Prof. Giovanni Minardi

Già Dirigente Medico Cardiologia 1, Az. Osp. San Camillo-Forlanini, Roma.

Salvator Mundi International Hospital Roma. Università di Roma “Sapienza.

Articolo pubblicato in:

Anno Accademico 2023-2024

Vol. 68, n° 3, Luglio - Settembre 2024

Simposio: Cuore Polmone

16 aprile 2024

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Dolore cronico e malattie cardiovascolari

G. Minardi, P. Mattacola

L’associazione tra dolore cronico e malattie cardiovascolari (MCV) non è del tutto chiara.

Il dolore cronico può essere definito come un “dolore che si protrae da almeno 3 mesi”. Oggi viene considerato una malattia vera e propria e non una semplice conseguenza di altre malattie.

È tra le cinque più importanti cause responsabili di disabilità nel mondo e interessa circa il 20-30% della popolazione adulta1. Secondo il modello biopsicosociale è considerato una entità risultante da interazioni dinamiche tra fattori biologici, psicologici e sociali.

La cronicizzazione del dolore sembra causata da modifiche funzionali e strutturali delle componenti neurali coinvolte nella trasmissione e modulazione dello stimolo doloroso, la cosiddetta sensibilizzazione periferica e centrale2. Si crea pertanto uno squilibrio tra l’amplificazione dei segnali nocicettivi ascendenti e l’inadeguata attivazione delle vie inibitorie discendenti.

In Italia, oltre 10 milioni di individui adulti soffrono di dolore cronico. Nel 2019 è stata effettuata una indagine europea sulla salute, condotta dall’Istat3, che ha coinvolto oltre 44.000 partecipanti, di cui 38.800 hanno risposto al breve questionario sul dolore cronico. Dai risultati è emerso che il dolore cronico affligge circa 4 milioni di uomini e quasi 6 milioni e mezzo di donne ed è presente nell’8% della popolazione di 18-44 anni, nel 21,3% tra i 45-54enni, nel 35% tra i cosiddetti “giovani anziani” (65-74enni), nel 50% negli ultra-ottantacinquenni.

Anche per il dolore cronico, sono state confermate le diseguaglianze di genere: il divario nelle stime di prevalenza tra maschi e femmine inizia infatti già all’età di 35 anni, e va man mano ampliandosi a sfavore delle persone di sesso femminile, con percentuali superiori di oltre 15 punti tra gli anziani (65 anni e più). Nel complesso, risulta che il 60% delle persone adulte con dolore cronico in Italia è di sesso femminile.

Altre informazioni utili sono derivate da altri aspetti del dolore cronico.

Per quanto riguarda l’impatto del dolore sulla qualità della vita e ciò che provano i pazienti è risultato che: per il 96% degli intervistati il dolore cronico influisce molto sulla qualità della vita; l’impatto è in media su 3 o 4 dimensioni della qualità di vita, tra le quali, ad esempio: prendersi cura di sé stessi; interagire come desiderato con le persone care; muoversi e camminare; fare attività fisica; mantenimento del lavoro o della mansione; l’impatto è rilevante anche sulle attività sociali (56%), su quelle motorie e sull’umore stesso (67%), oltre a compromettere la qualità del sonno (53%).

Per quanto riguarda i tempi per una diagnosi, alla domanda “Da quanti anni soffri di dolore cronico”, il 41% ha risposto da più di 10 anni, mentre 1 persona su 3 ha risposto da 1 a 5 anni. In media il 32% degli utenti intervistati ha ricevuto una diagnosi in meno di 1 anno, il 38% circa l’ha ricevuta entro 5 anni, il 29% ha atteso più di 5 anni e il 5% addirittura 10 anni.

Per quanto riguarda i Centri per la gestione del dolore cronico e la Legge 384 che ne sancisce i diritti, è stato riscontrato che:

  1. seppur esista la consapevolezza che vi siano centri specializzati sul territorio, oltre il 55% non si è rivolto a loro per la gestione del dolore;
  2. sebbene il 47% dichiari di aver sentito parlare di Legge 38, solo il 15% riferisce di conoscere bene i diritti sanciti per legge;
  3. addirittura il 39% dichiara di aver sentito parlare di Legge 38 per la prima volta durante la web survey di Dimensione Sollievo.

Le MCV sono le principali cause della disabilità globale nel mondo e della prematura mortalità (circa 17 milioni/anno). In Italia le MCV rappresentano il 45-50% delle cause di mortalità globale (circa 230.000 morti/anno). La cardiopatia ischemica (CI) da sola è a sua volta responsabile del 35% dei decessi dovuti a MCV. Si stima che la mortalità annuale per le forme tipiche della CI (angina, infarto e morte improvvisa) sia tra 70.000 e 80.000 casi. In Italia quindi vive circa un milione di soggetti affetti da CI nelle sue forme più tipiche.

Circa il rapporto tra dolore cronico e MCV, due recenti metanalisi hanno confermato che la prevalenza delle MCV è molto più frequente nei pazienti con dolore cronico. I pazienti con dolore cronico hanno un 9% di rischio complessivo di eventi cardiovascolari5.  

Tuttavia vi sono alcuni aspetti da chiarire:

  1. c’è una associazione tra differenti livelli di dolore, la sua estensione e durata e la comparsa di MCV?
  2. il dolore si associa a particolari forme di MCV come IMA, ictus cerebri, scompenso cardiaco e mortalità cardiovascolare?
  3. l’associazione tra dolore cronico e MCV è indipendente dai noti fattori di rischio cardiovascolare?

Un recente studio5 su circa ½ milione di pazienti senza MCV ha rilevato che il dolore cronico determina un aumento degli eventi cardiovascolari indipendentemente dai noti fattori di rischio cardiovascolare (diabete mellito, ipertensione arteriosa, dislipidemia, tabagismo, insufficienza renale, sesso, età, peso corporeo etc.). Tali dati erano già emersi in molti studi effettuati dagli anni 2015 ad oggi, ma non erano stati confermati in altri pochi studi6-9. La correlazione era statisticamente significativa nei pazienti con dolore cronico e diffuso (Fig. 1).

 

Fig. 1.   Associazione tra dolore e rischio cardiovascolare (UK BioBank9).

 

Pertanto sembra dimostrata in vari studi osservazionali una correlazione significativa tra dolore cronico e insorgenza di MCV.

Cosa lega il dolore cronico alle MCV? Vi sono alcuni meccanismi fisiopatologici comuni: attivazione simpatica; infiammazione sistemica; attivazione delle cellule gliali; alterazioni del microbiota5; forse una predisposizione genetica10; dislipidemia. Studi osservazionali hanno riscontrato una correlazione tra la presenza di dolore cronico, stress psicologici, depressione ed ansia e la comparsa di MCV10, 11. Anche l’inattività fisica, causata dalle limitazioni funzionali, la solitudine e l’assenza di adeguato supporto sociale nei pazienti con dolore cronico, possono essere considerati un ulteriore fattore di rischio cardiovascolare6, 10. È stato osservato che i pazienti con dolore cronico muscolo-scheletrico sembrano avere una probabilità quasi doppia di sviluppare MCV, sia in conseguenza dell’inattività fisica, sia dell’uso, talvolta eccessivo, di FANS e COX-2 inibitori, responsabili, come è noto, di un aumento del rischio cardiovascolare. I FANS e i COX-2, che agiscono sulla sintesi delle prostaglandine, possono causare infatti: aumento della PA, aumento del rischio trombotico, scompenso cardiaco, squilibri elettrolitici, IRA o sindrome nefrosica, aumento di ulteriori eventi cardiovascolari nei pazienti con pregresso IMA7. Inoltre, come risulta dall’ESC position statement del 201612, i FANS e i COXIB sono controindicati nei pazienti con SC severo; i COXIB sono controindicati nei pazienti con malattie cerebro-vascolari, arteriopatie ostruttive, CI e SC moderato-severo; i FANS non dovrebbero essere utilizzati nei pazienti con patologie o fattori di rischio cardiovascolare12, 13.

Molto spesso nei pazienti con dolore cronico si osserva un aumento del colesterolo totale e del colesterolo LDL (C-LDL)14. Il meccanismo alla base di tale alterazione non è del tutto noto: si ipotizza un effetto diretto del dolore o l’inattività fisica. La dislipidemia, come già detto, è associata ad un aumentato rischio di MCV e va corretta il prima possibile con norme dietetiche, attività fisica e farmaci che riducano a livelli ottimali il colesterolo totale e il C-LDL, in base al profilo di rischio del paziente, tenuto altresì conto degli effetti pleiotropici (effetto sulle placche ateromasiche e sulla PCR), della loro efficacia e tollerabilità8. I farmaci più adatti, per le dimostrate e riconosciute caratteristiche di efficacia, sono le statine, da molti anni diffusamente utilizzate nella gestione dei pazienti con ipercolesterolemia, che agiscono inibendo l’HMG-CoA reduttasi e quindi la sintesi del colesterolo intracellulare. Varie molecole sono state studiate e immesse in commercio nel corso degli ultimi anni: quelle di 1° livello (Simvastatina, Pravastatina, Fluvastatina, Lovastatina) in grado di indurre un abbassamento del C-LDL tra 10 e 35%; quelle di 2° livello (Simvastatina 80mg, Atorvastatina, Rosuvastatina) in grado di ridurre il C-LDL tra 38 e 55%; farmaci di associazione con Ezetimibe (vari tipi di statina) in grado di ridurre il C-LDL del 15-20%15. Attualmente si tende ad utilizzare le statine ad alta intensità (di 2° livello) perché risultano più indicate per la loro efficacia e tollerabilità con o senza Ezetimibe. In casi particolari e seguendo le raccomandazioni delle Linee Guida, nell’ottica di raggiungere i target raccomandati per i pazienti ad alto rischio, si possono utilizzare altre molecole tipo i PCSK9 inibitori. Ovviamente occorre sempre tener conto delle interazioni farmacologiche e farmacodinamiche, dato che i pazienti con dolore cronico assumono spesso una politerapia. Ad esempio la Rosuvastatina è substrato dei trasportatori proteici OATP1B1 e BCRP, perciò i farmaci che inibiscono questi trasportatori fanno aumentare i livelli di Rosuvastatina e il rischio di miopatia. I farmaci che agiscono su OATP1B1 sono Ciclosporina, Atazanavir e Ritonavir, Gemfibrozil, alcuni antibiotici e alcune statine; quelli che agiscono su BCRP sono Nitrofurantoina, Dipiridamolo, Cimetidina, Clorotiazide, Sulfasalazina, Leflunomide, Gliburide. La Rosuvastatina non interferisce invece con il citocromo P450, perciò non ha interazione con i farmaci che hanno un metabolismo mediato dal P450.


Conclusioni

Il dolore cronico e le MCV sono condizioni morbose frequentemente presenti in molti pazienti, perché hanno molti meccanismi etio-fisiopatologici comuni. La loro co-presenza può avere implicazioni sfavorevoli quoad vitam et valetudinem, a causa di correlazioni negative secondarie ai trattamenti farmacologici e alle condizioni bio-psicofisiche. La gestione di questi pazienti è perciò molto complessa e multidisciplinare14, 16. I trattamenti devono essere farmacologici e non, in un approccio olistico, che tiene in massimo conto la tipicità della persona e delle sue problematiche di salute. Particolare attenzione va riservata ai trattamenti farmacologici, date le possibili interazioni, spesso negative, dei farmaci tradizionali, e tenendo conto del possibile uso/abuso personale. Vecchi farmaci come il paracetamolo (il cui abuso può causare epatotossicità), devono essere utilizzati, ove necessario, al pari di altri farmaci (tra cui oppioidi come ossicodone o tapentadolo), sebbene anch’essi non scevri da effetti collaterali. Sarebbe opportuna una gestione multidisciplinare e una implementazione del rapporto tra il team multidisciplinare e il paziente. È probabile che piccoli miglioramenti nella prevenzione, diagnosi e trattamento di queste due malattie possano avere un sostanziale impatto positivo sulla salute pubblica.

N.B.  Per opportuna rivisitazione mnemonica si riportano alcuni punti della Legge 15 marzo 2010, n°38. Con tale Legge l'Italia ha adottato un quadro organico di principi e disposizioni normative per garantire un’assistenza qualificata appropriata in ambito palliativo (CP) e della terapia del dolore (TD), per il malato e la sua famiglia. Trattasi di una legge quadro, tra le prime adottate in Europa, che ha incontrato il consenso dei professionisti, degli esperti, delle organizzazioni non profit e del volontariato, che hanno attivamente contribuito alla sua definizione. Va sottolineato il carattere innovativo di questa Legge, che si pone a tutela della dignità della persona, sancisce il diritto di accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore di ciascuno, esplicitando un modo di intendere il diritto alla salute che guarda alla globalità della persona, un approccio universalistico e che si fa carico dell’uguaglianza della persona. La legge 38/2010 impegna il sistema a occuparsi di CP e TD in tutti gli ambiti assistenziali, in ogni fase della vita e per qualunque patologia ad andamento cronico ed evolutivo, per la quale non esistono terapie o, se vi sono, risultano inadeguate ai fini della stabilizzazione della malattia. Con questa legge la sofferenza non è più un aspetto inevitabile di un percorso di malattia, ma è una dimensione che va affrontata con serietà e sistematicità, in tutte le fasi e in ogni setting d’assistenza. La Legge ha introdotto profonde innovazioni, tra le quali si segnala: la ridefinizione dei modelli assistenziali, la creazione di specifiche reti assistenziali, l'attenzione alla specificità pediatrica, la semplificazione delle procedure di accesso ai medicinali impiegati nella terapia del dolore.

Nel 2020 il dolore cronico è stato inserito nel monitoraggio del Programma Statistico Nazionale. Ciò favorirà la piena applicazione della Legge n°38 15 marzo 2010 in tema di accesso alla rete di terapia del dolore per tutti.

 


Prof. Giovanni Minardi, già Dirigente Medico Cardiologo, A.O. San Camillo-Forlanini Roma; già Prof. Inc. Sapienza Università di Roma; Fellow ANMCO, ESC; UPMC/SMIH Roma; ECOMEDICA Valmontone

Dott.ssa Patrizia Mattacola, Infermiera A.O. San Camillo-Forlanini, Roma

Per la corrispondenza: giovanniminardi1950@gmail.com

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