Prof. Giovanni Minisola

Presidente Emerito della Società Italiana di Reumatologia

Articolo pubblicato in:

Anno Accademico 2023-2024

Vol. 68, n° 1, Gennaio - Marzo 2024

Simposio: La prevenzione dimenticata

19 dicembre 2023

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L’osteoporosi negletta

G. Minisola


Dati clinico-epidemiologici

L’osteoporosi (OP) è una condizione clinica negletta, frequente, prevenibile e trattabile, che predispone a fragilità i soggetti interessati, indipendentemente da sesso ed età, e che è associata ad aumento di morbidità e mortalità1.

Chi è fragile è più vulnerabile e ha un rischio più elevato di perdere il suo equilibrio e la sua omeostasi biologica perché è compromessa la sua capacità di attivare prontamente ed efficacemente meccanismi di compenso di fronte a nuove condizioni patologiche di qualsivoglia natura.

La fragilità da OP, specie se concomitano altre patologie, rende precaria la condizione di vita e ha molteplici conseguenze negative. Tra queste, l’aumento del rischio di caduta e di frattura, la compromissione dell’autonomia deambulatoria, la difficoltà a svolgere attività fisica, la frequente ospedalizzazione e l’aumento delle probabilità di ricovero in strutture assistenziali di lungodegenza.

È quindi estremamente importante, da un punto di vista preventivo, medico e sociale, identificare precocemente e tempestivamente i soggetti osteoporotici al fine di programmare e attuare interventi finalizzati a contrastare la progressione della loro patologia fragilizzante.

In Italia l’OP interessa oltre 4 milioni di persone, colpisce anche il sesso maschile e può essere determinata da molti farmaci, primo tra tutti il cortisone, specie se il trattamento è protratto e ad alte dosi.

Generalmente l’OP non si manifesta con dolore, tanto da essere considerata una ladra di osso silenziosa. Tipicamente associata alla menopausa e all’età avanzata, è una malattia sottovalutata dalla maggior parte di coloro che ne sono affetti.

L’OP, specie nei casi severi caratterizzati da episodi fratturativi, compromette la durata e la qualità della vita ed è pertanto considerata in tutto il mondo una condizione ad alto potenziale invalidante e un problema sociale molto rilevante. Inoltre, essendo sottovalutata e sconosciuta e dalla maggior parte di coloro che ne sono affetti, è molto frequente un mancato o tardivo trattamento che si traduce in un aumento del rischio di andare incontro a una o più fratture, anche per un minimo sforzo o per un trauma di lieve entità. Risulta pertanto fondamentale la diagnosi precoce e tempestiva, così come tempestivo e appropriato deve essere l’intervento terapeutico.

Per meglio mettere a fuoco questo preoccupante scenario, si consideri che la frattura vertebrale, una complicanza molto frequente dell’OP, costituisce il primo momento del cosiddetto ‘effetto domino’, che consiste nella probabilità cinque volte maggiore che possano verificarsi altri eventi fratturativi vertebrali o in altre sedi (omero, polso, femore) entro un anno dalla prima frattura vertebrale2.

Nonostante questi dati certi e drammatici, è ancora molto alta la percentuale di donne con fratture vertebrali osteoporotiche non trattate, o trattate impropriamente e tardivamente, esposte a un rilevante e concreto aumento del rischio di nuove fratture, con particolare riferimento a quelle di femore, altamente invalidanti.

Ancora troppo spesso si tende a sottovalutare il dolore nei tratti dorsale e lombare della colonna, considerandolo un fenomeno legato al passare degli anni. È invece fondamentale una maggiore sensibilità verso il sintomo “dolore alla colonna” quale campanello di allarme di un evento fratturativo imminente, recente o passato, da trattare obbligatoriamente con uno dei farmaci oggi disponibili.

Anche la temibile frattura di femore da OP non può considerarsi risolta solo con l’intervento chirurgico, ma necessita, come tutte le fratture, di una terapia farmacologica con finalità preventive di ulteriori fratture.

Occorre promuovere una sempre maggiore consapevolezza nella popolazione, specie in quella femminile e in menopausa, dell’OP, la cui prevenzione e il cui trattamento non possono prescindere da un adeguato stile di vita (evitare il fumo, fare attività fisica, avere un’alimentazione corretta).  

Poiché è ben noto che la predisposizione famigliare alle fratture da fragilità ossea osteoporotica interessa 1 donna italiana su 3, è importante verificare l’eventuale presenza della malattia nel nucleo famigliare e accertare l’esistenza di altri fattori di rischio, come la menopausa precoce o un trattamento, attuale o passato, con farmaci osteopenizzanti (tra i quali cortisone, ormoni tiroidei, anticoagulanti e inibitori dell’aromatasi)3.

Attualmente la diagnosi di OP si basa essenzialmente sulla raccolta dei dati anamnestici, sull’esame obiettivo, sulla valutazione densitometrica (MOC) con metodica DEXA a livello del femore prossimale e del rachide lombare (L1-L4) e sull’esecuzione degli esami di laboratorio più indicati per il singolo caso e tra i quali è bene includere il dosaggio della vitamina D. La MOC consente di effettuare una diagnosi densitometrica sia di OP che di osteopenia, una condizione di pre-OP da seguire nel tempo.


Agenti terapeutici

I farmaci attualmente utilizzati con successo per il trattamento dell’OP appartengono a due grandi classi che agiscono su differenti fasi del metabolismo osseo: gli antiriassorbitivi, che bloccano l’attività degli osteoclasti, cioè delle cellule che distruggono l’osso, e gli stimolatori della formazione di nuovo osso, che promuovono l’azione degli osteoblasti, cioè delle cellule che costruiscono l’osso3-6. Tra i primi, quelli maggiormente e da più tempo utilizzati, sono i bisfosfonati il cui capostipite, alendronato, mantiene inalterata nel tempo la sua validità terapeutica. Tra i secondi, il teriparatide, un farmaco che interviene sulla formazione di nuovo osso e che risulta particolarmente indicato nei soggetti con OP severa. L’armamentario terapeutico è completato dal denosumab, il primo farmaco biologico contro l’OP ad azione antiriassorbitiva, del romosozumab, un farmaco biologico anti-sclerostina che associa un’attività osteoformativa a una antiriassorbitiva.

Indipendentemente dal farmaco scelto, risulta essenziale la supplementazione con calcio e vitamina D giacché la prescrizione di tutti i farmaci contro l’OP a soggetti carenti di vitamina D e con insufficiente apporto di calcio può compromettere l’efficacia della terapia e può causare ipocalcemia o iperparatiroidismo secondario.

Occorre sottolineare che la carenza di vitamina D è molto comune in Italia e deve essere corretta mediante supplementazione di colecalciferolo. L'impiego di metaboliti idrossilati della vitamina D (calcifediolo e calcitriolo) può trovare indicazione in presenza di specifiche condizioni. Inoltre, gli effetti favorevoli della vitamina D sulla muscolatura contribuiscono a diminuire il rischio di cadute e, quindi, di fratture.

La terapia non farmacologica può prevedere l’impiego di integratori, tra i quali il silicio sotto forma di acido ortosilicico stabilizzato con colina. È bene, inoltre, praticare attività fisica aerobica regolarmente e con modalità compatibili con l’età e con altre patologie eventualmente coesistenti, per favorire il consumo calorico in caso di soprappeso e per il mantenimento di un buon tono muscolare.

Va peraltro ricordato che l’OP menopausale può essere particolarmente accentuata e grave nei soggetti con malattie reumatologiche di natura immuno-infiammatoria, non solo perché l’infiammazione provoca perdita ossea, ma anche in ragione della ridotta attività fisica a seguito della compromissione articolare e dell’eventuale contemporaneo impiego di farmaci che danneggiano l’osso.


Calcio

Un corretto approccio nutrizionale di calcio fa parte delle misure di prevenzione e trattamento dell’OP, sia essa menopausale, senile, dipendente dall’impiego di farmaci, specie il cortisone, o associata ad altre malattie.

La supplementazione di calcio è particolarmente indicata nei soggetti con apporto dietetico carente, in epoca (peri)menopausale, in gravidanza, durante l’allattamento, e quando si assumono farmaci contro l’OP.

La principale fonte di calcio è rappresentata dal latte e dai suoi derivati, e, seppur in misura minore, dalla frutta secca (mandorle), da alcune verdure (cavolo, spinaci, rape) e dai legumi.

Si ritiene che l’introito medio giornaliero di calcio nella popolazione italiana sia insufficiente, specie in età senile, in gravidanza e durante l’allattamento. Questa insufficienza contribuisce all’insorgenza dell’OP e delle relative complicanze.

La dose giornaliera di calcio che mediamente un soggetto adulto deve assumere è di 1000 mg. L’integrazione alimentare con calcio è particolarmente indicata. È incerto se la somministrazione di solo calcio, specie negli anziani, induca o meno una lieve riduzione del rischio di frattura, ma l’efficacia antifratturativa del calcio è accertata se viene somministrato in associazione alla vitamina D.

Per la supplementazione calcica si raccomanda di seguire le seguenti indicazioni: stimare preliminarmente mediante appositi questionari se l’apporto alimentare è sufficiente, tentare sempre di garantire un apporto adeguato di calcio con alimenti e acque ricche in calcio e ricorrere ai supplementi solo quando la correzione dietetica non sia sufficiente.

In caso di supplementazione, è preferibile che l’assunzione avvenga ai pasti e nella dose minima necessaria a soddisfare il fabbisogno giornaliero, eventualmente suddividendola in due somministrazioni (ad esempio, 500 mg a pranzo e 500 mg a cena).

Un adeguato introito di calcio è utile sin dai primi anni di vita e deve continuare tutta la vita, tenendo conto delle diverse esigenze e circostanze, come la gravidanza, l’allattamento, la menopausa e l’età avanzata. Spesso il calcio non è tollerato, ma la recente disponibilità di calcio citrato consente di superare questo eventuale problema.


Vitamina D

La vitamina D è utile in molte circostanze, prima tra tutte l’OP. È una vitamina che svolge azioni favorevoli non solo sullo scheletro, ma anche sui muscoli e su vari organi e apparati7

La vitamina D è contenuta quasi esclusivamente e in modesta quantità nei grassi animali, in alcuni pesci, nel fegato, nel latte e nei suoi derivati, mentre trascurabile è la quota di vitamina D presente nei grassi vegetali. Non oltre il 20% della vitamina D deriva dall’alimentazione, mentre in gran parte essa è prodotta dalla formazione a livello cutaneo conseguente all’esposizione solare ai raggi solari.

È molto frequente, soprattutto in età avanzata e in menopausa, la necessità di una supplementazione con vitamina D che, se associata ad un corretto introito di calcio, è particolarmente utile nella prevenzione delle fratture e delle ri-fratture, soprattutto se si impiegano farmaci contro l’OP8. A quest’ultimo riguardo è bene sottolineare che la carenza di calcio e/o vitamina D rappresenta una delle cause più comuni di mancata o ridotta risposta alla terapia farmacologica dell’OP. Purtroppo, nonostante le campagne di sensibilizzazione, sono molto numerosi i soggetti osteoporotici in trattamento con farmaci specifici per tale malattia che non assumono contemporaneamente o correttamente la vitamina D, diminuendo l’efficacia del trattamento.

Oltre che in menopausa e in età avanzata, una carenza vitaminica D più o meno marcata si trova, va ricercata e deve essere trattata, in molte circostanze tre le quali: gravidanza, allattamento, obesità, regime dietetico non equilibrato, anoressia, insufficienza renale, malattie intestinali, trattamento con alcuni farmaci (in particolare il cortisone), mancata esposizione della cute alla luce solare per vari motivi, primo tra tutti l’impossibilità fisica di farlo per ricovero in istituti di lungodegenza. 

I valori ideali di vitamina nel sangue sono di 30-50 ng/ml (pari a 75-125 nmol/l). La carenza di vitamina D è molto comune in Italia al punto tale che nella popolazione anziana in generale e nei soggetti a rischio di frattura può essere considerata presente, anche senza effettuare il suo dosaggio.

Se, come spesso avviene, non è possibile correggere la carenza di vitamina D con la dieta o con un’adeguata e non rischiosa esposizione alla luce solare, si deve ricorrere alla sua somministrazione, preferibilmente giornaliera o settimanale. La dose cumulativa da somministrare nel giro di alcune settimane varia a seconda dell’entità della carenza e del peso del soggetto carente.

In linea generale, la somministrazione settimanale di 50.000 UI di colecalciferolo per 2-3 mesi è in grado di riportare i valori vitamina D nell’ambito della norma nei casi di grave carenza. A ciò deve seguire una dose di mantenimento fino a 2.000 UI giornaliere o dosi equivalenti somministrate settimanalmente o mensilmente.

Tra i numerosi e documentati effetti extra-scheletrici della vitamina D, vanno ricordati quelli immunoregolatori. Degni di considerazione sono anche gli effetti favorevoli segnalati in ambito neoplastico e anti-infettivo. A quest’ultimo riguardo si ricorda l’attività favorevole attribuita alla vitamina D durante la recente pandemia da SARS-CoV-2 e nel corso della malattia correlata COVID-199-11.


Attività fisica e prevenzione delle cadute

Mantenere una buona forma è importante ed è auspicabile che nel progetto terapeutico preventivo sia prevista l’attività fisica con regolarità, previa valutazione di indicazioni e controindicazioni. Ove possibile l’attività fisica dovrebbe essere effettuata 2-4 volte la settimana, in modo compatibile con l’età e con altre patologie coesistenti, con l’obiettivo di favorire il consumo calorico in caso di soprappeso e di mantenere un buon tono muscolare. È bene preferire l’attività aerobica, eseguire gli esercizi prevedendo pause di relax e passeggiare evitando terreni accidentati o sconnessi. Gli attrezzi ginnici vanno adoperati con moderazione e tenendo conto dello stato generale e della condizione osteoarticolare.

Per ridurre il rischio di cadute, è necessario rimuovere gli ostacoli ambientali, non camminare su terreni o pavimenti scivolosi, evitare di mettere la cera sui pavimenti, mettere i tappetini antiscivolo nella doccia e indossare calzature con suola antiscivolo. Inoltre attenzione ai tappeti, cautela nelle aree adiacenti le piscine e non esitare a impiegare un bastone d’appoggio con puntale di gomma.


Conclusione

Oggi l’OP è considerata una condizione clinica tipica dell’invecchiamento e ad esso associata. Poiché l’invecchiamento della popolazione rappresenta un evento demografico certo, occorre programmare e adottare percorsi di prevenzione e trattamento delle principali patologie, tra cui l’OP, responsabili di declino fisico, psichico e funzionale.

La prevenzione deve avvenire durante tutto l’arco della vita, perché i danni subclinici iniziano in età giovanile per manifestarsi clinicamente con il passare degli anni.

Anche se il nostro patrimonio genetico, preso in eredità dai nostri antenati e depositario del nostro destino anagrafico e medico, è quasi del tutto immodificabile, è tuttavia possibile limitarne e modularne gli effetti negativi mediante interventi farmacologici e sullo stile di vita attuati con finalità preventive.

L’obiettivo della prevenzione dell’OP è quello di correggere e, possibilmente, rimuovere i fattori di rischio che la caratterizzano. La prevenzione è classicamente divisa in primaria, secondaria e terziaria.

La prevenzione primaria dell’OP ha l’obiettivo di mantenere nei soggetti sani o a maggior rischio di ammalarsi lo stato di benessere mediante l’attuazione di comportamenti e stili di vita salutari.

La prevenzione secondaria interviene su soggetti già malati, anche inconsapevolmente, mediante interventi su popolazioni più o meno estese e a maggiore rischio di OP.  

La prevenzione terziaria si attua su individui interessati da esiti di frattura, la complicanza più temibile dell’OP, per limitarne e controllarne le conseguenze e gli eventuali esiti invalidanti. La strategia della prevenzione terziaria prevede anche l’adozione di misure riabilitative e assistenziali che favoriscano il reinserimento del soggetto osteoporotico nel suo contesto famigliare, lavorativo e sociale.

La prevenzione deve essere reale, non di propaganda o di facciata, e non può prescindere da campagne di sensibilizzazione. Ciò deve realizzarsi concretamente evitando inutili dichiarazioni di intenti, che tali rimangono. La prevenzione e la sensibilizzazione devono avvenire sin dagli anni della scuola elementare e proseguire durante quelli dell’adolescenza, della giovinezza e della maturità.

La prevenzione non può prescindere da uno stile di vita sano indispensabile per la tutela delle ossa. Occorre evitare il fumo, fare attività fisica, avere un’alimentazione corretta con un adeguato introito giornaliero di calcio e mantenere nella norma i livelli di vitamina D.

Ai fini della prevenzione è fondamentale il rapporto medico-paziente e la reciproca comunicazione, con l’obiettivo di pianificare trattamenti tempestivi e di organizzare percorsi gestionali e terapeutici appropriati. Non è mai troppo tardi per iniziare un trattamento, anche se i risultati migliori si ottengono quando l’intervento è precoce. Oggi possiamo contare su farmaci che si oppongono alla perdita di osso diminuendone la fragilità, riducendone il rischio fratturativo e consentendo un trattamento dell’OP personalizzato sulla base di fattori anamnestici, clinici e diagnostici specifici del singolo caso.

L’OP, fatta eccezione per le forme secondarie, deve essere considerata espressione dell’inevitabile processo di senescenza e oggi è accertato che esiste una stretta correlazione tra l’insorgenza dell’OP e l’incremento nell’organismo del numero di cellule senescenti. Queste rappresentano un importante bersaglio per una nuova categoria di farmaci, denominati “senoterapeutici”, che verosimilmente contribuiranno a rendere sempre più efficace la lotta a una malattia dagli elevati costi sociali11

Il futuro della prevenzione e della terapia dell’OP è ricco di aspettative. Se si concretizzeranno, sarà possibile migliorare il controllo di una malattia diffusa che, specie se severa o associata a fratture, limita considerevolmente la qualità della vita dei soggetti colpiti e costituisce un fardello socio-economico pesante per la collettività. Una malattia, l’OP, per la quale i programmi di prevenzione e di intervento sono attualmente da considerare nel nostro Paese ancora insufficienti, inadeguati e insoddisfacenti.


Prof. Giovanni Minisola, Direttore Scientifico della Fondazione "San Camillo-Forlanini" – Roma

Per la corrispondenza: gminisola@hotmail.com

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