far sviluppare e progredire una nefropatia o più semplicemente rilevare i soggetti emodinamicamente più compromessi e perciò maggiormente predisposti ad un danno renale. Inoltre, valutare il grado di funzionalità renale nei soggetti con insufficienza cardiaca è importante per “titolare” il dosaggio dei farmaci e pertanto evitare un sovradosaggio oppure una posologia inferiore o addirittura nessun trattamento.
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(SCR-3) - Sindrome reno-cardiaca del 3° tipo, cioè nell’insufficienza renale acuta
I fattori di rischio più frequenti che possono facilitare il verificarsi di questa sindrome sono:
Riportiamo alcune modalità con cui questa sindrome si può evidenziare:
L’insufficienza renale acuta comporta una liberazione di citochine e linfochine, un aumento sia dei valori della potassiemia e della fosforemia che possono contribuire ad indurre un deficit della funzione ventricolare sinistra, oppure più di rado uno stato ipertensivo ed una condizione aritmica, sino nelle situazioni più gravi all’arresto cardiaco. La diminuita funzione renale, in particolare nel momento uremico, contribuisce sia a ridurre la contrattilità miocardica e a favorire l’insorgenza di una pericardite, sia a provocare uno stato di acidosi metabolica. Quest’ultima può indurre una vasocostrizione polmonare sino all’insufficienza cardiaca destra con quello che può comportare. Inoltre, la cardiopatia può essere di tipo dilatativo che in genere esprime un “sovraccarico di liquidi”, e che può favorire un edema polmonare. Lo stato di acidosi metabolica, abbiamo già considerato, può coesistere con la presenza di nefropatie acute o croniche e facilmente può favorire uno stato aritmico.
Strettamente legate all’acidosi metabolica, sono alcune alterazioni elettrolitiche e neuro-ormonali, mentre la presenza di una resistenza a livello del dotto collettore viene provocata dall’azione del Peptide Natriuretico Atriale (ANP, Atrial Natriuretic Peptide). Inoltre, un’aumentata attività della pompa Na-K-ATPasi “spinge” il sodio riassorbito dalle cellule tubulari del dotto collettore ai capillari peritubulari. Le cellule in tal modo possono recuperare ioni potassio (e).
Quando si è in presenza di un’insufficienza renale acuta è probabile che venga avviato pure un danno cardiaco acuto oppure, se la cardiopatia fosse preesistente, potrebbe anche peggiorare. Quindi, direttamente o indirettamente, un decremento acuto della funzione renale darebbe luogo ad un’insufficienza acuta della funzione cardiaca.
Talune osservazioni, consegnate alla letteratura, ci indicano che la cardiopatia acuta può facilitare la presenza di alcune condizioni patologiche, come una flogosi cronica, uno stress ossidativo ed una inappropriata secrezione ormonale, dopo che si è verificato un danno renale acuto. In aggiunta, una nefropatia acuta, con meccanismi fisiopatologici diretti o indiretti, può favorire un sovraccarico di volume, un’acidosi metabolica, alcune alterazioni elettrolitiche e spesso sono anche presenti una coronaropatia, un’insufficienza del ventricolo sinistro ed una fibrosi del miocardio.
Queste interazioni tra rene e cuore, durante un’insufficienza renale acuta, sono state attribuite ad un insieme di connessioni definiti “connettori cardio-renali”5. I dati sperimentali ci dicono che tali legami sono stati individuati essenzialmente con le connessioni immunitarie e/o metaboliche, con il sistema nervoso simpatico, con l’incremento di attività del sistema renina-angiotensina-aldosterone e con la cascata coagulativa. Gli stessi studi sull’ischemia dei reni evidenziano che l’insufficienza renale acuta può provocare una risposta immunitaria con contemporanea secrezione di mediatori ad azione pro- ed anti-infiammatoria ed inoltre favorire alcune modificazioni di natura morfo-funzionale a carico di cellule immunocompetenti16 (f).
Ad una ischemia renale sperimentale, segue un incremento di alcune citochine cardiotossiche, come il TNF-α (Tumor Necrosis Factor-α), le interleuchine-1 e 6 ed altre che possono ridurre la frazione d’eiezione del ventricolo sinistro con un incremento dei volumi telesistolici e telediastolici del ventricolo sinistro, ovvero influenzandone le proprietà contrattili. In queste situazioni lo studio ecografico evidenzia un deficit della funzione diastolica17. Inoltre, altri fattori possono favorire questa sindrome, tra questi si ricordano:
Quando è presente una stenosi bilaterale delle arterie renali oppure una stenosi dell’arteria renale in un monorene si attiva il sistema renina-angiotensina-aldosterone con un aumento dei valori pressori, a cui può seguire una disfunzione diastolica (g) ed uno scompenso cardiaco acuto.
Se la ridotta funzione renale fosse grave, sarebbe utile ricorrere ad un trattamento sostitutivo come l’emodialisi. Tale tecnica in questi soggetti, per la rapida perdita di liquidi e di elettroliti, può favorire l’ipotensione arteriosa, lo stato aritmico e l’ischemia del miocardio18. Le tecniche continue, invece, rendono meno evidente l’instabilità del sistema cardiovascolare e pertanto appaiono più sicure, oltre che più logiche19.
Infine, desideriamo ricordare alcuni biomarker sensibili e specifici di un danno cardiaco:
(SCR-4) - Sindrome reno-cardiaca del 4° tipo, cioè nell’insufficienza renale cronica
Il progressivo decremento della funzione renale, a causa di una nefropatia cronica, favorisce il più delle volte una ridotta efficienza cardiaca e pertanto può prolungare un’eventuale ospedalizzazione. Infatti, una progressiva e cronica riduzione del filtrato glomerulare faciliterebbe la mortalità di tipo cardiovascolare, dovuta spesso a complicazioni dell’aterosclerosi20. Secondo alcuni Autori, una nefropatia cronica potrebbe essere considerata come un fattore di rischio indipendente per una malattia cardiovascolare con la possibilità di danni importanti, come l’infarto del miocardio e la morte improvvisa21, conseguenze in genere dell’aterosclerosi. I soggetti con un danno renale cronico, oltre a costituire un rischio per la cardiopatia cronica, presentano il più delle volte anche altri fattori indipendenti che possono favorire la mortalità. Vengono elencati i più importanti:
A questi fattori di rischio, se ne possono aggiungere altri che sono un’espressione dell’insufficienza renale cronica:
Questa sindrome reno–cardiaca si contraddistingue anche per alcune croniche alterazioni cardiovascolari. Infatti, man mano che si riduce il filtrato glomerulare, progressivamente coesiste anche un aumento sia del rischio di eventi cardiovascolari (Fig. 6), sia del rischio di un decesso (Fig. 7)21.
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La riduzione del filtrato glomerulare attiva alcune funzioni, tra cui ricordiamo i sistemi renina-angiotensina-aldosterone, quello del simpatico e dell’ormone paratiroideo. Inoltre, possono verificarsi alcune importanti complicanze e tra queste si rammentano le non rare localizzazioni distrettuali di tipo aterosclerotico, con conseguenze più o meno importanti. Queste situazioni potrebbero anche giungere ad un improvviso decesso.
Inoltre, l’ipertrofia ventricolare sinistra può aumentare con il progressivo decremento della funzione renale, che può essere favorita dalla presenza di fattori di rischio cardiovascolare non opportunamente controllati, come ad esempio l’ipertensione arteriosa ed il diabete. Foley e i suoi collaboratori22 hanno dimostrato che il 74% dei soggetti con una nefropatia cronica terminale facilmente può presentare una ipertrofia ventricolare sinistra. Tra questi il 30% manifestava anche un’insufficienza di questo ventricolo. La condizione del cuore probabilmente viene favorita da alcune sostanze proteiche proprie dell’uremia, che non vengono rimosse dal trattamento dialitico22. Sempre Foley ha evidenziato che i soggetti con una nefropatia cronica associata ad un diabete di tipo 2, verso quelli senza diabete, presentavano sia una più intensa vasculopatia aterosclerotica (41,10% vs 35,70%), sia una maggiore insufficienza cardiaca (52,30% vs 30,70%)23.
Alcuni soggetti con aterosclerosi, specialmente quelli con ipertensione arteriosa non curata o trattata in modo non adeguato, presentano un’ipertrofia dei cardiomiociti, che comporta nel suo insieme un incremento della massa ventricolare sinistra ed in particolare dello spessore della parete ventricolare, che è stata ben documentata con l’ecocardiografia. Nel tempo i miocardiociti vanno lentamente a comprimere sino a chiudere la rete vascolare ed agevolare in tal modo un maggior rischio verso una cardiopatia, nonostante i farmaci che vengono assunti24.
Una progressiva perdita di nefroni, documentabile con il dosaggio della creatininemia, arricchito eventualmente con il calcolo del filtrato glomerulare, favorisce una ritenzione idro-salina che facilita lo stato ipertensivo ed un sovraccarico di volume. L’ecografia dei reni evidenzia le classiche caratteristiche della nefropatia cronica, con la diminuzione dello spessore corticale che risulta iperecogeno, con il restringimento del rapporto cortico-midollare, con la dilatazione delle vie escretrici e con la non rara presenza di cisti para-pieliche.
L’utilizzo degli ACE-inibitori o dei sartani a dosaggi generosi, quando la cardiopatia è avanzata, può far precipitare la situazione renale e favorire in tal modo una iperpotassiemia, soprattutto se vengono associati agli antagonisti dell’aldosterone. Tali soggetti potrebbero accusare delle aritmie, derivate dall’incremento della potassiemia, che a volte sarebbero anche mortali24. Questi individui si possono giovare dell’emodialisi, per scongiurare un eventuale exitus. Gli stessi soggetti, se trattati in modo attento e prudente, potrebbero proseguire con il loro problema cardiovascolare, che però costituirebbe ancora un rischio elevato di morte.
Lo studio RALES (Randomized ALdactone Evaluation Study) (h) ci indica, a questo proposito, che nei soggetti con insufficienza renale la prescrizione di antagonisti dell’aldosterone a basse dosi (20-26 mg/dl), riduce l’ospedalizzazione e l’aumento della potassiemia24. Tale effetto però non avrebbe luogo se questi antagonisti si assumessero a dosaggi più elevati, ma invece vi sarebbe un aumento dell’ospedalizzazione e della mortalità a causa dell’iperpotassiemia. Il rischio però è minimizzato nei soggetti con una creatininemia <2,5 mg/dl ed una potassiemia < 5 mg24.
Inoltre, lo studio Framingham ha dimostrato e confermato pure da altre osservazioni, come la presenza di un’anemia possa costituire un fattore di rischio indipendente per lo sviluppo di una insufficienza cardiaca su base ischemica25. Per di più, anche lo studio SOLD (Studies Of Left ventricular Dysfunction) ha evidenziato l’importanza di come uno stato anemico rappresenti un fattore prognostico negativo dei soggetti con uno scompenso cardiaco26.
Lo stato anemico comporta nel tempo anche un’ipossia nei vari tessuti dell’organismo, una vasodilatazione periferica, una riduzione della pressione arteriosa, un aumento dell’attività simpatica, una diminuzione del flusso ematico renale, un incremento dell’attività del sistema renina-angiotensina-aldosterone (SRAA) e dell’ormone antidiuretico (ADH), una ritenzione idrica, un aumento del volume plasmatico, un’ipertrofia ventricolare sinistra ed infine una progressiva morte cellulare.
La presenza di anemia è pure espressione di una combinazione di più fattori. Infatti, quando vi è un’insufficienza renale la produzione di eritropoietina endogena è ridotta e la stessa situazione si verifica anche quando è presente l’insufficienza cardiaca (Fig. 8). Le citochine che si sviluppano determinano una inibizione della produzione dell’eritropoietina e delle attività del midollo osseo, una riduzione dell’assorbimento intestinale del ferro ed un suo rallentamento nel rilascio dai depositi, mentre l’utilizzo degli ACE inibitori e dei sartani possono rendersi responsabili di una diminuzione dell’attività dell’eritropoietina27, 28. D’altra parte, l’utilizzo dell’eritropoietina migliora la funzionalità renale e cardiaca, che risulta statisticamente significativa rispetto al gruppo in cui l’anemia non viene corretta. Questo ormone glicoproteico comporta anche una riduzione oppure un blocco dei livelli del peptide natriuretico atriale (BNP-B) (VN: 5-20 pmoli/ml). Questo peptide costituirebbe un marker utile nella diagnosi e nella valutazione della gravità dell’insufficienza cardiaca, sebbene il valore soglia che determina lo scompenso cardiaco clinico non sia stato ancora ben stabilito27, 28.
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(SCR-5) - Sindrome cardio-renale del 5° tipo, cioè secondaria a malattie sistemiche che coinvolgono entrambi gli organi
Questa sindrome, evidenziata e descritta in tempi non lontani, si diversifica dalle altre quattro perché nello stesso tempo vengono coinvolti il cuore ed il rene. Tale contemporaneità deriva da forme morbose sistemiche, il più delle volte acute come la sepsi (i). Inoltre, anche se raramente, possono promuovere lo sviluppo di questa sindrome le intossicazioni da farmaci, le affezioni autoimmunitarie (lupus eritematoso sistemico, sarcoidosi, ecc.)29.
In genere, il quadro clinico di questa sindrome è improvviso con un interessamento simultaneo e spesso grave di entrambi gli organi (cuore e reni). D’altro canto, la sindrome può esordire pure lentamente, spesso in modo ingannevole e nella sua evoluzione può indirizzarsi verso una grave insufficienza cardio-renale di difficile guarigione. Questa sindrome si può manifestare in quattro modi:
Il quadro clinico acuto della sepsi è abbastanza esemplificativo. Inizialmente viene interessato il sistema microcircolatorio, nonostante la normalità dei parametri emodinamici, mentre la clinica esprime il processo infettivo a livello cardiaco (cardiopatia settica). La cardiopatia da sepsi o cardiopatia settica viene diagnosticata in circa il 50% di questi soggetti e si presenta con una dilatazione dei due ventricoli, riduzione della frazione di eiezione e spesso risulta resistente, con varie modalità, all’introduzione di liquidi e farmaci. Nelle condizioni gravi il quadro clinico può ricordare uno shock cardiogeno, che il più delle volte però regredirebbe dopo pochi giorni30.
Soltanto in un secondo tempo vengono interessati i reni30. A questo livello, sempre durante lo stato di sepsi, si manifestano gravi alterazioni della vascolarizzazione e della funzionalità parenchimale, che sembrerebbero però non in relazione con le variazioni dell’emodinamica sistemica prodotte dalla sepsi31, 32. Inoltre, l’infezione, con gli effetti cardiovascolari e renali, interessa anche i sistemi nervoso autonomo e della renina-angiotensina-aldosterone.
Durante lo stato settico si possono manifestare una diminuzione sia della gittata cardiaca, sia della pressione di perfusione intra-glomerulare con la possibilità di un peggioramento del danno renale a causa di una insufficienza renale acuta. Quest’ultima si distingue per l’effetto del sovraccarico di liquidi, che a sua volta facilita o aggrava l’insufficienza cardiaca cronica in un cuore già alterato, perché dilatato e compromesso dall’acidosi metabolica che ne pregiudica una contrattilità efficace32.
L’insufficienza renale acuta concorre anche a ridurre la funzionalità del miocardico, perché agevola la sintesi di mediatori pro-infiammatori, ma in modo particolare facilita un incremento di apoptosi dei miocardiociti.
La somministrazione degli ACE-inibitori migliorerebbero la filtrazione glomerulare e la diuresi, mentre gli antagonisti recettoriali dell’angiotensina II avrebbero azioni favorevoli a livello dell’emodinamica intra-parenchimale del rene24.
Il prototipo della sindrome cardio-renale di tipo 5 ad evoluzione cronica, come abbiamo già ricordato, è rappresentato dal soggetto con cirrosi epatica. Per valutare il danno renale durante questa sindrome, può essere utile il dosaggio di diversi bio-marcatori. Tuttavia, la determinazione della creatininemia e del volume della diuresi costituirebbero il gold standard per la diagnosi e il monitoraggio del danno renale acuto in corso di questa sindrome, che è secondaria ad una condizione sistemica.
Per il trattamento vale quanto già detto per le sindromi cardio-renali 1 e 3. Un ruolo importante viene svolto dalla terapia sostitutiva che può far migliorare, ma sembra non peggiorare, la performance cardiaca fornendo un’ottima clearance per i piccoli soluti. Sfortunatamente, al momento non esistono terapie specifiche per prevenire in questi soggetti l’insufficienza renale acuta.
Considerazioni conclusive
Da quanto riportato sono ancora molti i punti da chiarire, specie quelli di tipo fisiopatologico. La Consensus Conference dell’“Acute Dialysis Quality Initiative” (ADQI Group), in uno dei suoi incontri, ha accuratamente esaminato gli studi specialmente di fisiopatologia di questa sindrome ed ha anche proposto un iter su cui muoversi per dare un impulso alla ricerca, al fine di migliorare la diagnostica e la terapia33.
Inoltre, sarebbe opportuno evidenziare la predisposizione delle persone sia verso le cardiopatie acute o croniche, che possono facilitare gli episodi d’insufficienza renale acuta o cronica e viceversa. Questi studi sarebbero utili, per evitare o rendere meno frequenti tali manifestazioni ed utilizzare i trattamenti più opportuni, ma anche maggiormente efficaci33.
Dovranno essere approfonditi specialmente gli studi della sindrome cardio-renale di tipo 1 e 3, con la loro predisposizione e prevenzione:
Prima di concludere, desideriamo sottolineare come la sindrome cardio-renale nel suo insieme richieda un approccio diagnostico e terapeutico attento e multidisciplinare, che ci permetta di evidenziare alcuni aspetti, che riteniamo interessanti:
BIBLIOGRAFIA