Dott. Nino Cartabellotta

Presidente Fondazione GIMBE

Articolo pubblicato in:

Anno Accademico 2023-2024

Vol. 68, n° 1, Gennaio - Marzo 2024

Conferenza: Il 6° Rapporto GIMBE sul Servizio Sanitario Nazionale

05 dicembre 2023

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Il 6° Rapporto GIMBE sul Servizio Sanitario Nazionale

N. Cartabellotta

Nel 2013 la Fondazione GIMBE lanciò la campagna “Salviamo il Nostro Servizio Sanitario Nazionale (SSN)1 per sensibilizzare decisori politici, manager, professionisti sanitari e cittadini sulla necessità di rimettere la sanità pubblica al centro del dibattito pubblico e dell’agenda politica. Prevedendo che la perdita del SSN non sarebbe stata annunciata dal fragore di una valanga, ma dal silenzioso scivolamento di un ghiacciaio, attraverso anni, lustri, decenni. Che lentamente, ma inesorabilmente, avrebbe eroso il diritto costituzionale alla tutela della salute. E dopo 10 anni dati e cronaca dimostrano che il collasso del SSN ci sta portando dritti verso un disastro sanitario, economico e sociale, già ben evidente in diverse aree interne del Sud. Spianando definitivamente la strada a una sanità regolata dal libero mercato, dove l'accesso a tecnologie diagnostiche e terapie innovative sarà limitato a chi potrà pagare di tasca propria o avrà stipulato costose assicurazioni sanitarie, che tuttavia non potranno mai garantire una copertura globale come quella offerta dalla sanità pubblica.

Oggi nei fatti l’universalità, l’uguaglianza e l’equità - i principi fondamentali del SSN - sono stati traditi, con inevitabili conseguenze che condizionano la vita quotidiana delle persone: lunghissimi tempi di attesa, affollamento dei Pronto Soccorso, difficoltà/impossibilità a trovare un medico di famiglia vicino casa, aumento della spesa privata, diseguaglianze nell’accesso alle cure, inaccessibilità alle innovazioni, mobilità sanitaria, rinuncia alle cure, sino alla riduzione dell'aspettativa di vita.

Eppure, durante la fase più critica della pandemia tutte le forze politiche celebravano il valore della sanità pubblica e invocavano la necessità di potenziare il SSN. Poi, passata l’emergenza, la sanità è stata nuovamente rimessa all’angolo, in fondo alle priorità del Paese. Ovvero, dove l’hanno relegata tutti i Governi degli ultimi 20 anni, che hanno sempre considerato la spesa sanitaria come un costo e mai come un investimento, ignorando che la salute e il benessere della popolazione condizionano la crescita del PIL. Governi che hanno scelto di usare la spesa sanitaria come un bancomat per ottenere consensi, dirottando le risorse su altre priorità mirate a soddisfare il proprio elettorato. Una politica miope che, limitandosi alla “manutenzione ordinaria” del SSN, ha portato allo sgretolamento dei principi di universalismo, equità e uguaglianza, sino a compromettere il diritto costituzionale alla tutela della salute. 

In questo scenario di grave crisi della sanità pubblica entra a gamba tesa anche il DDL sull’autonomia differenziata, che non potrà che amplificare le disuguaglianze regionali, legittimando normativamente il divario Nord-Sud e violando il principio di uguaglianza nel diritto alla tutela della salute. Peraltro nel momento storico in cui il Paese prova ad utilizzare i miliardi del PNRR con l’obiettivo trasversale di ridurre le diseguaglianze regionali e locali.

Eppure conosciamo già la terapia per curare il malato SSN: rilanciare progressivamente il finanziamento pubblico per allinearlo entro il 2030 almeno alla media dei paesi europei; potenziare le capacità di indirizzo e verifica dello Stato sulle Regioni; garantire l’aggiornamento continuo dei livelli essenziali di assistenza per rendere subito accessibili le innovazioni, oltre che la loro esigibilità su tutto il territorio nazionale; rilanciare le politiche sul personale sanitario; riprogrammare l’offerta dei servizi socio-sanitari in relazione ai reali bisogni di salute della popolazione; regolamentare il rapporto pubblico-privato e la sanità integrativa; investire in prevenzione e promozione della salute; potenziare l’informazione istituzionale basata sulle evidenze scientifiche; aumentare le risorse per la ricerca indipendente; rimodulare ticket e detrazioni fiscali per le spese sanitarie. Lo stesso PNRR, al di là delle recenti rimodulazioni al ribasso, rappresenta una grande opportunità per rilanciare il SSN solo se inserito in un quadro di rafforzamento complessivo della sanità pubblica. Infatti, in assenza di risorse vincolate per il personale sanitario, di riforme di sistema (in particolare quella sui medici di famiglia) e di un affiancamento dello Stato alle Regioni più in difficoltà, rischiamo di indebitare le future generazioni per finanziare solo un costoso lifting del SSN.

Ecco perché oggi serve innanzitutto una visione sul modello di sanità che vogliamo lasciare in eredità alle future generazioni; occorre stabilire quante risorse pubbliche investire per la salute e il benessere delle persone; infine, bisogna attuare coraggiose riforme necessarie a condurre il SSN nella direzione voluta. Ma tutto questo richiede ancor prima un patto sociale e politico che, prescindendo da ideologie partitiche e avvicendamenti di Governi, riconosca nel SSN un pilastro della nostra democrazia, una conquista sociale irrinunciabile e una grande leva per lo sviluppo economico del Paese.  In alternativa, se mantenere un SSN pubblico, equo e universalistico non è più una priorità del nostro Paese, la politica dovrebbe avere l’onestà di scegliere apertamente un altro modello di sanità, governando in maniera rigorosa i processi di privatizzazione che si stanno già concretizzando in maniera subdola con una sanità a doppio binario che penalizza le fasce più deboli della popolazione. Mettendo una pietra tombale sull’articolo 32 della Costituzione.


“Lo stato di salute” del Servizio Sanitario Nazionale (SSN)

Sin dal 4° Rapporto GIMBE sul SSN2 la Fondazione GIMBE aveva raffigurato il SSN come un paziente affetto da “patologie multiple”: definanziamento pubblico, ampliamento del “paniere” dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), sprechi e inefficienze, espansione incontrollata del secondo pilastro. Oltre ai “fattori ambientali” che peggiorano lo stato di salute del SSN: ovvero la (non sempre) leale collaborazione Stato-Regioni a cui è affidata la tutela della salute e le aspettative irrealistiche di cittadini e pazienti per una medicina mitica e una sanità infallibile. Negli ultimi due anni, a seguito dello shock pandemico, le “condizioni di salute” del SSN sono nettamente peggiorate3.


Finanziamento pubblico

Il fabbisogno sanitario nazionale (FSN) dal 2010 al 2023 è aumentato complessivamente di € 23,3 miliardi, in media € 1,94 miliardi l’anno, ma con trend molti diversi tra il periodo pre-pandemico, pandemico e post-pandemico. Durante la stagione dei tagli (2010-2019) alla sanità pubblica sono stati sottratti oltre € 37 miliardi, con un aumento complessivo del FSN di soli € 8,2 miliardi in 10 anni, pari ad una crescita media dello 0,9% annuo, un tasso inferiore a quello dell’inflazione media annua (1,15%). Negli anni della pandemia (2020-2022) il FSN è aumentato complessivamente di € 11,6 miliardi, crescendo in media del 3,4% annuo. Inoltre, da marzo 2020 a settembre 2022 sono stati emanati 13 decreti legge che hanno stanziato risorse per la gestione dell’emergenza COVID-19 e per sostenere i maggiori costi energetici, per complessivi € 11.584,3 milioni: di questi, € 5.506 milioni hanno incrementato il FSN e € 6,078,3 milioni sono stati utilizzati per altre spese conseguenti all’emergenza. Queste risorse sono state tuttavia interamente assorbita dalla gestione della pandemia, senza permettere alcun rafforzamento strutturale del SSN. Per il triennio 2023-2026la Legge di Bilancio 2023 ha incrementato il FSN per gli anni 2023, 2024 e 2025, rispettivamente di € 2.150 milioni (di cui € 1.400 destinati alla copertura dei maggiori costi energetici), € 2.300 milioni e € 2.600 milioni. Dal punto di vista previsionale, la Nota di Aggiornamento del DEF (NaDEF) 2023, approvata lo scorso 27 settembre, peggiora il quadro tendenziale della spesa sanitaria rispetto al DEF di aprile: il rapporto spesa sanitaria/PIL precipita dal 6,6% del 2023 al 6,2% nel 2024 e nel 2025, e poi ancora al 6,1% nel 2026. In termini assoluti, nel triennio 2024-2026 la NaDEF stima un incremento della spesa sanitaria di soli € 4.238 milioni (+1,1%). La Legge di Bilancio 2024 ha incrementato il FSN per gli anni 2024, 2025 e 2026, rispettivamente di € 3.000 milioni € 4.000 milioni e € 4.200 milioni. Tuttavia, considerato che per il 2024 circa € 2.400 milioni sono destinati ai rinnovi contrattuali del personale sanitario dipendente e convenzionato, rimane pochissimo margine per il resto. Ma soprattutto non si intravede alcun rilancio progressivo del finanziamento pubblico per la sanità. Infatti, nel 2025-2026 la crescita del FSN subisce sostanzialmente una battuta di arresto (Fig. 1).

 

Fig.  1. Fabbisogno Sanitario Nazionale: trend 2010-2023.

 


Spesa sanitaria

Nel 2022 la spesa sanitaria totale (sistema dei conti ISTAT-SHA) ammonta a € 171.867 milioni così ripartiti: € 130.364 milioni di spesa pubblica (75,9%), € 41.503 milioni di spesa privata, di cui € 36.835 milioni out-of-pocket (21,4%) e € 4.668 milioni (2,7%) intermediata da fondi sanitari e assicurazioni (Fig. 2). Della spesa privata, l’88,8% è a carico dei cittadini e l’11,2% intermediata.

 

Fig. 2. Composizione della spesa sanitaria (dati ISTAT-SHA, anno 2022).

 

La spesa sanitaria pubblica 2022 di € 130.364 milioni è così ripartita per funzioni di assistenza: € 74.165 milioni per l’assistenza sanitaria per cura e riabilitazione, € 12.834 milioni per l’assistenza sanitaria a lungo termine, € 11.852 milioni per servizi ausiliari, € 19.763 milioni per prodotti farmaceutici e altri apparecchi terapeutici, € 10.386 milioni per i servizi di prevenzione delle malattie, € 1.364 milioni per governance, amministrazione e finanziamento del SSN. Relativamente all’analisi della spesa sanitaria per fattori produttivi, l’ultimo rapporto della Ragioneria Generale dello Stato (RGS) certifica per il 2021 una spesa sanitaria corrente di € 127.834 milioni ripartita in: € 38.188 milioni per il lavoro dipendente, € 43.146 milioni per i consumi intermedi (spesa farmaceutica diretta, dispositivi medici, etc.), € 7.344 milioni per la farmaceutica convenzionata, € 7.155 milioni per l’assistenza medico-generica da convenzione e € 27.306 milioni per le altre prestazioni sociali in natura da privato, € 4.695 milioni per le altre componenti di spesa. I dati della RGS dimostrano che nel periodo 2012-2020 si è registrato un sostanziale allineamento tra la spesa sanitaria corrente e il finanziamento ordinario del SSN, mentre nel 2021 la spesa ha superato il finanziamento con un gap di quasi € 5.800 milioni, di cui però solo € 1.109,2 milioni relativi al disavanzo delle Regioni. La spesa out-of-pocket secondo ISTAT-SHA per l’anno 2022 ammonta a € 36.835 milioni, comprensivi di € 2.547,5 milioni di ticket, di cui € 1.501 milioni per farmaci e € 1.046,5 milioni per prestazioni specialistiche. La spesa out-of-pocket è così ripartita per funzioni di assistenza: € 15.305 milioni per l’assistenza sanitaria per cura e riabilitazione, € 3.953 milioni per l’assistenza sanitaria a lungo termine, € 2.691 milioni per servizi ausiliari, € 14.818 milioni per prodotti farmaceutici e altri apparecchi terapeutici, € 68 milioni per i servizi di prevenzione delle malattie. Nel periodo 2012-2022 l’incremento medio è dell’1,6% annuo, per un totale di € 5.326 in 10 anni. Più complessa l’analisi della spesa intermediata sia per la difficile tracciabilità dei flussi economici, sia per l’assenza di rendicontazione pubblica sui fondi sanitari integrativi. ISTAT-SHA riporta una spesa di € 4.668 milioni, ma esclude esplicitamente i fondi sanitari integrativi, peraltro in parte ricompresi nelle assicurazioni volontarie tramite le polizze collettive. Relativamente ai benchmark internazionali nel 2022 la spesa sanitaria pubblica in Italia si attesta al 6,8% del PIL, al di sotto della media OCSE (7,1%) e della media europea (7,1%). La spesa sanitaria pubblica pro-capite nel 2022, pari a $ 3.255, rimane al di sotto sia della media OCSE ($ 3.899) sia della media dei paesi europei ($ 4.128) (Fig. 3).

 

 Fig. 3. Spesa sanitaria pubblica nei paesi OCSE in $ pro-capite (anno 2022 o più recente disponibile).

 

Il gap con i paesi europei dal 2010 si è progressivamente ampliato sino a raggiungere nel 2022 $ 873 pro-capite, che parametrato alla popolazione italiana sfiora i $ 51,4 miliardi, ovvero € 47,6 miliardi (Fig. 4).

 

Fig. 4. Trend spesa pubblica pro-capite 2008-2022: media paesi europei OCSE vs Italia.

 


Livelli essenziali di assistenza e alle diseguaglianze regionali

La procedura relativa all’aggiornamento dei LEA ha subito notevoli ritardi: infatti, nonostante la Commissione LEA abbia accolto 29 delle complessive 83 nuove richieste, la loro approvazione non è stata formalizzata in attesa del cd. “Decreto tariffe” pubblicato solo il 4 agosto 2023. L’esigibilità dei nuovi LEA relativi alle prestazioni di specialistica ambulatoriale e di protesica è stata condizionata da questa inaccettabile lacuna: tali prestazioni, infatti, finora esigibili solo nelle Regioni non in Piano di rientro grazie a fondi extra-LEA, lo saranno ancora sino al 1° gennaio 2024 per la specialistica ambulatoriale e al 1° aprile 2024 per l’assistenza protesica. La Fondazione GIMBE ha condotto uno studio sul monitoraggio dei LEA analizzando in dettaglio l’adempimento al mantenimento dei LEA, effettuato con la “griglia LEA” per il periodo 2010-2019 e tramite il Nuovo Sistema di Garanzia per gli anni 2020-20214. Tutte le analisi rilevano una vera e propria “frattura strutturale” tra Nord e Sud: negli adempimenti cumulativi 2010-2019 nessuna Regione meridionale si posiziona tra le prime 10. Nel 2020 l’unica Regione del sud tra le 11 adempienti è la Puglia; nel 2021 delle 14 adempienti solo 3 sono del Sud: Abruzzo, Puglia e Basilicata (Fig. 5).

 

Fig. 5. Nuovo Sistema di Garanzia: punteggi totali anno 2021.

 

Sia nel 2020 che nel 2021 le Regioni meridionali sono comunque le ultime tra quelle adempienti. I dati sulla mobilità sanitaria confermano questo gap ormai incolmabile, documentando che i flussi economici scorrono prevalentemente da Sud a Nord. In particolare nel 2020, Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto “cubano” complessivamente il 94,1% del saldo di mobilità attiva. In questo contesto l’eventuale attuazione dell’autonomia differenziata in sanità legittimerebbe normativamente il divario tra Nord e Sud, violando il principio costituzionale di uguaglianza dei cittadini nel diritto alla tutela della salute. Ecco perché la Fondazione GIMBE in audizione presso la 1a Commissione Affari Costituzionali del Senato della Repubblica ha proposto di espungere la tutela della salute dalle materie su cui le Regioni possono richiedere il trasferimento delle funzioni da parte dello Stato.


Personale sanitario

Personale dipendente. Nel 2021 si rilevano 715.959 unità di personale di cui 617.246 dipendenti del SSN (86,2%), 80.615 dipendenti delle strutture equiparate a quelle pubbliche (11,3%), 9.978 universitari (1,4%) e 8.120 con altro rapporto di lavoro (1,1%). Delle 715.959 unità il 72,2% è rappresentato dal ruolo sanitario, il 17,4%, dal ruolo tecnico, il 9,9% dal ruolo amministrativo, lo 0,2% dal ruolo professionale e lo 0,3% da qualifiche atipiche.

Medici. Nel 2021 sono 124.506 i medici che lavorano nelle strutture sanitarie: 102.491 dipendenti del SSN e 22.015 dipendenti delle strutture equiparate al SSN. La media nazionale è di 2,11 medici per 1.000 abitanti, con un range che varia dagli 1,84 di Campania e Veneto a 2,56 della Toscana con un gap del 39,1%. L’Italia si colloca sopra la media OCSE (4,1 vs 3,7 medici per 1.000 abitanti), ma con un gap rilevante tra i medici attivi e quelli in quota al SSN.

Infermieri. Nel 2021 sono 298.597 gli infermieri che lavorano nelle strutture sanitarie: 264.768 dipendenti del SSN e 33.829 dipendenti delle strutture equiparate al SSN. La media nazionale è di 5,06 per 1.000 abitanti, con un range che varia dai 3,59 della Campania ai 6,72 del Friuli Venezia Giulia con un gap dell’87,2%. L’Italia si colloca ben al di sotto della media OCSE (6,2 vs 9,9 per 1.000 abitanti).

Rapporto infermieri/medici. Nel 2021 il rapporto nazionale infermieri/medici tra il personale dipendente è di 2,4, con un range che varia dagli 1,83 della Sicilia ai 3,3 della Provincia autonoma di Bolzano, con un gap dell’80,3%. Fatta eccezione per il Molise, le Regioni in Piano di rientro si trovano tutte sotto la media nazionale, dimostrando che le restrizioni di personale hanno colpito più il personale infermieristico che quello medico. L’Italia si colloca molto al di sotto della media OCSE (1,5 vs 2,7) per rapporto infermieri/medici, in Europa davanti solo a Spagna (1,4) e Lettonia (1,2).

Occorre sottolineare che le fonti disponibili non permettono di analizzare in maniera univoca, sistematica e costantemente aggiornata la reale “forza lavoro” del SSN impegnata nell’erogazione dei LEA. Inoltre, i dati relativi al 2021 verosimilmente sottostimano la carenza di personale, in conseguenza di licenziamenti volontari e pensionamenti anticipati negli anni 2022-2023. Ancora le differenze regionali sono molto rilevanti, in particolare per il personale infermieristico, maggiormente sacrificato nelle Regioni in Piano di rientro. Infine, i benchmark internazionali relativi a medici e infermieri collocano il nostro Paese poco sopra la media OCSE per i medici e molto al di sotto per il personale infermieristico, restituendo di conseguenza un rapporto infermieri/medici tra i più bassi d’Europa.

Medici di Medicina Generale (MMG). Al 1° gennaio 2022 39.270 MMG avevano in carico oltre 51,3 milioni di assistiti. In termini assoluti, la media nazionale è di 1.307 assistiti per MMG: dai 1.073 della Sicilia ai 1.545 della Provincia autonoma di Bolzano. Tuttavia lo scenario è molto più critico di quanto lascino trasparire i numeri: con l’attuale livello di saturazione e la mancata distribuzione capillare dei MMG in relazione alla densità abitativa, è spesso impossibile trovare disponibilità di un MMG vicino casa, non solo nelle cosiddette aree desertificate, ma anche nelle grandi città. Ritenendo accettabile un rapporto di 1 MMG ogni 1.250 assistiti, si stima una carenza di 2.876 MMG, con situazioni più critiche nelle grandi Regioni del Nord: Lombardia (-1.003), Veneto (-482), Emilia-Romagna (-320), Piemonte (-229), oltre che in Campania (-349). Per il futuro, tenendo conto di pensionamenti attesi e borse di studio per il Corso di Formazione in Medicina Generale, nel 2025 il numero dei MMG diminuirà di 3.452 unità rispetto al 2021, con nette differenze regionali.

Pediatri di Libera Scelta (PLS). Al 1° gennaio 2022 6.921 PLS avevano in carico quasi 6,2 milioni di iscritti, di cui il 42,3% (2,62 milioni) della fascia 0-5 anni e il 57,7% (3,58 milioni) della fascia 6-13 anni (pari all’83,3% della popolazione ISTAT al 1° gennaio 2022 di questa fascia di età). In termini assoluti, la media nazionale è di 896 assistiti per PLS e a livello regionale solo Umbria (784), Sardegna (788), Sicilia (792) e Molise (798) rimangono al di sotto del massimale senza deroghe; 17 Regioni superano invece la media di 800 assistiti per PLS di cui Piemonte (1.092), Provincia autonoma di Bolzano (1.060) e Toscana (1.057) vanno oltre la media di 1.000 assistiti per PLS. Lo scenario, analogamente a quello dei MMG, è molto più critico di quanto lasciano trasparire i numeri: infatti, ipotizzando una media di 800 assistiti a PLS (pari all’attuale tetto massimo), si stima a livello nazionale una carenza di 840 PLS, con notevoli differenze regionali. Tuttavia, sulla base di una media di 700 assistiti per PLS adeguata a garantire un reale esercizio della libera scelta, ne mancherebbero addirittura 1.935.


PNRR missione salute

Le principali criticità di implementazione della Missione 6 sono in larga parte relative alla riorganizzazione prevista dal DM 77/2022: dalle differenze regionali (modelli organizzativi dell’assistenza territoriale, dotazione iniziale di case di comunità e ospedali di comunità, percentuale di over 65 in assistenza domiciliare nel 2019, attuazione del fascicolo sanitario elettronico) al fabbisogno di personale per il potenziamento dell’assistenza territoriale; dalle modalità di coinvolgimento di medici e pediatri di famiglia alla carenza di personale infermieristico; dagli ostacoli all’attuazione della telemedicina al carico amministrativo di Regioni e Aziende sanitarie. Relativamente allo stato di avanzamento: i target europei, che condizionano il pagamento delle rate, sono stati tutti raggiunti entro le scadenze fissate per gli anni 2021, 2022 e 2023. Rimane da raggiungere entro dicembre 2023 il target “Almeno un progetto di telemedicina per Regione”. I target italiani, che rappresentano scadenze intermedie, sono stati tutti raggiunti entro le scadenze fissate per il 2021 e 2022. Relativamente all’anno 2023 a dicembre è prevista la scadenza di 3 target. Per 1 milestone e 4 target non raggiunti entro marzo 2023 o giugno 2023, sono state differite le scadenze. Rispetto allo stato di avanzamento sulle strutture da realizzare, secondo il monitoraggio Agenas5 al 30 giugno 2023 sono funzionalmente attive 187/1.430 Case di Comunità, 77/611 Centrali Operative Territoriali e 76/434 Ospedali di Comunità. Complessivamente, il monitoraggio conferma il netto ritardo delle Regioni del Sud. Le proposte di rimodulazione del PNRR presentate il 7 agosto 2023 alla Commissione Europea in ragione dell’aumento dei costi dell’investimento e/o dei tempi di attuazione oltre che dei ritardi nelle forniture e delle difficoltà legate all’approvvigionamento di materie prime sono state ratificate lo scorso 24 novembre. Complessivamente vengono espunte 312 Case di Comunità, 120 Centrali Operative Territoriali, 74 ospedali di Comunità, 25 interventi di anti-sismica, 808 posti letto di terapia intensiva e 995 di terapia semi-intensiva. Aumentano i target quantitativi del numero di over 65 da prendere in carico in assistenza domiciliare (da almeno 800 mila a 842 mila) e del numero di pazienti assistiti in telemedicina (da almeno 200 mila a 300 mila). Sono stati approvati anche due differimenti temporali delle scadenze: di 6 mesi per le Centrali Operative Territoriali e di 18 mesi per l’ammodernamento parco tecnologico e digitale ospedaliero.


Piano di rilancio del SSN

Per “curare le patologie” che affliggono il SSN, la Fondazione GIMBE ha elaborato un piano di rilancio in 14 punti6 che rappresentano lo standard per il monitoraggio continuo delle azioni politiche di Governo e Regioni (Fig. 6).

  • La salute in tutte le politiche. Mettere la salute e il benessere delle persone al centro di tutte le decisioni politiche: non solo sanitarie, ma anche ambientali, industriali, sociali, economiche e fiscali, oltre che di istruzione, formazione e ricerca (Health in All Policies).
  • Prevenzione e promozione della salute. Diffondere la cultura e potenziare gli investimenti per la prevenzione e la promozione della salute e attuare l’approccio integrato One Health, perché la salute delle persone, degli animali, delle piante e dell’ambiente sono strettamente interdipendenti.
  • Governance stato-regioni. Potenziare le capacità di indirizzo e verifica dello Stato sulle Regioni, nel rispetto dei loro poteri, per ridurre diseguaglianze, iniquità e sprechi e garantire il diritto costituzionale alla tutela della salute su tutto il territorio nazionale.
  • Finanziamento pubblico. Aumentare il finanziamento pubblico per la sanità in maniera consistente e stabile, allineandolo entro il 2030 alla media dei paesi europei, al fine di garantire l’erogazione uniforme dei LEA, l’accesso equo alle innovazioni e il rilancio delle politiche del personale sanitario.
  • Livelli essenziali di assistenza. Garantire l’aggiornamento continuo dei LEA per rendere rapidamente accessibili le innovazioni e potenziare gli strumenti per monitorare le Regioni, al fine di ridurre le diseguaglianze e garantire l’uniforme esigibilità dei LEA in tutto il territorio nazionale.
  • Programmazione, organizzazione e integrazione dei servizi sanitari e socio-sanitari. Programmare l’offerta di servizi sanitari in relazione ai bisogni di salute e renderla disponibile tramite reti integrate, che condividono percorsi assistenziali, tecnologie e risorse umane, al fine di ridurre la frammentazione dell’assistenza, superare la dicotomia ospedale-territorio e integrare assistenza sanitaria e sociale.
  • Personale sanitario. Rilanciare le politiche sul capitale umano in sanità al fine di valorizzare e (ri)motivare la colonna portante del SSN: investire sul personale sanitario, programmare adeguatamente il fabbisogno di tutti i professionisti sanitari, riformare i processi di formazione, valutazione e valorizzazione delle competenze secondo un approccio multi-professionale.
  • Sprechi e inefficienze. Ridurre sprechi e inefficienze che si annidano a livello politico, organizzativo e professionale e riallocare le risorse in servizi essenziali e innovazioni, aumentando il valore della spesa sanitaria.
  • Rapporto pubblico-privato. Normare l’integrazione pubblico-privato secondo i reali bisogni di salute della popolazione e disciplinare la libera professione, al fine di ridurre le diseguaglianze d’accesso ai servizi sanitari e arginare l’espansione della sanità privata accreditata.
  • Sanità integrativa. Riordinare la normativa sui fondi sanitari al fine di renderli esclusivamente integrativi rispetto a quanto già incluso nei LEA, arginando diseguaglianze, fenomeni di privatizzazione, erosione di risorse pubbliche e derive consumistiche.
  • Ticket e detrazioni fiscali. Rimodulare ticket e detrazioni fiscali per le spese sanitarie, secondo princìpi di equità sociale ed evidenze scientifiche, al fine di ridurre lo spreco di denaro pubblico e il consumismo sanitario.
  • Trasformazione digitale. Promuovere cultura e competenze digitali nella popolazione e tra professionisti della sanità e caregiver e rimuovere gli ostacoli infrastrutturali, tecnologici e organizzativi, al fine di minimizzare le diseguaglianze e migliorare l’accessibilità ai servizi e l’efficienza in sanità.
  • Informazione alla popolazione. Potenziare l’informazione istituzionale basata sulle evidenze scientifiche e migliorare l’alfabetizzazione sanitaria delle persone, al fine di favorire decisioni informate sulla salute, ridurre il consumismo sanitario e contrastare le fake news, oltre che aumentare la consapevolezza del valore del SSN.
  • Ricerca. Destinare alla ricerca clinica indipendente e alla ricerca sui servizi sanitari almeno il 2% del finanziamento pubblico per la sanità, al fine di produrre evidenze scientifiche per informare scelte e investimenti del SSN.

 

Fig. 6. Piano di rilancio del SSN elaborato dalla Fondazione GIMBE.

 


Dott. Nino Cartabellotta, Presidente Fondazione GIMBE

Per la corrispondenza: nino.cartabellotta@gimbe.org

BIBLIOGRAFIA

  1. Salviamo il Nostro Servizio Sanitario Nazionale. Disponibile a: www.salviamo-ssn.it.
  2. 4° Rapporto GIMBE sulla sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale. Fondazione GIMBE: Bologna, giugno 2019. Disponibile a: www.rapportogimbe.it.
  3. 6° Rapporto GIMBE sul Servizio Sanitario Nazionale. Fondazione GIMBE: Bologna, 10 ottobre 2023. Disponibile a: www.salviamo-ssn.it/6-rapporto.
  4. 6° Rapporto GIMBE sul Servizio Sanitario Nazionale. Fondazione GIMBE: Bologna, 10 ottobre 2023. Disponibile a: www.salviamo-ssn.it/6-rapporto.
  5. Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali – Agenas. Monitoraggio fase 2 concernente l’attuazione del DM n. 77 del 2022. Disponibile a: www.agenas.gov.it/images/2023/primo-piano/monitoraggio-dm77/Monitoraggio_DM_77_sintesi_fase_2_v2__finale.pdf.
  6. Piano di rilancio del Servizio Sanitario Nazionale. Fondazione GIMBE. Disponibile a: www.salviamo-ssn.it/salviamo-ssn/piano-di-rilancio.