Prof. Oscar Maleti

U.O. Chirurgia Vascolare Hesperia Hospital, Modena

Articolo pubblicato in:

Anno Accademico 2023-2024

Vol. 68, n° 3, Luglio - Settembre 2024

Simposio: Il tromboembolismo venoso

19 marzo 2024

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La trombosi venosa: ruolo della Chirurgia

R. Borioni, M. Lugli, G. Guarnera, M. Tesori, A. Salerno, P. Gentile, O. Maleti, M. Garofalo

Il ruolo della Chirurgia nel trattamento del tromboembolismo venoso ha il duplice scopo di ricanalizzare quanto prima il tratto venoso ostruito (fase acuta) e prevenire e/risolvere la sindrome post-trombotica (fase sub-acuta e cronica). È evidente che i progressi attuali della terapia medica anticoaugulante (eparina sodica, eparine a basso P.M., anticoaugulanti orali ad azione diretta – DOAC), hanno progressivamente limitato la necessità di un vero e proprio atto operatorio, più o meno invasivo, ma la Chirurgia, intesa sia come trattamento “open” che endovascolare, può rivestire ancora un ruolo non indifferente, soprattutto nel caso delle trombosi prossimali iliaco-femorali.


Ruolo della Chirurgia nella trombosi venosa profonda in fase acuta

La terapia anticoaugulante è tradizionalmente considerata il “gold standard” nel trattamento della trombosi venosa profonda in fase acuta. Tuttavia, il trattamento convenzionale non sempre consente di ottenere una ricanalizzazione completa del vaso, soprattutto in caso di trombosi prossimale iliaco-femorale estesa, che può associarsi ad un maggiore rischio di recidiva e/o sindrome post-trombotica. Per tale motivo, si sono sviluppate nel corso degli anni varie strategie alternative per la rimozione precoce del trombo, inizialmente di tipo chirurgico tradizionale (trombectomia chirurgica iliaco-femorale), successivamente di tipo endovascolare (trombectomia farmaco-meccanica, trombolisi loco-regionale con catetere), al fine di ridurre il più possibile il trombo residuo, che rimane il fattore anatomico determinante nella genesi delle recidive e nell’insorgenza della sindrome post-trombotica.

Nell’ultimo quarto del II millennio, molti studi clinici non randomizzati hanno dimostrato la superiorità della trombectomia chirurgica sulla terapia anticoaugulante convenzionale (eparina sodica + anticoaugulazione orale). La tecnica classica, così come è descritta da Aureliano Puglionisi e Vincenzo Di Giovanni nel 19721, prevede l’asportazione del trombo iliaco-femorale con catetere di Fogarty, mediante approccio femorale mono/bilaterale. La stessa tecnica è stata riproposta nel terzo millennio da Comerota e Gale2, con alcune modifiche, che consistono essenzialmente nello stenting post-trombectomia dell’asse iliaco, nel trattamento di una eventuale estensione trombotica femoro-poplitea con manovre di spremitura ed irrigazione (senza uso del catetere di Fogarty) e nel confezionamento di una fistola artero-venosa safeno-femorale, atta a prevenire una trombosi precoce postoperatoria (Fig. 1). Con la tecnica attuale, indicata entro 7 giorni dall’evento trombotico, è possibile ottenere un tasso di pervietà a 5 anni superiore all’85%, in assenza di complicanze emboliche polmonari3. Pur considerando la mancanza di veri e propri studi randomizzati in proposito, è rilevante il fatto che nella review di confronto tra trombectomia chirurgica, trombolisi e terapia anticoaugulante convenzionale, la Chirurgia si dimostra superiore alle altre metodiche, in termini di riduzione di sindrome post-trombotica, reflusso venoso ed ostruzione venosa4.

 

Fig. 1. Tecnica attuale della trombectomia iliaco-femorale.

 

Sulla base dei risultati della trombectomia chirurgica, con l’avvento delle tecniche endovascolari, e segnatamente della trombolisi farmaco-meccanica, attualmente si tende sempre più spesso ad un trattamento aggressivo delle trombosi prossimali. In effetti, nello studio ATTRACT, in 337 pazienti con trombosi venosa profonda prossimale, trattati con trombolisi farmaco-meccanica, il residuo post-trombotico, immediato ed a distanza di 12 mesi, si è dimostrato significativamente inferiore, rispetto a 335 pazienti trattati con terapia convenzionale, confermando la validità della metodica. Comunque, è altrettanto importante rilevare che in questo studio non sono state evidenziate differenze significative tra le 2 metodiche, in termini di prevenzione della sindrome post-trombotica severa a 2 anni5.


Ruolo della Chirurgia dopo il primo episodio di trombosi venosa

La fase successiva al primo episodio di trombosi venosa è caratterizzata dalla presenza di un residuo trombotico, più o meno evidente in rapporto al tipo di trattamento eseguito in acuto. In questa fase il problema principale è la recidiva trombotica, che è tanto più probabile quanto più frequente è la presenza di una ostruzione meccanica o dinamica a livello del circolo venoso iliaco-femorale, che rappresenta il vero e proprio rischio anatomico di recidiva. Quest’ultimo, in associazione ad altri fattori clinici di rischio (trombofilia, Villalta score all’esordio, obesità, cattivo controllo dell’anticoaugulazione, età all’esordio della trombosi), è obiettivabile con un puntuale ed attento “imaging” ultrasonografico e radiologico (eco-Doppler, flebo-TC, RM). In particolare, il rischio anatomico di recidiva può essere valutato in rapporto a:
- sede, estensione e morfologia del residuo trombotico;
- stato della vena femorale comune e dell’ostio della profonda;
- compressione “ab estrinseco” da neoplasie in ambito pelvico;
- effetto di schiacciamento della vena iliaca sinistra ad opera della biforcazione aortica e/o iliaca, contro la vertebra lombare (Fig. 2), cosiddetta Sindrome di May-Thurner6;
- presenza di speroni endovenosi a livello dei vasi iliaci, presenti nel 50-60% dei pazienti affetti da trombosi venosa profonda7-9.

Tutti i quadri suddetti possono indicare la necessità di procedure di “stenting” sull’asse iliaco, con o senza esecuzione di una endoflebectomia chirurgica10, procedure capaci di ridurre il rischio di eventi di retrombosi, con percentuale di pervietà a distanza di 5 anni ben superiore all’80%11.

 

Fig. 2. Sindrome di May-Thurner.

 

Un altro fattore importante nella fase cronica del tromboembolismo venoso è la presenza di un reflusso valvolare a livello femorale, che può condizionare negativamente la prognosi, favorendo la sindrome post-flebitica e l’insorgenza di ulcere. Giova in questa sede ricordare che a livello iliaco le valvole sono incostanti e spesso incomplete, mentre a livello femorale e femoro-popliteo il sistema valvolare è ben sviluppato12, tanto che un eventuale danno in questa sede può comportare conseguenze negative del circolo venoso periferico (edema, alterazioni cutanee, ulcere). Proprio alla correzione dell’apparato valvolare femorale danneggiato sono rivolte le procedure di plastica valvolare chirurgica (neovalvola), che dimostrano di poter conseguire eccellenti risultati in oltre l’80% dei casi, in termini di miglioramento dei sintomi post-trombotici e di alta percentuale di guarigione dell’ulcera13.


Conclusioni

La terapia anticoaugulante rimane il trattamento di prima scelta nella maggior parte delle trombosi venose acute, mentre la trombectomia chirurgica trova la sua indicazione solamente in casi selezionati di trombosi venosa prossimale estesa ed in presenza di fattori predittivi negativi, a condizione di essere eseguita entro 7 giorni dall’insorgenza dell’evento acuto e sempre in associazione alle moderne procedure aggiuntive, idonee a mantenere la pervietà dell’asse venoso (fistola artero-venosa, “stenting” iliaco). Rimane ancora da definire il ruolo della trombolisi farmaco-meccanica, rispetto alla terapia anticoaugulante convenzionale ed alla Chirurgia tradizionale, pur essendo estremamente attrattivo il suo impiego.

Nelle fasi sub-acuta e cronica della trombosi, la terapia conservativa è il trattamento di prima scelta in molti casi. È sempre comunque consigliabile una attenta valutazione con eco-Doppler, flebo-TC o angio-RM, per evidenziare lesioni anatomiche a livello pelvico, predisponenti alla recidiva ed all’evoluzione in sindrome post-trombotica (May-Thurner, speroni, stenosi post-trombotiche), tenendo presente che una ostruzione dell’asse venoso iliaco-femorale può essere trattata agevolmente mediante procedure endovascolari o ibride (“stenting” iliaco, endoflebectomia femorale).

Infine, dal punto di vista chirurgico, quando la terapia endovascolare si riveli insufficiente a contenere l’ipertensione venosa, per causa di un significativo reflusso valvolare, è sempre possibile ricorrere alla correzione di quest’ultimo, indicando una procedura di plastica valvolare o neovalvola.


Prof. Raoul Borioni, Prof. Giorgio Guarnera, Dott.ssa Maria Chiara Tesori, Dott.ssa Alessia Salerno, Dott.ssa Patrizia Gentile, Dott. Mariano Garofalo, U.O.C. Chirurgia Vascolare Aurelia Hospital, Roma

Prof.ssa Marzia Lugli, Prof. Oscar Maleti, U.O. Chirurgia Vascolare Hesperia Hospital, Modena

Per la corrispondenza: raoulborioni@alice.it

BIBLIOGRAFIA

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