Anno Accademico 2023-2024
Vol. 68, n° 3, Luglio - Settembre 2024
Settimana per la Cultura
09 aprile 2024
Settimana per la Cultura
09 aprile 2024
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Introduzione
Il tumore della mammella è attualmente il tumore maligno più frequente nel sesso femminile e la prima causa di morte per cancro nelle donne in tutto il mondo. In Italia nel 2023 si sono registrate 55.900 nuove diagnosi nelle donne, mentre i dati sulla mortalità nel 2022 per questo tumore riportano 15.500 decessi1. Diversi sono i fattori di rischio associati allo sviluppo di questa patologia: alcuni di tipo genetico, come mutazioni ereditarie, altri legati allo stile di vita, come obesità, fumo, alcol e terapie ormonali2.
Dal punto di vista morfologico, la World Health Organization riconosce diversi istotipi di carcinoma invasivo della mammella, raggruppati in due categorie: istotipo “no special type” (N.S.T.) e istotipi “special type”. Con N.S.T. si intende il carcinoma duttale invasivo, ovvero un tumore maligno a differenziazione ghiandolare che nasce a partire dal sistema dutto-lobulare della mammella; questo è l’istotipo più frequente a livello epidemiologico (40-75%). Con istotipi “speciali” si intendono varie entità di carcinoma caratterizzate da tratti morfologici e biologici propri. Questi istotipi rappresentano circa il 25% dei casi, comprendendo l’istotipo lobulare, il carcinoma mucinoso, il carcinoma tubulare, il carcinoma papillare, oltre ad altre entità più rare2, 3.
Clinicamente, il tumore della mammella si presenta alla palpazione come un nodulo duro, unilaterale, fisso e non dolente. Esami di imaging, tra cui mammografia, ecografia e risonanza magnetica, consentono di approfondire il quadro clinico; la successiva diagnosi anatomopatologica, su biopsia della lesione o resecato chirurgico, permette di definire l’inquadramento diagnostico con certezza. È essenziale che il referto anatomopatologico contenga precise informazioni utili ai fini prognostici: la dimensione del tumore, l’istotipo, la presenza di invasione vascolare, il grado istologico di Nottingham, la presenza di metastasi linfonodali. In aggiunta, viene fornita la valutazione dell’espressione del recettore degli estrogeni (ER) e del progesterone (PgR), della proteina Ki67 e dello stato di HER24. Questi ultimi quattro parametri sono essenziali ai fini prognostici e predittivi di risposta alle terapie oncologiche, risultando cruciali per le successive scelte terapeutiche.
Inoltre, i fattori suddetti (ER, PGR, Ki67 e Her2) sono utilizzati come metodo surrogato per stabilire il sottotipo molecolare delle neoplasie mammarie.
Lo studio molecolare delle neoplasie è nei fatti l’attuale frontiera della classificazione dei tumori. Infatti, si è compreso che la sola valutazione morfologica (ossia effettuata al microscopio ottico) non è di per sé sufficiente per stabilire con certezza il comportamento delle neoplasie.
Descritti per la prima volta da Perou et al. nel 2000, sono stati definiti quattro sottotipi molecolari del tumore della mammella: LUMINAL A, LUMINAL B, HER2-enriched e BASAL-LIKE5. Questa classificazione molecolare è stata definita attraverso la valutazione dell’espressione di 50 geni specifici. Un algoritmo consente di catalogare ogni tumore mammario nell’esatta classe molecolare di appartenenza. Purtroppo i test molecolari non sono universalmente applicati per la definizione classificativa del carcinoma mammario a causa della scarsa disponibilità di strumentazioni tecnologicamente avanzate nonché per i costi che questo approccio comporta6.
Pertanto, fino ad ora, l’espressione proteica attraverso metodiche immunoistochimiche ha rappresentato un surrogato, considerato sufficientemente coerente, della classificazione molecolare.
I tumori LUMINAL si definiscono per l’espressione del recettore degli estrogeni (ER), similmente alle cellule luminali delle unità dutto-lobulari. Il sottotipo LUMINAL A è il più frequente (40-55%); ciò che permette di distinguere il LUMINAL A dal LUMINAL B (che rappresenta il 10% dei casi) è l’indice proliferativo (Ki67), più alto in quest’ultimo sottotipo; i tumori LUMINAL B possono inoltre essere definiti per amplificazione del gene codificante per la proteina HER2, recettore tirosin-chinasico per la proliferazione cellulare. Di contro, i tumori non-LUMINAL non esprimono ER, e comprendono: i tumori HER2-enriched (10-15%), che presentano amplificazione del gene HER2, e i tumori BASAL-LIKE (20%), che presentano espressione di citocheratine ad alto peso molecolare normalmente espresse nello strato basale delle unità dutto-lobulari, unitamente a negatività per ER, PgR e per amplificazione del gene di HER2; pertanto, questi ultimi vengono anche definiti come “triplo-negativi”. Questa classificazione ha un importante significato prognostico e predittivo di risposta a specifici trattamenti: i tumori non-LUMINAL ed i tumori LUMINAL B hanno indicazione alla chemioterapia, mentre nei tumori LUMINAL A la chemioterapia potrebbe essere evitata; i tumori LUMINAL trovano indicazione per l’ormonoterapia; la presenza di amplificazione di HER2 permette il ricorso a terapie a bersaglio molecolare rivolte contro la proteina iperespressa6.
Più recentemente, con il decreto 18 maggio 2021 del Ministero della Salute, i test di profilazione genomica del tumore della mammella sono stati introdotti nella pratica clinica: si tratta di test multigenici che, sfruttando metodiche molecolari diverse, analizzano l’espressione genica della neoplasia. Inoltre, il Decreto 18 maggio 2021 stabilisce le modalità di accesso ai test genomici, con il fine di valutare il beneficio addizionale della chemioterapia aggiunta alla terapia ormonale di base nelle pazienti ER-positive e HER2-negative con tumore in stadio precoce. Il decreto menzionato definisce inoltre i termini della rimborsabilità dei test genomici: escludendo dalla rimborsabilità dei test molecolari le pazienti rientranti nelle categorie “a basso rischio” ed “ad alto rischio”, vengono stabiliti i parametri per la definizione della categoria “a rischio intermedio”, che può accedere alla rimborsabilità7 (Fig. 1).
Tra i vari test genomici, Oncotype DX è quello con maggiori evidenze e per questo maggiormente raccomandato dalle linee-guida internazionali; si basa sulla metodica RT-PCR (Reverse-Transcriptase Polymerase Chain Reaction) per l’analisi degli mRNA di 21 geni principali, eseguita su campioni tumorali fissati in formalina e inclusi in paraffina. L’analisi è svolta da un unico centro laboratoristico di riferimento della Genomic Health, Inc, Stati Uniti8 (Fig. 2).
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L’algoritmo del test restituisce tre differenti parametri:
Questo test è oggi raccomandato per le pazienti con tumore ormono-responsivo in stadio precoce e con un massimo di 3 linfonodi positivi6. Il trial TAILORx (Trial Assigning Individualized Options for Treatment) è uno studio prospettico che ha validato e approfondito il campo di utilizzo di questo test, insieme alla modalità di interpretazione del suo risultato9. Il trial ha dimostrato che il test genomico aiuta a identificare correttamente le pazienti che possono evitare la chemioterapia; in particolare, ha dimostrato che la chemioterapia non aggiunge un vantaggio in termini di sopravvivenza nelle pazienti con più di 50 anni e RS pari o inferiore a 25 e nelle pazienti con meno di 50 anni e RS pari o inferiore a 1510, pertanto risulta un trattamento evitabile. Altri esempi di test genomici oggi disponibili sono Prosigna, MammaPrint, EndoPredict. Prosigna valuta l’espressione di un pannello di 50 geni principali (PAM50)11. Si basa sulla tecnologia NanoString per analizzare l’espressione di RNA dei 50 geni restituendo una precisa classificazione molecolare del tumore. Inoltre, elabora il Risk of Recurrence (ROR) score, con un punteggio compreso tra 0 e 100, che correla con il rischio di metastasi a distanza dopo 10 anni dalla diagnosi12. MammaPrint (Agendia, Amsterdam, the Netherlands) si basa invece su un microarray che valuta l’espressione di 70 geni e divide le pazienti in due gruppi in base al rischio di recidiva (alto vs basso rischio). Il BluePrint è un assay che si associa generalmente al MammaPrint; trattasi di un test molecolare che valuta l’espressione di 80 geni e permette di definire il genotipo intrinseco del tumore; secondo alcuni studi, questi ultimi due test potrebbero di predire la sensibilità alla chemioterapia e la sopravvivenza a 5 anni in maniera più precisa e accurata rispetto all’approccio tradizionale basato sulla classificazione con immunoistochimica/FISH13. In ultimo, il test EndoPredict valuta l’espressione di 12 geni; è impiegato nelle pazienti ER-positive e HER2-negative in post-menopausa, indipendentemente dallo stato linfonodale. Questo test si basa sulla metodica RT-PCR quantitativa su campioni fissati in formalina e inclusi in paraffina; restituisce un EP score che, combinato con dimensione tumorale e stato linfonodale, determina l’EPclin score, con valenza prognostica di recidiva nei 10 anni successivi alla diagnosi14.
Obiettivo dello studio
Nell’ottica di una Medicina personalizzata, i test genomici sono stati un’importante novità nel trattamento della paziente con carcinoma mammario in stadio precoce. La valutazione delle caratteristiche biologiche intrinseche della neoplasia, infatti, consente di guidare le decisioni terapeutiche. L’obiettivo principale del presente studio è stato analizzare l’impatto dei test genomici sulle scelte terapeutiche rispetto al solo utilizzo dei fattori tradizionali, ovvero dati clinici, istologici e immunoistochimici (ER, Ki67, HER2). Per raggiungere questo obiettivo, si è voluto confrontare i risultati ottenibili tramite test genomico Oncotype DX, certamente il più utilizzato tra i test genomici disponibili, con quelli derivanti da un approccio “classico”, ovvero quanto utilizzato nell’era pre-test genomici.
Materiali e metodi
Lo studio è stato condotto su una coorte consecutiva di 244 pazienti di sesso femminile in trattamento presso la Fondazione Policlinico Campus Bio-Medico, Roma. Tutte le pazienti erano affette da tumore ER-positivo e HER2-negativo e hanno eseguito il test Oncotype DX nel periodo 2020-2022. Per ogni paziente sono stati raccolti i seguenti dati: istotipo tumorale, valore ER, stato di HER2 (0,1+, 2+) e Ki67 in immunoistochimica, tipologia di prelievo su cui è stata eseguita la valutazione immunoistochimica dei fattori predittivi (core biopsy vs resecato chirurgico), numero di linfonodi positivi, grado tumorale (G), dimensione del tumore, eventuale multifocalità, dati anatomopatologici standard (pT, pN). Dal referto Oncotype DX sono stati raccolti i seguenti dati: Recurrence Score (RS), rischio di recidiva e beneficio della chemioterapia. In base al risultato del test, le pazienti sono state divise in 5 gruppi: 1) “nessun beneficio della chemioterapia”, 2) “beneficio <1%”, 3) “il beneficio non può essere escluso”, 4) “beneficio pari a circa il 15%”, 5) “beneficio >15%”. I primi due gruppi riuniscono le pazienti in cui la chemioterapia non è indicata, mentre gli ultimi tre quelle con chemioterapia indicata.
Per l’approccio clinico-patologico classico, è stato utilizzato il nomogramma online PREDICT 2.2 (accessibile alla fonte: https://breast.predict.nhs.uk) che normalmente viene utilizzato in pratica clinica per standardizzare le decisioni terapeutiche sulla base dei parametri clinici. PREDICT 2.2 restituisce per la singola paziente il vantaggio dato dal trattamento chemioterapico sulla base dei seguenti parametri: età, stato menopausale, ER, HER2, Ki67, dimensione tumorale, grado tumorale (G), numero di linfonodi positivi, presenza di micrometastasi. L’algoritmo restituisce il PREDICT score, ossia un valore percentuale che definisce il beneficio alla chemioterapia in aggiunta al trattamento ormonale per la singola paziente in valutazione15: le pazienti con score <3% rappresentano il gruppo con chemioterapia non indicata, mentre quelle con score >5% trovano indicazione alla chemioterapia. Le pazienti con PREDICT score compreso tra 3 e 5 sono classificate a beneficio borderline.
Per tutte le pazienti dello studio sono stati calcolati i singoli PREDICT score. Ai fini dello studio, in linea con la prassi oncologica, la chemioterapia è stata considerata come scelta terapeutica anche nelle pazienti con risultato borderline.
L’analisi statistica per i parametri considerati e per il confronto tra test genomi e PREDICT 2.2 è stata eseguita con software SPSS 27 (Chicago, SPSS Inc.)
Risultati e discussione
Dati clinico-patologici. L’età media del gruppo di pazienti è di 54 anni; il valore medio di ER è risultato pari al 90%, mentre il valore medio di Ki67 è risultato 24,7%. 81/244 pazienti (33%) presentano positività linfonodale e 29/244 pazienti (12%) presentano diagnosi di carcinoma multifocale. I fattori prognostici immunoistochimici sono stati determinati su campione chirurgico in 179/244 pazienti (73%), mentre in 64/244 pazienti (26%) sono stati determinati solo su core biopsy; di un caso non è stato possibile reperire questa informazione. Le pazienti HER2-low (risultato in immunoistochimica pari a 1+ o 2+ non amplificato) sono risultate 137/244 (56%) (Fig. 3).
Trattamento oncologico. 68/244 pazienti (28%) hanno ricevuto indicazione alla chemioterapia sulla base del risultato Oncotype DX; di contro, PREDICT 2.2 ha indicato l’opportunità al trattamento chemioterapico in 131/244 (54%). Dal nostro studio emerge che in 81/244 in cui PREDICT 2.2 avrebbe raccomandato il trattamento chemioterapico, Oncotype DX non ha dato indicazione alla chemioterapia: queste pazienti hanno potuto evitare la chemioterapia grazie al ricorso al test genomico. Ciò suggerisce una maggiore capacità del test genomico di far “risparmiare” un trattamento senza beneficio alle pazienti, risultando così decisivo nel loro destino terapeutico (Fig. 4).
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Ricordiamo infatti che i test genomici analizzano l’espressione di decine di geni, laddove invece l’immunoistochimica rappresenta un surrogato per la valutazione dell’espressione di soli quattro geni principali (ER, PgR, HER2, Ki67); questa è probabilmente la spiegazione alla base della diversa sensibilità dei due approcci.
Il RS medio è risultato 18,35, mentre il PREDICT 2.2 score medio è risultato 3,57. Dal nostro studio è emersa una correlazione positiva e significativa tra RS e PREDICT 2.2 score (rs=0,189, p<0,01). Questo dimostra che l’approccio “clinico-patologico” per determinare la scelta terapeutica mantiene di per sé una sua validità clinica. Infatti, le differenze riscontrate tra Oncotype DX e PREDICT 2.2 sono ricadute esclusivamente nel gruppo PREDICT score intermedio. In altre parole, è risultato che per valori molto bassi o molto alti di PREDICT 2.2, il nomogramma è sufficientemente appropriato per dare indicazioni circa la scelta terapeutica, ma che allo stesso tempo per valori intermedi è auspicabile l’utilizzo di un test genomico per un corretto orientamento terapeutico.
L’indicazione alla chemioterapia secondo Oncotype DX è risultata correlata alla positività linfonodale (rs=0,202, p<0,01), al G tumorale (rs=0,243, p<0,01) e a ER (rs=-0,215, p<0,01). Inoltre, RS è risultato fortemente correlato con ER (rs=-0,289, p<0,01), tale per cui valori minori di ER predicono valori maggiori di RS (Fig. 5, 6).
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Delle pazienti i cui fattori prognostici immunoistochimici sono stati determinati su campione chirurgico (179/244), 54/179 (30%) hanno avuto indicazione alla chemioterapia secondo Oncotype DX; nelle pazienti in cui la determinazione è stata eseguita solo su core biopsy (64/244), l’indicazione alla chemioterapia si è avuta in 14/64 casi (22%). L’analisi ha dimostrato una correlazione tra prelievo bioptico e valori maggiori di ER (p<0,01) e HER2 (p<0,05), portando a ipotizzare quindi che il campione bioptico possa associarsi ad una sovrastima di questi fattori. Viceversa, valori maggiori di Ki67 sembrano correlare con la valutazione su campione chirurgico (p<0,01), suggerendo una sottostima di tale parametro su campione bioptico. Questi dati risultano di estremo rilievo perché sottolineano l’importanza del tipo di campione da valutare (bioptico vs chirurgico) ai fini del calcolo del beneficio ai trattamenti chemioterapici.
È emersa inoltre una correlazione tra l’età della paziente e il G tumorale (rs=0,138, p<0,05) e tra età e dimensione tumorale (rs=0,210, p<0,01): questo potrebbe essere dovuto al ritardo diagnostico nelle pazienti più anziane, che avrebbero un accesso più tardivo al percorso diagnostico-terapeutico. È stata rilevata anche una correlazione tra multifocalità e positività linfonodale (rs=0,171, p<0,01), probabilmente ricollegandosi entrambe all’espressione di una patologia sottostante più aggressiva.
Conclusioni
I test genomici sono stati un’importante novità nel trattamento della paziente con carcinoma mammario in stadio precoce. Nell’ottica di una Medicina personalizzata, infatti, che mira sempre di più al trattamento ottimale del singolo paziente nelle sue caratteristiche, questi test hanno rivoluzionato l’approccio clinico-terapeutico, consentendo di guidare le scelte dell’oncologo sulla base delle caratteristiche biologiche intrinseche del tumore. Nel nostro lavoro, il confronto dei risultati di Oncotype DX con quelli ottenuti tramite PREDICT 2.2 ha messo in risalto che 81/244 pazienti della nostra casistica hanno potuto evitare la chemioterapia grazie al ricorso al test genomico, in quanto un approccio “classico” avrebbe portato alla sua indicazione. La nostra analisi ha inoltre permesso di fare luce su alcuni aspetti relativi al RS ottenibile con Oncotype DX e sulla sua relazione con parametri clinico-patologici (ER, G, Ki67, N+). Molti sono i quesiti ancora aperti sulle possibilità di impiego di un test genomico, su quale posto possano occupare in questo scenario gli algoritmi clinici, come PREDICT 2.2, e su quali parametri clinico-patologici si possa basare maggiormente la previsione del RS. Il nostro studio, ad esempio, evidenzia una correlazione tra RS e G tumorale, così come anche tra RS e ER, pertanto ulteriori studi sono necessari per approfondire la relazione tra questi parametri e il RS.
Dott.ssa Alessia Capozzi, Corso di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia, Facoltà Dipartimentale di Medicina e Chirurgia, Università Campus Bio-Medico di Roma
Sintesi della Tesi di Laurea discussa il 14/06/2023
Relatore: Prof. Giuseppe Perrone, Professore Ordinario di Anatomia Patologica, Università Campus Bio-Medico di Roma
Correlatori:
Prof. Francesco Pantano, Professore Associato di Oncologia Medica, Università Campus Bio-Medico di Roma
Dott.ssa Silvia Maria Rossi, Unità di Ricerca Medicina e Chirurgia, Anatomia Patologica, Università Campus Bio-Medico di Roma
Per la corrispondenza: anicapo21@gmail.com
BIBLIOGRAFIA