Anno Accademico 2023-2024

Vol. 68, n° 4, Ottobre - Dicembre 2024

Conferenza: Oncologia di precisione

28 maggio 2024

Copertina Atti Quarto Trimestre 2024 per sito.jpg

Versione PDF dell'articolo: Download

Oncologia di precisione

M. Lopez

Nel V secolo a.C., esistevano due Scuole di Medicina principali: quella di Kos, il cui maggiore esponente era Ippocrate, e quella di Cnido che faceva capo a Eurifone.

La Scuola di Kos considerava la malattia un’alterazione generale, coinvolgente l’intero organismo e quindi trattabile con una terapia generale: “trattare il paziente, non solo la malattia”. La Scuola di Cnido - orientata verso la malattia più che verso il paziente - aveva, invece, una concezione localistica della malattia e assegnava molta importanza ai segni e ai sintomi, elencandone numerosi, alcuni dei quali rappresentavano singolarmente la malattia.

A prevalere fu la concezione ippocratica, ritenuta valida per circa due millenni. L’approccio riduzionista della Scuola di Cnido non aveva la possibilità di affermarsi, poiché avrebbe avuto bisogno di conoscenze anatomiche approfondite, allora non disponibili.

La concezione localistica della malattia poté essere valorizzata solo quando, col ricorso all’autopsia, aumentarono le conoscenze di anatomia e furono individuate le correlazioni tra segni e sintomi clinici e alterazioni anatomopatologiche, ed è stata istituzionalizzata da Morgagni nel De sedibus et causis morborum per anatomen indagatis (1761) con il concetto di malattia d’organo.

Dopo Morgagni, fu Bichat nel 1801 a seguire l’approccio riduzionista e ridurre la malattia da patologia d’organo a patologia dei tessuti, mentre si deve a William Osler (1849-1919) la caratterizzazione e definizione delle malattie, largamente basate sulle correlazioni clinico-patologiche, che ha dominato la scena per oltre un secolo1. L’approccio osleriano definisce la malattia in base al principale organo o sistema in cui si manifestano i segni e i sintomi, correlandoli con l’anatomia e l’istologia patologiche. Sebbene sia stato continuamente perfezionato ricorrendo a nuovi marcatori per le correlazioni (per es. esami biochimici, immunoistochimica, citometria a flusso e, più recentemente, analisi molecolari), non è sostanzialmente cambiato nei suoi principi generali. Pertanto, la classificazione del tipo di malattia deriva dalla generalizzazione induttiva delle evidenze clinico-patologiche selezionate in base a un principio riduzionista. Questo paradigma si è rivelato certamente utile per i clinici, poiché riduce il numero delle potenziali situazioni patologiche da considerare, ma ha alcuni limiti: porta a un’eccessiva generalizzazione dei fenotipi patologici; non tiene conto delle condizioni di suscettibilità e delle manifestazioni precliniche delle malattie; e non può essere usato per individualizzare la diagnosi e la terapia della malattia2. Oggi, invece, è richiesta una definizione di malattia più precisa e progressivamente più personalizzata, per le esigenze di ciò che chiamiamo Medicina di precisione e, in ambito oncologico, Oncologia di precisione.

Il termine “Medicina di precisione” è stato formalmente introdotto nel 2009 da Mark Boguski, patologo molecolare alla Harvard Medical School3, aggiungendosi all’ampia terminologia già esistente, che comprende Medicina personalizzata, Medicina genomica (che si basa sugli effetti in Medicina del genoma umano), Medicina individualizzata e Medicina molecolare. Questa diversità terminologica è indicativa di un settore di ricerca in espansione, ancora in attesa di una più precisa caratterizzazione.

Nel campo dei tumori, Oncologia di precisione è un concetto riconducibile a un’osservazione piuttosto comune, fatta ormai da tempo, che solo una frazione dei pazienti affetti da una qualsiasi neoplasia trae un beneficio significativo dai vari tipi di trattamenti antitumorali disponibili.

Inizialmente le terapie mediche (per es. chemioterapia) sono state disegnate per il “paziente medio”, ma questo approccio “a taglia unica” non è stato in genere molto efficace, poiché il “paziente medio” non esiste.

Molte ricerche sono state così rivolte all’individuazione di un qualche fattore predittivo di risposta per consentire la somministrazione di una terapia tanto più personalizzata quanto più specifico sarebbe stato il fattore predittivo usato. Uno dei migliori esempi è rappresentato dal tamoxifene, sviluppato come antagonista del recettore per gli estrogeni (ER) nella terapia del cancro della mammella. Probabilmente, ER è stato il biomarcatore o marcatore molecolare che ha avuto l’impatto più incisivo nella pratica medica oncologica, poiché ha consentito di modificare la storia naturale di un’importante malattia neoplastica. Col tempo, la ricerca si è sempre più orientata verso l’identificazione di nuovi biomarcatori in grado di guidare proficuamente la selezione del trattamento, basandosi sul presupposto che alla base del cancro esiste un’eterogeneità genomica, non solo in tumori derivati da tessuti diversi, ma anche in quelli derivati dallo stesso tessuto. In ciò essa è stata facilitata dai progressi registrati nelle tecnologie ad alta resa, usate per studiare inizialmente il genoma e successivamente il trascrittoma, il proteoma e altri aspetti del tumore e dell’ospite.

Quali siano, tuttavia, esattamente i compiti e le attività di pertinenza dell’Oncologia di precisione non è ancora del tutto chiaro. Alcuni ritengono che ne siano esempi le terapie a bersaglio molecolare e i trattamenti immunologici: una definizione, questa, che appare piuttosto ampia. Altri ne danno un’interpretazione più restrittiva facendo riferimento, per esempio, al sequenziamento di nuova generazione (next-generation sequencing, NGS) dei tessuti neoplastici, per raccogliere informazioni sul profilo genetico dei tumori al fine di guidare la terapia molecolare. Molti medici non amano la dicitura “Oncologia personalizzata”, poiché ritengono che in ogni caso essi già offrono al paziente questo tipo di Medicina. L’uso impreciso del termine “precisione” può essere di per sé controproducente, ingenerando nei pazienti aspettative esagerate o, per contro, inducendo il pubblico in generale a non prendere seriamente in considerazione tale approccio.

Un’idea più accurata dell’Oncologia di precisione può trarsi dal significato attribuitole nel corso degli ultimi anni. Inizialmente - all’incirca fino al 2010 - stava ad indicare la terapia a bersaglio molecolare, come quella effettuata con inibitori di Bcr-Abl (imatinib) o di VEGF (Avastin). In seguito, il termine fu usato soprattutto per descrivere la selezione del trattamento in rapporto alla presenza di biomarcatori, come l’uso di crizotinib (Xalcori) nei pazienti con cancro del polmone con riarrangiamento del gene ALK. Ultimamente, come già detto, si fa riferimento essenzialmente all’uso di NGS per la determinazione del profilo genetico del cancro, ma un cambiamento ulteriore è orientato verso la selezione della terapia non più in base alla sede e all’istologia del tumore, come in genere succede, ma in rapporto al tipo di mutazione presente. Così, per esempio, pazienti portatori della mutazione B-raf V600E saranno trattati con inibitori della proteina B-raf, indipendentemente dal fatto che abbiano un melanoma o una leucemia mieloide acuta o un cancro della mammella. Un approccio già sperimentato con gli studi basket.

È da considerare tuttavia che una precisa definizione della Medicina e dell’Oncologia di precisione è difficile da formulare: ne esistono numerose, ma non sempre sovrapponibili per la diversità dei fattori presi in esame. Allo stato attuale, sembra appropriato accontentarsi delle definizioni più inclusive che considerano la Medicina di precisione un approccio che prende in considerazione le differenze individuali tra le persone da un punto di vista genetico, ambientale e di stile di vita, per rendere possibile il disegno di trattamenti mirati per il cancro e altre malattie. In particolare, obiettivo dell’Oncologia di precisione è semplicemente somministrare il trattamento antitumorale giusto, al paziente giusto, alla dose giusta e al momento giusto4.

L’era della Medicina di precisione in Oncologia è formalmente iniziata nel 1998 con l’approvazione del trastuzumab e del test diagnostico immunoistochimico HercepTest per identificare i pazienti eleggibili per il trattamento. Ma la lotta specificamente dichiarata al cancro risale a qualche decennio prima.

Nel 1971 il Presidente degli Stati Uniti Richard Nixon firmò il National Cancer Act, dichiarando di fatto guerra al cancro e mettendo in pratica un’idea nata due anni prima, in seguito al successo della missione Apollo, che il 20 luglio 1969 aveva portato per la prima volta l’uomo sulla Luna. Una nuova era nella ricerca tecnologica era stata aperta, e l’euforia era tale da credere che sarebbe stato possibile raggiungere qualsiasi obiettivo l’uomo si fosse posto anche in campo scientifico. A Nixon fu chiesto di prendere un’iniziativa per guarire il cancro, e il Governo degli Stati Uniti mise a disposizione ingenti risorse, con le quali fu possibile raggiungere più rapidamente importanti risultati: la mortalità dei pazienti è diminuita considerevolmente, la sopravvivenza è aumentata e la terapia del cancro ha cessato di essere mutilante5.

La malattia però non è stata guarita, come ipotizzato e sperato. Né in verità poteva esserlo, poiché si è rivelata molto più complessa di quanto allora si potesse immaginare.

Dopo il sequenziamento del genoma umano (2000), l’affermazione generale del nuovo approccio terapeutico, basato sulla ricerca di mutazioni driver (pilota), si è avuta con lo sviluppo dell’imatinib (contro la proteina Bcr-Abl prodotta dal gene bcr-abl sul cromosoma Ph), approvato nel 2001.

L’efficacia dell’imatinib ha dato il via a una miriade di studi in diverse neoplasie con l’approvazione di numerosi farmaci a bersaglio molecolare (compresi i farmaci immunoterapeutici) che, complessivamente, hanno determinato: aumento della sopravvivenza, cronicizzazione della malattia, diminuzione della tossicità (non sempre), ma non la guarigione di alcuna neoplasia.

Tra le cause della mancata guarigione hanno un ruolo importante l’eterogeneità genetica e la comparsa di resistenza.

Così come esiste un’eterogeneità istologica, esiste un’eterogeneità genetica che conferisce alla neoplasia caratteristiche di rilievo non soltanto da un punto di vista evolutivo, ma anche terapeutico6. Si può facilmente immaginare la complessità dei tumori se si pensa che esistono ben quattro tipi di eterogeneità (Fig. 1).

 


Fig. 1. Eterogeneità genetica dei tumori. Illustrata da un carcinoma pancreatico con metastasi epatiche. Le mutazioni durante la crescita del tumore primitivo danno origine alla eterogeneità clonale. Un tumore tipico contiene cellule con una notevole frazione delle mutazioni complessive (cellule fondatrici), dalle quali derivano vari subcloni (le regioni diversamente colorate nei subcloni rappresentano stadi evolutivi all’interno di un subclone). A. Eterogeneità intratumorale (tra le cellule del tumore primitivo). B. Eterogeneità intermetastatica (tra lesioni metastatiche diverse nello stesso paziente). C. Eterogeneità intrametastatica (tra le cellule di ogni metastasi). D. Eterogeneità interpaziente (tra i tumori di pazienti diversi). Da: Vogelstein B, et al. Science 2013; 339:1546-1558.

 

L’eterogeneità intratumorale, esistente tra le cellule di un tumore, è correlata al fatto che a ogni divisione la cellula acquisisce nuove mutazioni. Il loro numero distingue una cellula dall’altra e indica semplicemente il tempo trascorso dalla separazione dall’ultimo progenitore comune (la cellula fondatrice). In termini darwiniani, si potrebbe dire che il tronco dell’albero evolutivo è costituito dalle mutazioni presenti in tutte le cellule tumorali, mentre nei rami si trovano le mutazioni non condivise da tutte le cellule neoplastiche. Nel caso di un tumore primitivo, sembrerebbe che esse non abbiano una particolare importanza poiché sono eliminate con l’asportazione chirurgica. Ma le cose stanno diversamente se solo si considera che rappresentano la base per l’eterogeneità tra le metastasi.

 In un tumore metastatico sono spesso presenti lesioni di dimensioni tali da essere visualizzate clinicamente e numerose altre più piccole, microscopiche. Ognuna di esse è stata generata da una cellula fondatrice con caratteristiche genetiche diverse, staccatasi dal tumore primitivo. Esiste quindi un’eterogeneità intermetastatica che può comportare la presenza anche di 20 alterazioni genetiche non condivise da altre lesioni secondarie presenti nello stesso paziente. Si comprende quindi facilmente come un trattamento chemioterapico in grado di eliminare alcune di queste localizzazioni secondarie, non possa di fatto eradicare la neoplasia. Fortunatamente, questa situazione disastrosa è attenuata dal fatto che gran parte di questa eterogeneità è dovuta a mutazioni passenger, mentre la condivisione di mutazioni driver, già presenti nelle cellule originarie del tumore primitivo, fa sì che una risposta possa osservarsi in tutte le lesioni secondarie sensibili ai farmaci a bersaglio molecolare.

Per complicare ulteriormente la situazione, esiste anche un’eterogeneità intrametastatica, ossia tra le cellule di ogni metastasi. Ognuna di esse, infatti, è formata da una singola cellula (o un piccolo numero di cellule) con un gruppo di mutazioni fondatrici e, via via che cresce, acquisisce nuove mutazioni nel corso delle divisioni cellulari. Le mutazioni fondatrici rendono la lesione suscettibile all’azione dei farmaci antitumorali, ma quelle nuove gettano le basi per la farmacoresistenza. Così, anche dopo una risposta completa al trattamento, la malattia si ripresenta per la proliferazione delle cellule resistenti residuate. Ogni lesione metastatica clinicamente evidente, infatti, contiene migliaia di cellule virtualmente resistenti a qualsiasi farmaco, per cui la ripresa evolutiva della malattia è solo una questione di tempo, a meno che non si usi una combinazione farmacologica in grado di superare la resistenza stessa.

Infine, è nota da molto tempo un’eterogeneità interpaziente, ossia tra i diversi pazienti, che contribuisce notevolmente a far sì che non esistano due pazienti portatori di un identico tumore. Per esempio, nei cancri della mammella di due donne possono osservarsi decine di mutazioni, ma solo un piccolo numero si riscontra negli stessi geni, generalmente in quelli driver. Eppure, anche in tal caso si tratta spesso di mutazioni diverse aventi implicazioni cliniche differenti. Basta, infatti, che una mutazione puntiforme nello stesso gene avvenga a carico di una tripletta diversa per dare origine a proteine differenti con sensibilità diversa ai farmaci. Si comprende quindi come l’eterogeneità interpaziente sia stata sempre considerata uno dei maggiori ostacoli al disegno di trattamenti uniformi, inducendo ad approfondire la conoscenza dei genomi dei cancri per individuare terapie sempre più individualizzate.

La farmacoresistenza costituisce un problema che i ricercatori hanno dovuto affrontare fin dalla nascita della chemioterapia all’inizio degli anni 1940. Si verifica attraverso una grande varietà di meccanismi, tra cui la sovraregolazione della via inibita, la mutazione del bersaglio e l’attivazione di percorsi molecolari alternativi7. Come dire: Omnes viae Romam ducunt (qualunque sia il meccanismo, il risultato è sempre lo stesso: progressione della neoplasia).

Così, anche dopo una risposta completa al trattamento, la malattia si ripresenta per la proliferazione delle cellule resistenti residuate. Ogni lesione metastatica clinicamente evidente, infatti, contiene migliaia di cellule virtualmente resistenti a qualsiasi farmaco, per cui la ripresa evolutiva della malattia è solo una questione di tempo, a meno che non si usi una combinazione farmacologica in grado di superare la resistenza stessa, al rischio però di una maggiore tossicità non sempre tollerabile.

Complessivamente, l’Oncologia di precisione presenta una serie di limiti che possono essere sintetizzati nella maniera seguente: solo il 10% di tutti i tumori ha un profilo genetico utile ai fini terapeutici e non tutti rispondono alla terapia; la maggior parte delle mutazioni è di tipo passenger; mutazioni utili non sono presenti in tutti i tumori con lo stesso istotipo e sono presenti anche nei tessuti normali; il blocco della trasduzione dei segnali è in genere parziale.

A ciò si aggiunge l’emergenza di mutazioni specifiche di sottopopolazioni cellulari con autonomia replicativa generate durante la crescita neoplastica, che trasformano la neoplasia principale in numerose singole neoplasie rare (parcellizzazione del singolo istotipo o “super-riduzionismo”). La conseguenza è lo sviluppo di numerosi farmaci, ognuno attivo su pochi pazienti, con aumento della complessità del trattamento e del costo.

Quanto sopra riportato presenta un quadro della malattia neoplastica così complesso da far temere che si tratti di una malattia senza via d’uscita. Eppure, non è raro osservare un controllo significativo di tumori in fase avanzata. Più recentemente, per conquistare il cancro, così com’era stata conquistata la luna, il Presidente Barak Obama ha lanciato una nuova era in Medicina, annunciandola nel “Discorso annuale del Presidente” del 20 gennaio 2015. È da allora che la Medicina di precisione ha acquistato una maggiore notorietà e per realizzare i suoi obiettivi sono state messe a disposizione notevoli risorse a sostegno dell’impiego della genomica e dello sviluppo di sistemi informatici appropriati, per usare al meglio le conoscenze disponibili in maniera condivisa. In particolare, nel gennaio 2016, Obama ha annunciato la creazione di una Task Force on Cancer - denominata Cancer Moonshot per ricordare il successo dello sbarco sulla luna - con a capo l’allora vicepresidente Joe Biden, il cui figlio era morto per un glioblastoma l’anno prima.

Il programma Moonshot è stato riacceso da Biden nel 2022 con l’obiettivo non più di guarire il cancro - come si era ritenuto in precedenza - ma più realisticamente di ridurre del 50% la mortalità da tumori nei prossimi 25 anni, attraverso numerose linee di ricerca e avanzamenti tecnologici.

È da considerare che la terapia del cancro è diventata ormai così complessa da non poter evitare il ricorso al computer e, più recentemente, all’intelligenza artificiale (AI). L’AI è un programma computerizzato intelligente in grado di apprendere e prendere col tempo decisioni. I vantaggi sono molteplici:

  1. diagnosi: può analizzare vari tipi di immagine, aiutando il medico a focalizzare l’attenzione sulle anormalità e rendere più spedita la diagnosi. Il medico però deve già conoscere l’alterazione indicata;
  2. pianificazione del trattamento: può aiutare a personalizzare la terapia, prendendo in considerazione la peculiarità della storia del paziente e del profilo genetico con la scelta di trattamenti più efficaci e meno tossici;
  3. scoperta di nuovi farmaci: può aiutare a identificare nuovi potenziali trattamenti, analizzando numerosi dati scientifici. In alternativa, può indirizzare il paziente verso gli studi clinici più appropriati;
  4. monitoraggio: può monitorare continuamente da remoto lo stato di salute del paziente (disponendo di una cartella clinica computerizzata) e individuare precocemente cambiamenti peggiorativi, consentendo di intervenire precocemente.

Esistono, tuttavia, anche limiti e ostacoli relativi a diversi aspetti:

  1. qualità dei dati: non tutte le informazioni rinvenibili in Internet sono accurate e di alta qualità. Per funzionare bene, l’AI richiede dati di elevata qualità, rendendo indispensabile una rigorosa validazione delle decisioni e dei risultati;
  2. responsabilità: se tutto è demandato all’AI, su chi cade la responsabilità in caso di errori?
  3. privacy: le informazioni sullo stato di salute devono essere protette;
  4. compatibilità: i sistemi usati per conservare i dati sono diversi, rendendo difficile la connessione dell’AI con le informazioni provenienti da fonti diverse. È quindi fondamentale che l’AI sia compatibile con i dati clinici elettronici. Gli studi in corso di certo risolveranno molti problemi ancora esistenti, ma il principio fondamentale dal quale probabilmente non si può prescindere è che l’AI deve assistere il medico, non sostituirlo.

Di fronte a una disciplina così complessa, come è divenuta l’Oncologia, non bisogna lasciarsi prendere dallo sconforto per le molteplici cose da fare (Fig. 2), ma è necessario avere fiducia nella ricerca scientifica, che è l’unica a poter creare le condizioni per ulteriori miglioramenti terapeutici.

 


Fig. 2. Il lamento di Leonardo (“Non ho nulla da fare”). Disegno di Sidney Harris, noto caricaturista scientifico.

 

“Per sconfiggere il tuo nemico, devi conoscere il tuo nemico”, affermava il generale e stratega cinese Sun Tzu (VI-V secolo a.C.) nel suo libro L’arte della guerra. Un detto, che si applica perfettamente al cancro, in particolare ai suoi aspetti a livello molecolare8.


Prof. Massimo Lopez, già Direttore U.O.C. Oncologia I.F.O., Roma

Per la corrispondenza: massimo.lopez2010@gmail.com

BIBLIOGRAFIA

  1. Osler W. The principles and practice of medicine. New York: Appleton, 1892.
  2. Loscalzo J, Barabasi AL. Systems biology and the future of medicine. Wiley Interdiscip Rev Syst Biol Med 2011; 3: 619-27.
  3. Boguski MS, Arnaout R, Hill C. Customized care 2020: how medical sequencing and network biology will enable personalized medicine. F1000 Biol Rep 2009; 1: 73.
  4. Schwartzberg L, Kim ES, Liu D, Schrag D. Precision Oncology: Who, How, What, When, and When Not? Am Soc Clin Oncol Educ Book 2017; 37: 160-9.
  5. Kratzer TB, Siegel RL, Miller KD, Sung H, Islami F, Jemal A. Progress Against Cancer Mortality 50 Years After Passage of the National Cancer Act. JAMA Oncol 2022; 8: 156-9.
  6. Schmitt MW, Prindle MJ, Loeb LA. Implications of genetic heterogeneity in cancer. Ann N Y Acad Sci 2012; 1267: 110-6.
  7. Tannock IF, Hickman JA. Limits to Personalized Cancer Medicine. N Engl J Med 2016; 375: 1289-94.
  8. Lopez M. Medicina e Oncologia. Storia illustrata. Il cancro all’inizio del XXI secolo. Volume XI. Roma: Gangemi Editore, 2023.