Anno Accademico 2023-2024
Vol. 68, n° 2, Aprile - Giugno 2024
Simposio: Metodologia di studio e trattamento dei pazienti pediatrici con disordini della differenziazione sessuale (DSD): l'esperienza OPBG
13 febbraio 2024
Simposio: Metodologia di studio e trattamento dei pazienti pediatrici con disordini della differenziazione sessuale (DSD): l'esperienza OPBG
13 febbraio 2024
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Le atresie utero-vaginali (definite anche agenesie mulleriane o aplasie mulleriane) sono malformazioni dell’apparato genitale femminile che interessano circa 1 su 4500/5000 nate.
Le pazienti presentano un normale cariotipo 46,XY e un mancato o insufficiente sviluppo dei dotti mulleriani, con utero e vagina incompletamente sviluppati o totalmente assenti. Le ovaie sono invece presenti e funzionanti, con normale sviluppo puberale e conseguente presenza di caratteri sessuali secondari appropriati all’età cronologica e al sesso genetico.
Il quadro clinico è stato descritto da 4 diversi scienziati in 130 anni: l’anatomista tedesco August Franz Josef Karl Mayer, l’anatomista austriaco Carl von Rokitansky, il ginecologo tedesco Hermann Kuster e il ginecologo svizzero Georges Andre Hauser. Per tale motivo la condizione è universalmente nota come Sindrome di Mayer-Rokitansky-Kuster- Hauser (MRKH), anche se una iniziale descrizione, molto vaga e poco approfondita, può ascriversi all’anatomista italiano Realdo Colombo nel 1562.
Esistono due forme diverse di questa Sindrome: quella isolata (o tipo 1), con interessamento solo dell’utero e dei 2/3 superiori della vagina e quella atipica (o tipo 2) con presenza di anomalie associate in altri organi ed apparati; nel tipo 2 le anomalie renali sono presenti nel 20-30% dei casi, le scheletriche nel 10-40%, mentre sordità e difetti cardiaci sono descritti in meno del 5% dei casi.
Una recente revisione sistematica della Letteratura1 ha identificato vari possibili geni implicati nella possibile genesi di questa Sindrome, ma i casi familiari descritti sono rari e la maggior parte delle segnalazioni rimane sporadica.
La diagnosi viene generalmente eseguita quando una ragazza viene studiata per assenza di menarca in corso di una pubertà decorsa normalmente e in presenza di caratteri sessuali secondari regolarmente sviluppati. La diagnosi differenziale deve essere formulata escludendo possibili cause di ostruzione al flusso mestruale (imene imperforato, setto vaginale trasverso, atresia cervicale isolata) e rispetto a forme di DSD genetiche (sindrome di insensibilità agli androgeni, completa o parziale, cariotipo 46,XY).
Obiettivo principale nel trattamento di queste pazienti (non potendo al momento essere loro offerto un utero funzionante se non come terapia sperimentale in Centri selezionati) è quello di garantire la presenza di una vagina normale, tale da permettere una adeguata vita sessuale. Pur esistendo una vasta e dettagliata descrizione di differenti tecniche chirurgiche proposte per ottenere tale risultato2, nessuna di queste ha dimostrato una reale superiorità rispetto alle altre, sia per quanto riguarda le possibili complicanze che per quanto si riferisce ai risultati funzionali a breve e lunga distanza. I successi complessivi, in accordo con la letteratura corrente, sono riportati nell’80-90%, anche se le valutazioni funzionali sono sempre estremamente eterogenee e spesso poco affidabili, proprio per effetto della comparazione di molte e diverse tecniche chirurgiche3. Come per tutti gli interventi, la soluzione chirurgica ricostruttiva, indipendentemente dalla tecnica utilizzata, prevede rischi generici (emorragia, infezione, cicatrici anomale, alterazioni della sensibilità nervosa da danno neurogeno, trombosi venosa profonda, problemi anestesiologici) e rischi specifici (fistole, prolassi, colite della neovagina in caso vengano utilizzati tratti intestinali). La complicanza più frequentemente riportata in letteratura (40-60% di tutte le neo-vagine ricostruite) è comunque la stenosi (cioè il restringimento, più o meno serrato) con necessità di trattamento mediante calibrazioni periodiche.
Nel 1938 è stato però descritto un metodo conservativo (tecnica di Frank, dal nome dell’inventore della tecnica)4 che prevede l’uso di dilatatori vaginali per consentire lo ‘stiramento’ del moncone o abbozzo vaginale fino al raggiungimento di lunghezza e calibro adeguati. Del resto, la possibilità di sfruttare l’elasticità del tessuto vaginale estrogenizzato è tale che sono stati anche proposti metodi ‘naturali’ di creazione della vagina attraverso l’attività sessuale5, 6, prendendo spunto dal fatto che in rari casi descritti l’attività sessuale ha addirittura preceduto la diagnosi7. I metodi conservativi, a differenza di quelli chirurgici, hanno da tempo e univocamente dimostrato la loro superiorità sia dal punto di vista dell’efficacia (che si attesta intorno al 95%) che dal punto di vista della sicurezza, per assenza quasi completa di possibili complicanze e rischi fisici per la paziente. Non ultima considerazione, l’approccio conservativo risulta di gran lunga meno costoso in termini economici.
L’indicazione attuale, proposta dalle principali Società Scientifiche8, è quella di relegare l’approccio chirurgico ai soli casi in cui il trattamento conservativo non sia stato possibile o abbia fallito. È chiaro che le pazienti devono poter affrontare il percorso delle dilatazioni con un’adeguata preparazione che valuti il loro stato di maturazione e di accettazione nei confronti delle manovre necessarie, motivo per cui l’approccio multidisciplinare, in cui endocrinologo, ginecologo e psicologo/sessuologo lavorano con le stesse finalità risulta fondamentale per l’ottenimento dei risultati sperati9-12.
L’ultima (ma estremamente concreta) considerazione in merito all’uso del metodo conservativo riguarda la possibilità che in un futuro non lontano il trapianto di utero possa consentire alle pazienti, oggi adolescenti, di dare realizzazione anche al loro desiderio di maternità. In questa prospettiva è evidente che tutte le pregresse chirurgie effettuate a livello della pelvi potrebbero compromettere tale opportunità rendendo la tecnica del trapianto, già di per sé considerata particolarmente complessa e delicata, particolarmente indaginosa e non realizzabile a causa degli esiti dei precedenti interventi13, 14.
Dott.ssa Maria Chiara Lucchetti, Responsabile Alta Specializzazione in Ginecologia Pediatrica, Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, IRCCS, Roma
Per la corrispondenza: mchiara.lucchetti@opbg.net
BIBLIOGRAFIA