Anno Accademico 2023-2024
Vol. 68, n° 1, Gennaio - Marzo 2024
Simposio: Stato dell'arte della diagnostica e terapia endovascolare della patologia del SNC
09 gennaio 2024
Simposio: Stato dell'arte della diagnostica e terapia endovascolare della patologia del SNC
09 gennaio 2024
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Gli aneurismi cerebrali, dilatazioni focali delle arterie cerebrali, rappresentano una condizione medica seria e potenzialmente letale. Nel corso degli anni, il trattamento di tali aneurismi è notevolmente migliorato grazie a importanti sviluppi tecnologici e alla “rivoluzione GDC” (Guglielmi Detachable Coil).
Un dato apparentemente inquietante è l’elevata incidenza degli aneurismi cerebrali nella popolazione, che secondo alcuni studi raggiungerebbe il 5%1, dando spesso origine a un’ipervalutazione, da cui i noti luoghi comuni di “una bomba in testa”, o al contrario di una sottovalutazione del rischio. Ma quanti sono i "portatori sani" di un aneurisma cerebrale? Come si può prevenire l'emorragia cerebrale? Si può calcolare il fattore di rischio? Fortunatamente solo pochi aneurismi si rompono provocando un'emorragia cerebrale più o meno grave.
Fig. 1. Esempio di aneurismi cerebrali. |
La maggior parte dei "portatori sani" di aneurisma lo porterà con sé per tutta la vita, senza alcuna emorragia. È vero invece che alcuni "stili di vita" possono facilitare la rottura dell'aneurisma: il fumo di sigaretta, l'assunzione di droghe e di eccitanti, l'abuso di alcuni farmaci, l’ipertensione, l’alcool, l’ipercolesterolemia e l’età possono portare ad un indebolimento della parete, facilitando l'emorragia2. Gli aneurismi cerebrali possono verificarsi a ogni età, ma sono più frequenti tra i 30 e i 60 anni (Fig. 1). Si stima che circa il 40% dei pazienti con rottura di un aneurisma non sopravviva alle prime 24 ore e fino al 25% muoia di complicanze entro 6 mesi. Anche la sede dell’aneurisma e la sua conformazione giocano un ruolo nel rischio emorragico; gli aneurismi del circolo anteriore sono i più rischiosi così come quelli a superficie irregolare (bleb)3.
Come si formano gli aneurismi
Gli aneurismi nascono da una combinazione di stress emodinamico e modificazioni degenerative di un vaso arterioso; tale ipotesi è in linea con la rarità degli aneurismi infantili. I fattori emodinamici sono costituiti da alterazioni del flusso ematico nelle biforcazioni, più comuni nei circoli del Willis asimmetrici e in associazione a malformazioni vascolari. Gli stress emodinamici insieme alla pressione arteriosa sono cruciali per la formazione dell'aneurisma intracranico. Essi si realizzano sia con impatti a flusso perpendicolare "impacting force", sia con forze di attrito di flusso parallele alla parete del vaso "shear stress" (Fig. 2).
Fig. 2. Diagramma di flusso ematico (shear stress). |
La teoria dello stress emodinamico supera la precedente teoria dell’apoptosi, la morte di alcune cellule muscolari lisce della parete (apoptosi), che sembrerebbe la conseguenza più che la causa dell’indebolimento della parete arteriosa. Inoltre, l’apoptosi potrebbe alterare il normale equilibrio tra fattori pro-infiammatori e anti-infiammatori, aumentando lo stress ossidativo e la degradazione della matrice extracellulare. Questi processi potrebbero contribuire alla progressione e alla rottura degli aneurismi cerebrali2, 3. Alcuni studi hanno mostrato che l’apoptosi è più elevata negli aneurismi rotti rispetto a quelli non rotti, suggerendo che l’apoptosi potrebbe essere una conseguenza piuttosto che una causa della rottura.
Anche alcune malattie del connettivo, come il lupus, l’arterite di Takayasu, il rene policistico, la Marfan, e la neurofibromatosi di tipo 1, possono essere fattori statisticamente significativi di incidenza aneurismatica.
Uno sguardo al passato
L’approccio tradizionale per trattare gli aneurismi cerebrali è l’intervento chirurgico, effettuato tramite una craniotomia che consente di raggiungere l’aneurisma per mezzo del microscopio operatorio e chiudere l’aneurisma con una o più clip in titanio, posizionate nel punto in cui l’aneurisma protrude dall’arteria principale.
Fig. 3. Walter Dandy, Baltimora 1886-1946. |
La storia degli aneurismi cerebrali inizia nel 1921, quando Walter Dandy a Baltimora chiude per la prima volta un aneurisma cerebrale con una clip metallica (Fig. 3).
Solo a partire dal 1927 tuttavia si iniziò a diagnosticare gli aneurismi con precisione con l’angiografia cerebrale, quando il portoghese Egas Moniz propose l’iniezione di liquido di contrasto nel circolo carotideo4. Nel corso del XX secolo, gli avanzamenti tecnologici, come la tomografia computerizzata, l’angiografia digitale, le migliori tecniche di neurorianimazione e l’introduzione di microscopi a forte ingrandimento e di tecnologie intraoperatorie per monitorare il flusso sanguigno e le funzioni cerebrali, hanno migliorato la diagnosi e il trattamento degli aneurismi cerebrali.
La rivoluzione GDC
Ma la vera svolta avvenne negli anni ’70, a Roma. All'Università di Roma c'erano due neurochirurghi "visionari”: Raffaele Guerrisi, capelli corvini e baffi neri, e Guido Guglielmi, biondo occhi chiari (Fig. 4).
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Diversi nell'aspetto e nel carattere, entrambi accomunati dal sogno di chiudere gli aneurismi cerebrali "da dentro", senza aprire il cranio. Lavoravamo insieme, io specializzando e loro già formati, con uno dei più grandi neurochirurghi dell'epoca, Beniamino Guidetti, un innovatore formatosi a Boston e a Stoccolma, rispettato in tutto il mondo per l'enorme esperienza proprio nella chirurgia degli aneurismi cerebrali. Era uno dei pionieri di questa chirurgia, tra i primi a utilizzare il microscopio operatorio, all’epoca “rubato” dagli otorini; per quanto Guidetti fosse un fuoriclasse, a quell’epoca la chirurgia degli aneurismi era gravata da una morbidità e una mortalità non indifferenti. Certo i microscopi avevano ancora la lampada al tungsteno e l’ingrandimento consentito non era quello di oggi; pensiamo ai miglioramenti ottenuti solo a cavallo degli anni 20004 per immaginare come, in assenza di terapia intensiva dedicata e di sufficienti studi per la gestione del vasospasmo, i risultati della chirurgia fossero meno che entusiasmanti.
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Fu così che nacque l'idea di chiudere gli aneurismi, invece che con una o più clip applicate con il microscopio attraverso una craniotomia, con un filo di platino introdotto con un catetere per via femorale che aggrovigliandosi al suo interno provocasse la trombosi dell'aneurisma. Negli stessi anni anche il russo Serbinenko aveva introdotto una tecnica endovascolare per la chiusura degli aneurismi cerebrali, attraverso l’utilizzo di palloncini5. Ma quella italiana, anzi romana, fu una soluzione rivoluzionaria, nata appunto nello stabulario dei conigli di Viale dell'Università 30 e successivamente sviluppata da Guido Guglielmi alla Ucla di Los Angeles. Nascevano le prime Gdc (Guglielmi Detachable Coils)6, le famose spirali che da Roma a Los Angeles avrebbero rivoluzionato il mondo della Neurochirurgia (Fig. 5).
Fig. 6. Lars Leksell, Stockholm 1907-1986. |
La tecnica delle spirali di platino aveva dimostrato la superiorità rispetto ai palloncini per i minori rischi di rottura intraoperatoria dell’aneurisma e la possibile occlusione dell’arteria. Ma Guido Guglielmi non fu l’unico, in quegli anni, a “togliere” pazienti al neurochirurgo, dimostrando che il fine di ogni chirurgia, in direzione di una progressiva riduzione dell’invasività, deve tendere ad annullare sé stessa. Il paradosso di un neurochirurgo che inventa una tecnica “per evitare l’intervento” non è poi così insolito. Basti pensare a Lars Leksell che al Karolinska di Stoccolma mise a punto una unità di radioterapia stereotassica con raggi gamma, che fu denominata inizialmente “Gamma Unit” e successivamente “Gamma Knife”, basata su 192 sorgenti di cobalto-6077 (Fig. 6). Sarà stato un segno del destino che Leksell volle la sua sepoltura a Roma, al Cimitero Acattolico della Piramide?
Ma cosa è cambiato dalla “Rivoluzione Guglielmi”? Gli aneurismi non si operano più? E soprattutto i pazienti affetti da aneurisma cerebrale stanno meglio se trattati per via endovascolare? Oggi nei paesi "occidentali" più del 60% degli aneurismi vengono trattati con questa tecnica, e la microchirurgia è riservata a particolari tipi di aneurismi o a quelli che hanno provocato vaste emorragie cerebrali.
Oggi ogni paziente, all'arrivo in Pronto Soccorso, viene valutato dal team neurovascolare (neurochirurgo e neurointerventista) che, dopo aver ricostruito in 3D sul monitor l'aneurisma, decidono insieme cos'è meglio per il paziente, basandosi su forma e dimensioni dell'aneurisma e sul rischio di ognuna delle diverse procedure; in estrema sintesi gli aneurismi con colletto piccolo (aneurismi a lampadina) - se non associati ad ematoma - possono essere più facilmente chiusi per via endovascolare, mentre quelli a colletto largo sono oggetto di volta in volta di una valutazione multiparametrica, preferendo in linea di massima il trattamento con clip. Oggi gli straordinari sviluppi dei deviatori di flusso (flow-diverter), basati proprio sugli studi di “shear stress”, hanno riproposto l’alternativa endovascolare anche per questi aneurismi, potendo rivestire internamente il vaso da cui origina l’aneurisma con un tubicino a rete espandibile, atto a modificare il flusso che impatta sull’aneurisma. La frequenza di un aneurisma che si rompe e provoca un'emorragia cerebrale è relativamente bassa; si tratta fortunatamente di una malattia rara, che tuttavia richiede un team specifico particolarmente addestrato, pronto ad entrare in funzione nei casi idonei. E se il team non si esercita continuamente i risultati non sono ottimali.
Il Ministero, con l'ausilio della Società Italiana di Neurochirurgia (SINCH), ha emanato i requisiti dei Centri idonei al trattamento degli aneurismi, selezionando i grandi centri "Hub" (come il mozzo di una ruota) che possono contare su volumi elevati di aneurismi, inviati anche dai centri periferici "Spoke" (raggi); ma la comunità scientifica, prima ancora del Decreto, con la cosiddetta “Bozza Maira” all’Istituto Superiore di Sanità si era già orientata sul concetto di "team", cioè vari specialisti dedicati a fornire al paziente i migliori risultati, e di “volumi”, cioè la necessità di accentrare i pazienti verso i centri di riferimento.
Ma quanti sono i "portatori sani" di un aneurisma cerebrale? È vero che hanno "una bomba in testa"? Come si può prevenire l'emorragia cerebrale? Fortunatamente solo pochi aneurismi si rompono provocando un'emorragia cerebrale più o meno grave. E d'altra parte la prevalenza di un aneurisma non rotto nella popolazione è molto elevata, arrivando addirittura al 7-8% in alcuni studi!
Questo dato potrebbe portare all'affrettata conclusione che molti di noi hanno una "bomba" in testa pronta a rompersi! Per fortuna non è così: la maggior parte dei "portatori sani" di aneurisma lo porterà con sé per tutta la vita, senza alcuna emorragia. È vero invece che alcuni "stili di vita" possono facilitare la rottura dell'aneurisma: il fumo di sigaretta, l'assunzione di droghe e di eccitanti e l'abuso di alcuni farmaci possono indebolire la parete, facilitando l'emorragia.
D'altra parte, se pure si volesse avviare uno "screening" di massa anche con un esame non invasivo come la risonanza magnetica, a tutt'oggi non è certo che il rischio del trattamento (con craniotomia o con procedura endovascolare) sia inferiore alla storia naturale; in altre parole non sappiamo se – negli aneurismi piccoli non rotti – sia più conveniente operare l'aneurisma o "tenerselo". Un discorso differente meritano gli aneurismi più grandi di 7 mm, oppure con pareti "irregolari", che invece hanno un maggiore rischio emorragico e come tali più degli altri richiedono un trattamento.
Altro quesito che frequentemente si pone è se gli aneurismi cerebrali siano ereditari. In effetti i familiari di 1° grado dei pazienti con aneurisma emorragico hanno un lieve aumento del rischio di avere un aneurisma; per questa ragione, anche se la discussione è ancora aperta, noi raccomandiamo l'esecuzione di una Risonanza Magnetica ai familiari di 1° grado oltre i 30 anni.
Risultati e Prospettive
Oggi, il coiling endovascolare è diventato la prima scelta per molti pazienti con aneurismi cerebrali. Tuttavia, in alcuni casi più complessi o ad alto rischio chirurgico, l’intervento microchirurgico può essere ancora necessario.
Il tempo di recupero varia da persona a persona, ma i progressi nella tecnica del trattamento hanno notevolmente migliorato la prognosi complessiva.
In conclusione, la rivoluzione GDC ha trasformato il trattamento degli aneurismi cerebrali, offrendo opzioni meno invasive e tempi di recupero più rapidi per i pazienti. Continuare a monitorare gli sviluppi tecnologici è fondamentale per migliorare ulteriormente l’outcome di questa condizione critica. È necessario tuttavia mantenere un elevato livello formativo per i neurochirurghi in training per assicurare il trattamento ottimale anche ai pazienti che non possono essere trattati con le tecniche endovascolari o che necessitano di by-pass intracranico.
Prof. Alberto Delitala, Direttore Scientifico U.O. Neurochirurgia Ospedale San Carlo di Nancy, Roma
Per la corrispondenza: alberto.delitala@tiscali.it
BIBLIOGRAFIA