Anno Accademico 2023-2024

Vol. 68, n° 4, Ottobre - Dicembre 2024

ECM: Le arteriopatie del tratto femoro-popliteo: tradizione ed innovazione

21 maggio 2024

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Dispositivi endovascolari per le ricanalizzazioni

S. Cuozzo

L’arteriopatia obliterante cronica periferica è una malattia aterosclerotica che determina una alterazione della vascolarizzazione (dall’aorta distale al piede) a uno o a entrambi gli arti inferiori, con una presentazione clinica tipica ma con estrema eterogeneità anatomica, definita dalla classificazione TASC sia per distretto infrainguinale, sia per il distretto infrapopliteo.

Le recenti linee guida della Società Europea di Chirurgia Vascolare ed Endovascolare, pubblicate nel 2024, definiscono un livello di evidenza elevato per le indagini diagnostiche, terapia medica e terapia fisica/riabilitativa (raccomandazione di Classe 1). Tuttavia, tale evidenza non è raggiunta dalle modalità di trattamento (Open o Endovascolare), dalle tecniche di rivascolarizzazione endovascolare e dei materiali utilizzabili.

Ciononostante, ad oggi vi è quasi unanime consenso sulla necessità di trattare per via endovascolare lesioni steno-ostruttive con lunghezza inferiore a 25 cm, mediante un approccio endoluminale o subintimale. Inoltre, negli ultimi anni il concetto della “Vessel Preparation” ha trovato sempre maggior consenso e, ad oggi, risulta essere essenziale per migliorare i tassi di pervietà primaria, primaria assistita e secondaria.

Per ciò che concerne l’anatomia della lesione steno-ostruttiva nel distretto infrainguinale e infrapopliteo, dobbiamo tuttavia ricordare che la lunghezza della lesione non è l’unica caratteristica che va considerata. La valutazione della localizzazione dell’ostruzione (AFS ± AP e/o coinvolgimento dei vasi di gamba) e le caratteristiche morfologiche e strutturali della lesione (es. calcificazioni diffuse, fibrosi) sono altrettanto importanti e in grado di predire la probabilità del successo della procedura di rivascolarizzazione.

Dobbiamo inoltre valutare la presenza o meno di un “invito” a livello prossimale e la sede del rientro distale, assieme alla Plaque Cap Morphology (Classificazione CTOP)1.


Fig. 1. Tipi di ricanalizzazioni endoluminali.

Come possiamo vedere in Fig. 1 la presenza di una configurazione tipo 1 agevola la ricanalizzazione endoluminale anterograda, mentre una configurazione tipo 4 ostacola una ricanalizzazione endoluminale a favore di una ricanalizzazione subintimale anterograda; pertanto, in caso di configurazione tipo 3 e 4, un approccio retrogrado può essere utile per ridurre il tasso di ricanalizzazione subintimale.

Per ciò che concerne le modalità di ricanalizzazione, si descrivono due principali approcci (anterogrado e retrogrado) con i quali si può ottenere una ricanalizzazione endoluminale o subintimale.

La ricanalizzazione endoluminale (IA) è più facilmente ottenibile in caso di lesioni corte (< 10 cm); essa consente la “Vessel Preparation” mediante l’utilizzo di aterotomi e/o palloni da litotrissia endovascolare e riduce il tasso di bailout stenting. Necessiterebbe tuttavia di un controllo di qualità della avvenuta ricanalizzazione mediante l’utilizzo di ecografia intravascolare (IVUS).

La ricanalizzazione subintimale (SA), invece, si ottiene più frequentemente in caso di Chronic Total Occlusion (CTO), calcificazioni diffuse/circonferenziali, lesioni lunghe (> 10 cm). Essa ha il vantaggio di un minore tempo operatorio e una riduzione della dose radiane.

Come detto, la ricanalizzazione SA può essere preferita per un minor tempo procedurale, minore incidenza di complicanze peri-operatorie. Inoltre, non è emersa nessuna differenza del tasso di pervietà primaria tra ricanalizzazione IA e SA.

Tuttavia, non esistono numerosi studi prospettici comparativi tra ricanalizzazione SA vs IA per le CTO del distretto femoro-popliteo.

Questo studio2 ha analizzato i risultati di 500 pazienti, confrontando i risultati della ricanalizzazione endoluminale (433 pazienti: 86,6%) vs quelli della ricanalizzazione subintimale (67 pazienti: 13,4%). Nonostante la differente numerosità campionaria, non è emersa nessuna differenza in termini di tempo procedurale, stenosi residua, complicanze perioperatorie. Inoltre, nessuna differenza statisticamente significativa è stata osservata in termini di tasso di restenosi a 1 anno (p= .40), né in termini di major amputation o major adverse limb events.

Gli autori concludono pertanto che la ricanalizzazione IA è preferibile alla ricanalizzazione SA. Tuttavia, siamo sempre sicuri che il passaggio del filo guida sia sempre endoluminale?

Gli stessi autori, attraverso guida IVUS, hanno valutato le effettive modalità di passaggio del filo guida nella lesione steno-ostruttiva. 314 pazienti (62.8%) avevano un passaggio del filo guida IA, mentre 186 pazienti (37.2%) un passaggio subintimale. Esiste pertanto una elevata difficoltà da parte degli operatori di controllare l’effettivo percorso del filo guida attraverso la lesione, indipendentemente dall’approccio IA/SA. Inoltre, vi è una scarsità di dati sull'impatto clinico del passaggio subintimale della guida (rilevato con IVUS) nelle lesioni FP-CTO. Gli autori hanno concluso che il tasso di restenosi a 1 anno è stato superiore nel gruppo di pazienti con passaggio del filo guida subintimale (Subintimale Wire Passage, SWP) rispetto a un passaggio completamente endoluminale (Intraluminale Wire Passage; SWP>IWP, 48,2% vs 40,2%), senza tuttavia raggiungere significatività statistica (p= .40).

Sono tuttavia necessari ulteriori studi per valutare l’implicazione clinica del SWP rilevato tramite IVUS nelle lesioni FP-CTO, sebbene sembri che SWP possa influire negativamente sui risultati a lungo medio della ricanalizzazione.

Da queste evidenze emerge che il controllo mediante metodica IVUS dell’effettiva modalità di ricanalizzazione, è essenziale ai fini del miglioramento degli outcomes.

Indipendentemente dalla tecnica utilizzata, una adeguata preparazione del vaso è una condizione necessaria in tutte le procedure di rivascolarizzazione periferica per aumentare la pervietà primaria e ridurre il tasso di bailout stenting.

Il concetto di “Vessel Preparation” ha guadagnato maggiore interesse scientifico negli ultimi anni. Tuttavia, la pratica clinica quotidiana si discosta da queste raccomandazioni ed evidenze. Infatti, la maggioranza delle procedure di ricanalizzazione viene eseguita con materiali “standard” e ampiamente disponibili: Filo Guida 0.035, 0.014, 0.018, introduttore armato 6 Fr, cateteri diagnostici, catetere a palloncino, Drug Coated Balloon (DCB) ± Stent Bare Metal Stent (BMS).

Questa recente metanalisi3, infatti, ha dimostrato il vantaggio dei DCB sia in termini di pervietà primaria sia in termine di TLR (Rivascolarizzazione della lesione Target) a breve (< 1 anno), medio (1-2 anni) e lungo termine di follow-up (> 2 anni). Inoltre, ha confermato nessun vantaggio di Drug Eluting Stent (DES) sia in termini di pervietà primaria sia in termine di TLR (Rivascolarizzazione della lesione Target) rispetto ai BMS.

Queste evidenze sono ampiamente diffuse e accettate nella pratica clinica. L’utilizzo di questi materiali (DCB ± BMS) consente di trattare un’ampia varietà di lesioni anatomiche che generalmente rientrano nell’ambito delle lesioni A e B della classificazione TASC.

Tuttavia, sempre più spesso, soprattutto nell’ambito dell’ischemia critica, ci troviamo ad affrontare lesioni complesse ed estese (TASC C e D). Per tale motivo, l’evoluzione tecnica e tecnologica ha ampliato la disponibilità di materiali endovascolari per le ricanalizzazioni, consentendo un trattamento endovascolare anche in caso di lesioni che precedentemente venivano indirizzate a chirurgia open.

Tra questi materiali, possiamo descrivere: Sistemi di rientro, IVUS, Nitinol Constraining Balloon, Cutting Balloon, Scoring Balloon, aterotomi.

Per ciò che concerne i sistemi di rientro, esistono in commercio una varietà di materiali (GoBack Re-entry Catheter, OUTBACK Elite Re-entry Catheter, Pioneer Plus IVUS guided Re-entry Catheter). Quest’ultimo è il sistema di rientro che utilizziamo nel nostro Centro. Esso consente, attraverso la sonda IVUS, di scegliere il Target Point per la ricanalizzazione, evitando zone di eccessive/diffuse calcificazioni. Inoltre, consente la corretta identificazione del lume attraverso la visualizzazione del flusso, così da minimizzare il rischio di lesione arteriosa iatrogena.

L’efficacia e i risultati dei sistemi di rientro è stata valutata in questa revisione sistematica della letteratura che ha coinvolto 87 studi e 4665 pazienti4.

L’approccio subintimale (SA) senza dispositivi di rientro è più comunemente utilizzato nella pratica clinica (78,2% vs 21,8%), con tasso di successo tecnico sovrapponibile. Tuttavia, nel 25% dei casi di SA, non si è in grado di ottenere il rientro. Pertanto, l’utilizzo dei sistemi di rientro potrebbe portare a una riduzione del tasso di insuccesso. Nonostante questi dati, l’utilizzo dei sistemi di rientro non è routinario nella pratica clinica a causa di una lunga learning curve e di un costo elevato del dispositivo.

Inoltre, la ricanalizzazione può non essere raggiunta a livello del target point, con possibile occlusione di vasi collaterali.

Per ciò che concerne i Nitinol constraining Balloon, si tratta di catetere a palloncino semi-compliante costretto in una gabbia in nitinolo. Durante il gonfiaggio, il pallone si dilata in modo controllato, riducendo il fenomeno del dog-bone (“osso di cane”), riducendo il rischio di lesioni intimali legate all’iperinflazione. Impedisce o limita la propagazione delle dissezioni, protegge la parete del vaso dalle sollecitazioni di taglio (torsionali) e consente la distribuzione uniforme delle forze radiali e longitudinali.

I palloni costretti da una gabbia in nitinolo sembrano pertanto ridurre il rischio di dissezione e il tasso di bailout stenting.

Come emerge in questa esperienza monocentrica su 81 pazienti (65.6% CTO, con una lunghezza media della lesione di 186.14 ± 82 mm.) il tasso di bailout stenting è stato del 9.5% (10 DES in 8 pazienti), con un tasso di pervietà primaria e libertà da TLR 100% a 30 giorni, rispettivamente. Sono stati osservati 2 TLR a 3 mesi. A 12 mesi di follow-up la pervietà primaria è stata del 98.8% mentre la libertà da TLR è stata del 97,6%. Tuttavia, il costo del materiale rimane elevato (1300 - 1500 €), limitandone l’utilizzo clinico routinario.

Infine, passiamo a parlare dei sistemi di debulking della placca, che determinano un guadagno del lume attraverso la sua rimozione e non attraverso lo spostamento della stessa. Sebbene siano disponibili da più di 20 anni, le indicazioni specifiche per l’uso di questi sistemi rimangono elusive.

Il limite principale al loro utilizzo risiede nella necessità di ricanalizzazione endoluminale (IA) e un filo guida non idrofilico. L’aterectomia è più vantaggiosa quando viene utilizzata in caso di forte calcificazione nel segmento femoro-popliteo, quando si preferisce evitare lo stent, e/o come mezzo di preparazione del vaso prima dell'uso di POBA, DCB, o DES.

Esistono una ampia gamma di dispositivi (SilverHawk, Hawkone, JetStream, Rotablator, Phoenix, Rotarex, Turbo-Elite, Auryon).

In questa esperienza monocentrica5 su 52 pazienti, Phoenix RA è stato in grado di trattare placche con calcificazione da moderata/severa nel 100%. Inoltre, ha permesso di creare un canale di lavoro, migliorando il risultato della PTA/DCB. Esso, tuttavia, rientra solo raramente nella nostra pratica clinica, specialmente in caso di TLR (reintervento), o di ricanalizzazione di stent precedentemente posizionati.

In conclusione, la ricanalizzazione endoluminale rappresenta ancora ad oggi la nostra prima scelta. In questo caso, l’IVUS è uno strumento ormai essenziale per controllare l’effettiva ricanalizzazione endoluminale e per valutare l’efficacia di PTA, DCB, Debulking o Litotrissia EV. Tutti gli strumenti sono efficaci, ma determinano un aumento significativo dei costi e la necessità del loro utilizzo deve essere accuratamente valutata caso per caso.

In caso di ricanalizzazione subintimale, invece, la disponibilità del sistema di rientro permette di aumentare il tasso di successo tecnico. In questi casi l’utilizzo di BMS è più frequente, con l’accortezza di evitare lo “Spot Stenting”, anche per facilitare eventuale Target Vessel Revascularization (TVR).


Dott. Simone Cuozzo, Dipartimento di Chirurgia Generale, Trapianti d’Organo e Specialità Chirurgiche “Paride Stefanini”, Policlinico Umberto I, Roma

Per la corrispondenza: simone.cuozzo89@gmail.com

BIBLIOGRAFIA

  1. Saab F, Jaff MR, Diaz-Sandoval LJ, et al. Chronic Total Occlusion Crossing Approach Based on Plaque Cap Morphology: The CTOP Classification. J Endovasc Ther 2018; 25: 284-91.
  2. Tomoi Y, Takahara M, Kuramitsu S, et al. IVORY Study Investigators. Subintimal Versus Intraluminal Approach for Femoropopliteal Chronic Total Occlusions Treated With Intravascular Ultrasound Guidance. J Am Heart Assoc 2021; 10: e021903.
  3. Koeckerling D, Raguindin PF, Kastrati L, et al. Endovascular revascularization strategies for aortoiliac and femoropopliteal artery disease: a meta-analysis. Eur Heart J 2023; 44: 935-50.
  4. Kokkinidis DG, Katsaros I, Jonnalagadda AK, et al. Use, Safety and Effectiveness of Subintimal Angioplasty and Re-Entry Devices for the Treatment of Femoropopliteal Chronic Total Occlusions: A Systematic Review of 87 Studies and 4.665 Patients. Cardiovasc Revasc Med 2020; 21: 34-45.
  5. Gandini R, Pratesi G, Merolla S, Scaggiante J, Chegai F. A Single-Center Experience With Phoenix Atherectomy System in Patients With Moderate to Heavily Calcified Femoropopliteal Lesions. Cardiovasc Revasc Med 2020; 21: 676-81.