Anno Accademico 2023-2024
Vol. 68, n° 3, Luglio - Settembre 2024
Settimana per la Cultura
09 aprile 2024
Settimana per la Cultura
09 aprile 2024
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Introduzione. La malattia di Alzheimer: definizione, epidemiologia e fattori di rischio
La malattia di Alzheimer (AD) è la patologia neurodegenerativa di più frequente riscontro nella pratica clinica e rappresenta la causa più comune di demenza1.
A livello anatomopatologico, la malattia di Alzheimer è caratterizzata dalla deposizione di placche di beta amiloide (Aβ) extracellulari e grovigli neurofibrillari intraneuronali, riscontrati post-mortem o in vita grazie a biomarcatori2.
La demenza è definita dalla perdita cronica e acquisita di due o più abilità cognitive causata da un insulto o da una malattia cerebrale, sufficientemente severa da inficiare le funzioni sociali e occupazionali3.
Il più grande fattore di rischio per la malattia di Alzheimer è sicuramente l’avanzare dell’età, accompagnato da diversi altri fattori di rischio non meno trascurabili. Tra i principali ricordiamo la predisposizione genetica, come la presenza dell’allele APOE ε4, la mutazione più frequente nel late onset AD, mentre nell’early onset AD, le mutazioni più frequenti riguardano mutazioni autosomiche dominanti della proteina precursore dell’amiloide APP e dei geni delle preseneline PSEN1 e PSEN24.
Tra i fattori di rischio, si possono includere anche la bassa scolarità, l’obesità, patologie cardiovascolari, fumo di sigaretta, diabete, traumi cranici.
Stadi
La malattia di Alzheimer è definita come un continuum, ossia un peggioramento lento e progressivo, che parte da una situazione preclinica con la presenza di biomarcatori per AD, passando attraverso un decadimento cognitivo lieve (MCI) e\o comportamentale (MBI), fino ad arrivare alla demenza conclamata5 (Fig. 1).
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Segni e sintomi
Le tre principali caratteristiche cliniche, comunemente valutate negli studi clinici sull'AD, sono le capacità cognitive, la funzione ed il comportamento6.
Tra le capacità cognitive rientra la memoria, la cui perdita è uno dei primi sintomi riportati dai pazienti che soffrono di AD7. La memoria è la capacità di codificare, conservare, consolidare, immagazzinare ed infine rievocare informazioni ed esperienze derivate dall’ambiente e dall’attività di pensiero8.
I sintomi riguardano principalmente i deficit mnesici e difficoltà esecutive, che progressivamente evolvono verso la perdita di autonomia. I segni e i sintomi riguardano lo stadio della malattia.
Quando si parla di AD lieve, si riscontra un leggero cambiamento nel comportamento, con una riduzione della qualità dei processi mentali e un iniziale disfunzionamento cognitivo, andando a compromettere le IADL (Instrumental Activities of Daily Living, IADL). Per AD moderato si intende un incremento di tali disturbi comportamentali, funzionali e neuropsicologici, che cominciano ad impattare severamente sulla vita quotidiana; fino a giungere ad uno stadio avanzato, nel quale, oltre ai sintomi sopra menzionati, possono comparire disturbi del movimento (rallentamento ideomotorio, bradicinesia) e incontinenza urinaria e/o fecale. L’apatia diventa preponderante. Si assiste alla perdita quasi completa delle BADL (Basic Activities of Daily Living), della capacità di comunicare e riconoscere le persone, persino sé stessi5, 9, 10.
Fisiopatologia
Attualmente non è ancora del tutto chiaro il meccanismo fisiopatogenetico alla base dell’AD. Tra le attuali evidenze rientra la deposizione di beta amiloide che conduce all’ipotesi della cascata amiloide. Infatti la deposizione delle placche di β amiloide nel parenchima cerebrale sarebbe uno step cruciale che, in ultima istanza, porterebbe allo sviluppo di AD. Le mutazioni autosomiche dominanti che causano la malattia familiare di Alzheimer (FAD) ad esordio precoce si verificano in tre geni: presenilina 1 (PSEN1), PSEN2 (che formano il sito catalitico della γ-secretasi) e proteina precursore dell'amiloide (APP). Questa ipotesi è stata modificata nel corso degli anni in quanto è diventato chiaro che la correlazione tra demenza o altre alterazioni cognitive e accumulo di beta-amiloide nel cervello sotto forma di placche amiloidi non è lineare11.
L'ipotesi della cascata amiloide ora suggerisce che la sinaptotossicità e la neurotossicità possano essere mediate da tali forme solubili di specie multimeriche di peptidi amiloide-β. La natura dinamica di queste specie e il meccanismo (o i meccanismi) di tossicità poco definiti rendono questo argomento particolarmente controverso nel settore. Data questa incertezza, si preferisce usare il termine "stress aggregato" per descrivere i potenziali meccanismi che possono portare all'aggregazione dell'amiloide-β, alla formazione di filamenti elicoidali accoppiati (PHF) di aggregati tau e, in ultima analisi, provocare la perdita neuronale11.
Neurotrasmettori
A livello biochimico vengono interessati molti sistemi neurotrasmettitoriali: colinergico, glutammatergico, serotoninergico e dopaminergico.
Le placche di amiloide-beta e NFT possono inibire il rilascio di ACh e colina acetiltransferasi, un enzima che regola la sintesi di ACh e che rafforza l'effetto di inibizione dell'ACh. L’ACh, largamente diffuso a livello cerebrale, è responsabile di molti processi, tra i quali regolazione dello stress, apprendimento e memoria.
Le placche di amiloide-beta e NFT possono causare danni mitocondriali nei neuroni glutammatergici. Il danno mitocondriale porta all'infiammazione a causa dell'eccessivo afflusso di Ca2+ e dell'eccessivo efflusso di Mg2+ che influenzano l'attivazione dei neuroni glutammatergici e diminuiscono l'attivazione del recettore NMDA. L'eccessivo afflusso di Ca2+ nei neuroni glutammatergici porta all'inibizione della colina acetiltransferasi e inibisce ulteriormente la sintesi di ACh. Tuttavia, i meccanismi dettagliati non sono ancora stati compresi.
Inoltre, si pensa che anche il GABA (inibendo l’eccitabilità neuronale) possa essere coinvolto, avendo alcuni studi dimostrato la sua sovraregolazione in alcune regioni ma la sua sottoregolazione in altre.
Le placche di amiloide-beta interrompono anche l'omeostasi della serotonina, 5-HT, inibendo il legame con il suo recettore (5-HT2A); la serotonina ha un ruolo prevalente a livello di regolazione di memoria, apprendimento, umore12.
Un altro neurotrasmettitore coinvolto e di recente scoperta è la dopamina. Si è visto come, specialmente nei pazienti con late onset AD, i neuroni dopaminergici presenti nell’area tegmentale ventrale (VTA) siano compromessi. La VTA riveste un ruolo cruciale nel pathway dopaminergico, in quanto da qui originano gli assoni tirosin-idrossilasi positivi che formano il pathway dopaminergico mesocorticolimbico e proiettano alla corteccia prefrontale, ippocampo, nucleo accumbens, bulbo olfattivo e amigdala. È stato visto come la degenerazione dei neuroni dopaminergici si traduca in un minore deflusso di dopamina nell'ippocampo e nel NAc e si correli temporalmente con menomazioni dell'eccitabilità neuronale dell'ippocampo, della plasticità sinaptica e della memoria. Infatti la degenerazione della VTA potrebbe avere un ruolo critico nell’insorgenza di sintomi neuropsichiatrici nell’AD4.
Diagnosi
I principali criteri clinici per lo spettro AD sono stati pubblicati nel 2011 dal National Institute on Aging and Alzheimer’s Association (NIA-AA)13.
La diagnosi si divide in demenza probabile, possibile e comprovata. La Fig. 2 illustra i criteri per poter parlare di demenza, mentre la Fig. 3 illustra i criteri per la demenza probabile. Si può parlare, invece, di demenza possibile, quando il decorso della patologia è atipico, soddisfacendo i criteri clinici fondamentali in termini di natura dei deficit cognitivi per la demenza AD, ma presentando un'improvvisa insorgenza di deterioramento cognitivo o dimostrando un dettaglio storico insufficiente o una documentazione cognitiva obiettiva del declino progressivo. Inoltre si presenta con un’eziologia mista, soddisfacendo tutti i criteri clinici fondamentali per la demenza AD, ma con evidenza di malattia cerebrovascolare concomitante; caratteristiche della demenza con corpi di Lewy diverse dalla demenza stessa; evidenza di un'altra malattia neurologica o di una comorbilità medica non neurologica o uso di farmaci che potrebbero avere un effetto sostanziale sulla cognizione.
La diagnosi certa di demenza di Alzheimer è soltanto istologica; pertanto, in caso di demenza comprovata verranno rispettati i criteri della demenza probabile con l’aggiunta di un riscontro autoptico.
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Nel 2018 la NIA-AA ha dissociato i sintomi o i fenotipi dell'AD dal processo patologico. Si definisce l'AD, per scopi di ricerca, esclusivamente in termini di un costrutto biopatologico tramite i biomarcatori amiloide, tau e la neurodegenerazione (ATN), che aiuta a definire gli stadi della malattia13, 14 (Fig. 4).
Ci sono otto diversi "profili di biomarcatori" AT(N). Il sistema di biomarcatori ATN assegna ogni individuo ad una delle tre "categorie di biomarcatori". A−T−(N)− rappresenta uno stato senza evidenza di cambiamento patologico rilevabile dai biomarcatori AT(N), mentre A+T+(N)+ rappresenta uno stato patologico avanzato. Questi dati stabiliscono fermamente che una malattia più avanzata definita dai biomarcatori prevede un declino cognitivo più rapido. Pertanto, esiste una solida base di prove che dimostra che le combinazioni di anomalie dei biomarcatori sono utili per confermare il continuum dell'Alzheimer14.
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Screening
Come strumento rapido e affidabile per rilevare la demenza nelle sue fasi iniziali, riveste sempre più importanza una valutazione neuropsichiatrica, il cui completamento naturale è una breve valutazione cognitiva tramite appropriati test neuropsicologici8. Quelli più utilizzati sono: Il Mini-Mental State Examination (MMSE), una valutazione di 30 domande sulla funzione cognitiva, che indaga attenzione e orientamento, memoria, richiamo, calcolo, linguaggio e capacità di disegno. Un cut-off 23/24 è stato utilizzato per selezionare i pazienti con sospetto deterioramento cognitivo o demenza15. L'Alzheimer's Disease (AD) Assessment Scale- Cognitive Subscale (ADAS-Cog) è considerato il gold standard per valutare l'efficacia dei trattamenti antidemenza. Comprende 11 compiti che includono sia test completati dal soggetto che valutazioni basate sull'osservatore. Insieme, questi compiti valutano i domini cognitivi della memoria, del linguaggio e delle prassie. Compiti specifici includono richiamo di parole, denominazione di oggetti e dita, comandi, prassia costruttiva, prassia ideativa, orientamento, riconoscimento di parole e linguaggio16.
Il Frontal Assesment Battery (FAB) è una batteria di 6 sottotest che valuta le seguenti funzioni esecutive: concettualizzazione e ragionamento astratto, flessibilità mentale, programmazione motoria e controllo esecutivo dell'azione, resistenza all'interferenza, controllo inibitorio, autonomia ambientale17.
Molto spesso sintomi depressivi accompagnano le fasi iniziali dell’AD, per tale motivo è essenziale differenziare il decadimento cognitivo della malattia di Alzheimer da una forma depressiva pseudo-demenziale8. Per fare ciò si utilizzano la Geriatric Depression Scale (GDS) e la Hamilton Rating Scale for Depression HAM-D.
Terapia
Ad oggi non esistono terapie curative per l’AD, sebbene vengano usate in pratica clinica terapie sintomatiche in grado di supportare le performance cognitive ed in particolare le funzioni mnesiche. La terapia specifica per l’AD può essere classificata in farmacologica e non farmacologica, quest’ultima comprende la terapia comportamentale e la neurostimolazione (tra cui la TMS).
Per quanto riguarda i farmaci che agiscono sui neurotrasmettitori coinvolti nell’AD, la FDA (Food and Drug Administration) ha approvato gli inibitori dell’acetilcolinesterasi e gli antagonisti dei recettori NMDA.
Gli inibitori dell’acetilcolinesterasi (AChEIs) facilitano l'attività colinergica centrale riducendo la degradazione fisiologica dell'acetilcolina (ACh) da parte dell'enzima acetilcolinesterasi (AChE) nella fessura sinaptica. I farmaci utilizzati sono Donepezil, Rivastigmina e Galantamina. I primi due sono stati approvati per AD lieve, moderato e severo; la Galantamina per AD lieve e moderato18.
Il farmaco antiglutammatergico (antagonista di NMDA) approvato dalla FDA è la Memantina. Questa è stata approvata per AD moderato e severo sia in monoterapia che in combinazione con AChEIs18.
Negli ultimi anni si sono succeduti diversi trial farmacologici con molecole a potenziale azione disease-modifying, con risultati molto dibattuti. Parte di queste difficoltà nel trovare una terapia realmente efficace sono relative alla nostra conoscenza incompleta della patogenesi della malattia.
Neuromodulazione
La neuromodulazione (sia invasiva che non invasiva) viene definita dalla International Neuromodulation Society come un’alterazione reversibile dell’attività del sistema nervoso, centrale o periferico, attraverso l’erogazione, in specifiche aree target, di farmaci o impulsi elettromagnetici19.
Si definisce invasiva la neuromodulazione attuata mediante l’impianto di elettrodi all’interno del sistema nervoso centrale o periferico.
La neuromodulazione non invasiva (NIBS), invece, è una tecnica innovativa per diagnosi e trattamento di disturbi neurofisiologici, psichiatrici e alterazioni neurocognitive20, che consiste nell’erogazione di impulsi magnetici per mezzo di una bobina applicata sullo scalpo, connessa ad uno stimolatore21.
TMS
I protocolli TMS comprendono protocolli a singolo stimolo, a doppio stimolo e protocolli di TMS ripetitiva (rTMS)21. È stato dimostrato che la rTMS può avere effetti prolungati, inducendo fenomeni di plasticità a tipo long-term depression e potenziation in dipendenza da diverse variabili, tra le quali numero degli stimoli, l’intensità di stimolazione e lo stato di attivazione corticale basale20.
La iTBS è un tipo di rTMS con fine eccitatorio, caratterizzato da bassa intensità di stimolo e durata di stimolazione breve. Nel 2018 uno studio randomizzato di non inferiorità, che ha incluso più di 400 pazienti (il più grande studio di stimolazione cerebrale mai condotto), ha dimostrato che l'efficacia di iTBS non è inferiore a quella del trattamento precedente a 10 Hz, con profili di tollerabilità e sicurezza molto simili. Dal momento che una sessione iTBS ha una durata di circa 3 minuti, circa 10 volte più breve della sessione standard rTMS a 10 Hz, il protocollo iTBS, è vantaggioso in termini di tempo, potendo favorire la compliance dei pazienti e l’ottimizzazione delle risorse sanitarie20. Attenzione crescente è riposta in protocolli “accelerati” che possano indurre, in periodi di tempo più brevi, effetti analoghi a quelli di protocolli di durata maggiore, a parità di sicurezza.
TMS e malattia di Alzheimer
La rTMS è stata utilizzata nei pazienti affetti da AD per valutare la plasticità del cervello ed anche per migliorare le prestazioni e ridurre la progressione dei sintomi. Infatti diversi studi sulla rTMS hanno valutato gli effetti della stessa sulla corteccia prefrontale dorsolaterale, valutando la denominazione ed il linguaggio dei pazienti con AD, mostrando effetti promettenti, probabilmente grazie al miglioramento della neuroplasticità in queste regioni. Si è anche visto come la rTMS possa consentire anche il rilascio di dopamina sottocorticale22. A tal proposito studi molto recenti hanno supposto che la rTMS possa stimolare il rilascio di neurotrasmettitori (acetilcolina e dopamina) rafforzando così i sistemi di trasmissione dopaminergici all'interno dell’area stimolata, che in questo caso corrisponde al precuneo23. Infatti tra le aree stimolate per la malattia di Alzheimer rientrano la corteccia dorsolaterale prefrontale (DLPFC) ed il precuneo (PCN). In quest’ultima regione è stata dimostrata la presenza di deposito di tau ed un alto livello di neuroinfiammazione24.
Nelle prime fasi cliniche della malattia di Alzheimer, la disconnessione del precuneo precede e contribuisce all'insorgenza dell'atrofia cerebrale regionale, che diventa prominente negli stadi successivi della malattia24.
I pazienti con malattia di Alzheimer spesso mostrano una riduzione dello spessore corticale nell’area del precuneo, accompagnata da un'attivazione anomala durante i memory task e una diminuzione della connettività funzionale. Questo è particolarmente rilevante in quanto l'attività del precuneo è ritenuta necessaria per il recupero della memoria episodica, la cui compromissione rappresenta l'insorgenza clinica della tipica malattia di Alzheimer24.
È stato ulteriormente valutato come l’iTBS migliori l'eccitabilità corticale fino ad 1 ora inducendo LTP. Si ritiene che questi effetti riflettano le influenze rTMS sulla forza delle sinapsi glutammatergiche tramite il recettore NMDA, il recettore AMPA e gli effetti del canale del calcio. Le influenze di lunga durata sul cervello dipendono dal cambiamento della forza sinaptica o dalla causa di cambiamenti anatomici come alterazioni nelle spine dendritiche o nella germinazione. Poiché i cambiamenti anatomici possono essere una conseguenza secondaria di cambiamenti prolungati della forza sinaptica, la logica di base della stimolazione TMS è quella di modificare tale forza sinaptica20.
Studio sperimentale
La rTMS è stata testata in diversi studi come trattamento per i deficit cognitivi in pazienti affetti da M. di Alzheimer, con risultati preliminari incoraggianti, mentre relativamente pochi sono ad oggi gli studi che hanno valutato l’efficacia della iTBS allo stesso scopo.
L’obiettivo del seguente lavoro è quello di valutare la tollerabilità e l’efficacia a fini terapeutici di un protocollo di neuromodulazione non invasiva (AiTBS o Accelerated intermittent Theta Burst Stimulation) in pazienti affetti da malattia di Alzheimer (AD), in aggiunta alla terapia medica convenzionale, e di riportare i risultati aggiornati derivanti dalla prosecuzione dello studio A-iTBS_AD, presentati con lavori di tesi degli A.A. 2020-2021 e 2021-2022 presso l’Università Campus Biomedico di Roma.
Materiali e metodi
Lo studio è stato approvato dal Comitato Etico dell’Università Campus Bio-Medico di Roma (protocollo AiTBS_AD) ed è stato svolto in conformità ai principi della dichiarazione di Helsinki.
Il disegno dello studio è di tipo crossover, doppio cieco, randomizzato, controllato con sham (placebo).
I criteri di inclusione comprendono: diagnosi di malattia di Alzheimer probabile secondo i criteri NIA-AA 2011, esecuzione di almeno un esame di neuroimaging (TC o RM) mostrante un quadro compatibile con la diagnosi di AD; terapia farmacologica neuropsichiatrica stabile nei 3 mesi precedenti l’inizio del trattamento, età superiore ai 40 anni; punteggio al MMSE compreso tra 10 e 27; firma del consenso informato. Sono stati esclusi pazienti con controindicazioni alla rTMS, incapacità di fornire consenso informato in autonomia, storia di abuso alcolico e/o di sostanze stupefacenti negli ultimi 2 anni; ipovisus e/o ipoacusia severe a tal punto da compromettere l’esecuzione dei test neuropsicologici; cause alternative di declino cognitivo, malattie psichiatriche (es. schizofrenia), agitazione non controllata, ideazione suicidaria, depressione moderata (>11) o severa (>19) alla GDS, gravidanza o allattamento.
I pazienti sono stati suddivisi mediante randomizzazione computerizzata ad uno dei due bracci di trattamento: [1. iTBS accelerata a livello della corteccia prefrontale dorsolaterale di sinistra (lDLPFC); 2. iTBS accelerata a livello del precuneo (PCN) di sinistra] e ad uno dei due gruppi di trattamento (attivo o sham). Sono stati scelti questi target, perché la La lDLPFC è coinvolta nelle funzioni cognitive, quali l'attenzione, nelle funzioni esecutive e nella memoria di lavoro25; infatti, l’alterazione di tali funzioni è elemento centrale nella demenza di Alzheimer; mentre il PCN è implicato nel recupero della memoria episodica, precocemente compromessa negli stadi iniziali della malattia di Alzheimer26.
I soggetti di ciascun braccio di trattamento sono stati sottoposti a 20 sessioni di stimolazione in totale (suddivise in un ciclo di 10 sessioni attive e un ciclo di 10 sessioni sham). Ogni sessione era composta da due stimolazioni, ciascuna della durata di circa 3 minuti, a distanza di un’ora l’una dall’altra, per 5 giorni a settimana (dal lunedì al venerdì), per due settimane consecutive. Seguiva un periodo di wash-out della durata di 8 settimane, al termine del quale veniva eseguito un altro ciclo di trattamento, secondo un disegno cross-over: un paziente, che aveva eseguito ciclo di stimolazione attiva nelle prime due settimane, eseguiva, sulla medesima area corticale, un ciclo di stimolazione sham.
La durata complessiva prevista dallo studio è stata di 5 mesi per ciascun paziente: 2 settimane di trattamento; 8 settimane di wash out; altre 2 settimane di trattamento; conclusione del follow-up a 8 settimane dal termine dell’ultima stimolazione.
La stimolazione utilizzata è la A-iTBS, o Intermittent Bheta burst Stimulation accelerata. Si definisce accelerata in quanto vengono eseguite due stimolazioni al giorno invece di una. Ogni stimolazione si compone di 600 stimoli (triplette di bursts a 50 Hz, ripetute a 5Hz; 2 secondi on, 8 secondi off) per un totale di circa 3 minuti e 9 secondi.
È stato utilizzato un sistema di neuronavigazione (SofTaxic Optic) per individuare esattamente il punto da stimolare sullo scalpo del paziente e quindi per il corretto posizionamento del coil.
L’efficacia del trattamento è stata valutata tramite i punteggi conseguiti alle scale ADAS-Cog (outcome primario) e alle scale MMSE, FAB, GDS, HAM-D (outcome secondari). I test sono stati eseguiti il primo e l’ultimo giorno di ogni ciclo di trattamento, a 4 settimane dalla fine del primo ciclo di trattamento e a due mesi dalla fine dell’ultimo ciclo di trattamento.
Per ciascun soggetto, sono stati calcolati i punteggi medi alle scale cliniche (ADAS-Cog, MMSE, FAB, GDS, HAM-D) e la relativa deviazione standard prima ed al termine di ciascun blocco di stimolazione. È stato utilizzato il T-test tra le medie dei punteggi alle scale cliniche somministrate. Il livello di significatività è stato fissato a 0.05. I dati sono presentati come media dei valori + deviazione standard.
Per le correlazioni, è stato utilizzato il test di Pearson per le variabili parametriche, ed il calcolo del coefficiente tau di Kendall per le variabili non parametriche. Per il test di Pearson, la correlazione è stata considerata forte per valori di coefficiente compresi tra ± 0,50 e ± 1, moderata per valori di coefficiente compresi tra ± 0,30 e ± 0,49.
L’analisi statistica è stata eseguita tramite i software Microsoft Excel, versione 2015 e Jasp 0.16.1.0 sui dati anonimizzati dei pazienti, ed in cieco rispetto sia al braccio di stimolazione (lDLPFC e PCN) che al tipo di stimolazione (attivo o sham).
Risultati
Tra dicembre 2020 e maggio 2023 sono stati arruolati 13 soggetti (7 di genere maschile, 6 di genere femminile) affetti da M. di Alzheimer probabile, di età (media + DS) 74,9 + 7,4 anni. L’esordio dei sintomi si era verificato in media 47,3 + 36,4 mesi prima. Il punteggio medio basale al MMSE era pari a 19,4 + 4,6.
Dei 13 partecipanti totali, 7 sono stati randomizzati nel braccio PCN, 6 nel braccio lDLPFC.
13/13 soggetti hanno completato la stimolazione sham (dei quali 7 nel braccio PCN e 6 lDLPFC); 12/13 hanno completato la stimolazione attiva (dei quali 7 nel braccio PCN e 5 lDLPFC).
I dati ottenuti mostrano una riduzione significativa del punteggio totale medio dell’ADAS-Cog (corrispondente ad un miglioramento della performance cognitiva) nel gruppo A-iTBS attivo, considerando complessivamente le due aree stimolate lDLPFC + lPCN. La riduzione del punteggio totale medio dell’ADAS-Cog è stata di 2,1 punti, pari al 6,3% del valore basale (punteggio totale medio ADAS-Cog al basale (T0) 33,2 + 11,1, punteggio totale medio ADAS-Cog al termine del ciclo di stimolazione A-iTBS attiva (T1) 31,1 + 11,9, p=0,035) (Fig. 5). In particolare, l’item dell’ADAS-Cog che ha mostrato un miglioramento significativo è l’item 7, ossia il riconoscimento di parole, che ha mostrato una variazione punteggio medio da 10,3 + 2,4 al basale a 8,7 + 2,9 dopo il ciclo di stimolazione A-iTBS attiva, pari ad una riduzione di 1,6 punti, 15,5% (p=0,039).
Nel gruppo sham (lDLPFC + PCN), non vi sono state variazioni statisticamente significative del punteggio totale medio dell’ADAS-Cog: (ADAS-Cog T0 = 30,3 + 12,7, ADAS_Cog T1= 31,4 + 13,6 p = 0,237) (Fig. 5).
Considerando singolarmente le due aree (lDLPFC e PCN), non è stata evidenziata una variazione statisticamente significativa del punteggio totale medio dell’ADAS-Cog tra il basale ed il termine della stimolazione attiva.
Ad un mese dal termine del ciclo di stimolazione (T2), la variazione del punteggio totale medio dell’ADAS-Cog per il gruppo di stimolazione attiva (lDLPFC + PCN) rispetto al basale non è risultata statisticamente significativa.
Di contro, la variazione al T2 del punteggio totale medio dell’ADAS-Cog per il trattamento sham (lDLPFC + PCN), che è passato da 23,2 + 4,2 al basale a 27,6 + 3,2 al T2 (corrispondente ad un peggioramento della performance cognitiva), è risultato statisticamente significativo (p=0,0269) (Fig. 6).
La variazione del punteggio totale dell’ADAS-Cog a T1 rispetto a T0 nel gruppo A-iTBS attiva (PCN + lDLPFC) ha mostrato un trend di correlazione con la durata di malattia: più breve è la durata di malattia, maggiore è la variazione al punteggio dell’ADAS-Cog (R=0,058, p=0,061) (Fig. 7).
La variazione del punteggio totale medio dell’ADAS-Cog a T1 rispetto a T0 nel gruppo A-iTBS attiva (PCN + lDLPFC) non ha mostrato correlazione con l’età, né con i punteggi medi basali alle scale MMSE, GDS, HAM, FAB.
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Discussione
Le stimolazioni A-iTBS sono state ben tollerate e non si sono verificati effetti avversi.
I dati ottenuti mostrano una riduzione significativa del punteggio ADAS-Cog totale medio (corrispondente ad un miglioramento della performance cognitiva) solo dopo stimolazione iTBS attiva, considerando complessivamente le due aree stimolate (lDLPFC + lPCN). In particolare, l’item dell’ADAS-Cog che ha mostrato un miglioramento significativo è l’item 7, ossia il riconoscimento di parole.
Considerando singolarmente le due aree, la variazione del punteggio totale medio dell’ADAS-Cog, prima e dopo la stimolazione sia attiva che sham, non è risultato statisticamente significativo; tuttavia, il numero dei soggetti che ha completato le stimolazioni per le singole aree non permette di considerare tale dato come conclusivo.
Per quanto riguarda la durata dell’effetto, la valutazione eseguita ad un mese dal termine del ciclo di stimolazione (T2), ha mostrato che la variazione del punteggio totale medio dell’ADAS-Cog dopo stimolazione attiva (lDLPFC + PCN) non risultava più statisticamente significativo rispetto al basale. Il dato, seppure derivante da un campione limitato, sembra in linea con metanalisi già presenti in letteratura mostranti una durata dell’effetto di neuromodulazione di circa 4-12 settimane27. Alla valutazione T2, eseguita un mese dopo il termine della stimolazione sham (lDLPFC + PCN), il punteggio totale medio dell’ADAS-Cog è passato da 23,2 + 4,2 al basale a 27,6 + 3,2 (p=0,0269); tale incremento statisticamente significativo, corrisponde ad un peggioramento della performance cognitiva. Pertanto, i dati sono compatibili con il mantenimento - a due mesi dopo il termine del ciclo di stimolazione attiva - di una performance cognitiva simile al basale, al contrario della stimolazione sham, che, dopo due mesi è seguita da un peggioramento statisticamente significativo del punteggio medio dell’ADAS-Cog.
La variazione del punteggio totale medio dell’ADAS-Cog a T1 rispetto a T0 nel gruppo iTBS real (PCN + lDLPFC) ha mostrato inoltre un trend di correlazione (R=0,058) con la durata di malattia (più breve è la durata di malattia, maggiore è la variazione in senso migliorativo del punteggio totale dell’ADAS-Cog). Tale dato, pur non statisticamente significativo (p=0,061), rappresenta un elemento di innovazione rispetto ai precedenti lavori di tesi. Benché la potenza statistica limiti l’applicabilità del dato alla popolazione generale, il carattere di novità del dato ne impone la rivalutazione su campione più ampio.
Le variazioni registrate per gli outcome secondari (MMSE, FAB, HAM, GDS), tra l’inizio ed il termine della stimolazione, non sono stati statisticamente significativi né dopo trattamento real né dopo quello sham, considerando le due aree stimolate (lDLPFC e PCN), sia complessivamente che singolarmente.
La stimolazione iTBS della lDLPFC si associa notoriamente ad un miglioramento del punteggio alla scala HAM in pazienti affetti da depressione maggiore unipolare farmacoresistente28. L’assenza di variazione significativa del punteggio alla scala Hamilton potrebbe essere legata alle caratteristiche della popolazione inclusa nel presente studio, in cui la presenza di depressione moderata e severa rappresentava un criterio di esclusione. Per quanto riguarda invece l’assenza di variazione statisticamente significativa alla scala MMSE, questa potrebbe essere correlata ad una minore sensibilità della scala rispetto all’ADAS-Cog.
Una possibile spiegazione per l’effetto di miglioramento della performance cognitiva a seguito della stimolazione della lDLPFC è che la DLPFC possa contribuire alla formazione della memoria a lungo termine attraverso la sua interazione con le regioni all’interno della rete temporale mediale (ad esempio, l’ippocampo)27. Infatti, precedenti studi comportamentali e di imaging suggeriscono che il perdurare della memoria a lungo termine possa dipendere da un controllo efficace delle informazioni nella memoria di lavoro29 e questa relazione potrebbe essere mediata dalla DLPFC27.
In merito all’efficacia della iTBS, si può confrontare il nostro studio anche con uno studio pubblicato nel 2021 sulla rivista scientifica Brain Topography: “Effects of Intermittend Theta Burst Stimulation on the Clock Drawing Test Performances in Patients with Alzheimer’s Disease”30. In questo studio si è investigato il rapporto tra la stimolazione iTBS in 8 diverse aree cerebrali e la variazione del punteggio medio al test del disegno dell’orologio (CDT). Ne è risultato che la iTBS applicata alle regioni temporo-parietali e parietali destre abbia facilitato le prestazioni CDT immediatamente dopo il trattamento. Al contrario, iTBS applicata sulle medesime regioni controlaterali, abbia ridotto le prestazioni CDT a T130.
Sebbene le aree stimolate e gli outcome di valutazione, rispetto al presente studio, siano diversi, il dato maggiormente rilevante di tale studio è in linea con i risultati anche da noi ottenuti: la iTBS consente un miglioramento delle performance cognitive.
Riguardo l’area del precuneo, uno studio randomizzato, in doppio cieco, controllato con shamha valutato la sicurezza e l'efficacia della stimolazione rTMS del precuneo nei pazienti affetti da malattia di Alzheimer da lieve a moderata24. Cinquanta pazienti sono stati assegnati in modo casuale in un rapporto 1:1 a ricevere una stimolazione rTMS attiva o sham a livello precuneo. Lo studio aveva una durata di 24 settimane per ogni paziente, con un trattamento intensivo di 2 settimane in cui la rTMS veniva applicata quotidianamente cinque volte alla settimana, seguita da una fase di mantenimento di 22 settimane in cui la stimolazione veniva applicata una volta alla settimana. L’outcome primario consisteva nella variazione della Clinical Dementia Rating Scale–Sum of Boxes. Come outcome secondari sono stati valutati ADAS-Cog, MMSE, ADCS-ADL, FAB e la Neuropsychiatric Inventory (NPI)24.
I risultati legati all’outcome primario sono stati statisticamente significativi (i soggetti arruolati per il trattamento attivo hanno dimostrato un miglioramento nella scala di outcome, mentre quelli arruolati per il trattamento sham hanno mostrato un peggioramento generale della performance). Si è assistito ad una variazione dell’ADAS-Cog tra il tempo T0 ed il tempo T2 per il trattamento attivo (a differenza dello sham), p=0,03524.
È stato inoltre dimostrato un miglioramento anche nella performance all’ADCS-ADL ed al MMSE, per il trattamento attivo. Nel nostro studio la variazione significativa del MMSE non è stata presente, forse per la minore sensibilità di tale test in rapporto ad un numero esiguo di partecipanti. Infine, sia nello studio di Koch et al.24 che nel nostro non si è verificato un miglioramento del punteggio medio alla scala FAB tra T0 e T1.
Il limite principale del nostro studio è il numero limitato di soggetti arruolati (13 in totale), ma la significatività del miglioramento del punteggio medio dell’ADAS-Cog tra l’inizio e la fine della stimolazione attiva ed il trend di correlazione presente tra la durata della malattia e la variazione media del punteggio ADAS-Cog sono dati meritevoli di approfondimento.
Conclusioni
In conclusione, i risultati dello studio mostrano un miglioramento della performance cognitiva misurata tramite scala ADAS-Cog al termine del ciclo di stimolazione A-iTBS attiva rispetto al basale, prendendo in considerazione complessivamente le due aree di trattamento (lDLPFC e PCN). Tali dati supportano l’ipotesi che la A-iTBS possa essere efficace nell’induzione di plasticità cerebrale in entrambe le aree stimolate.
È importante proseguire lo studio ampliando il numero dei soggetti inclusi, al fine di definire ulteriormente l’efficacia della stimolazione nelle due aree target, nonché la durata dell’effetto.
Dott.ssa Maria Luisa Di Giesi, Corso di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia, Facoltà Dipartimentale di Medicina e Chirurgia, Università Campus Bio-Medico di Roma
Sintesi della Tesi di Laurea discussa il 14/06/2023
Relatore: Prof. Vincenzo Di Lazzaro, Preside Facoltà Dipartimentale di Medicina e Chirurgia, Università Campus Bio-Medico di Roma
Correlatori:
Dott.ssa Emma Falato, UOC Neurologia, Policlinico Universitario Campus Bio-Medico
Dott. Francesco Motolese, Dottorando in Scienze Neurologiche, Policlinico Universitario Campus Bio-Medico
Per la corrispondenza: ml.digiesi@gmail.com
BIBLIOGRAFIA