Anno Accademico 2023-2024
Vol. 68, n° 4, Ottobre - Dicembre 2024
ECM: Le arteriopatie del tratto femoro-popliteo: tradizione ed innovazione
21 maggio 2024
ECM: Le arteriopatie del tratto femoro-popliteo: tradizione ed innovazione
21 maggio 2024
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La rivascolarizzazione del tripode femorale (biforcazione dell’arteria femorale comune in femorale superficiale e femorale profonda all’inguine) è tradizionalmente praticata con approccio chirurgico “open” diretto, utilizzando la tecnica dell’endoarteriectomia associata ad angioplastica di allargamento con patch o, meno frequentemente, mediante innesto di protesi tubulare.
Di fatto, pur rappresentando la chirurgia aperta il “gold standard” della rivascolarizzazione in questo distretto anatomico, vi è anche la possibilità di un trattamento mini-invasivo endovascolare, che trova la propria indicazione in situazioni cliniche ed anatomiche limitate e ben definite. Ci si riferisce, in particolare, a quadri locali all’inguine che possono rappresentare una controindicazione (relativa) alla chirurgia diretta, quali l’obesità, una pre-esistente cicatrice chirurgica, un pregresso trattamento radioterapico o situazioni ad alto rischio infettivo.
Altra possibile indicazione per il trattamento endovascolare delle lesioni steno-ostruttive del tripode femorale è rappresentata dal paziente ad altissimo rischio operatorio. Infatti, l’intervento di endoarteriectomia femorale è gravato da un rischio combinato di complicanze e mortalità non trascurabile (fino al 15% dei casi), con un tasso di problemi di ferita riportato nell’8% dei pazienti, soprattutto in età avanzata1. La tecnica endovascolare in questo sottogruppo di pazienti è sicuramente vantaggiosa in termini di morbidità e mortalità perioperatorie, con una degenza postoperatoria significativamente ridotta2-4.
La pervietà primaria della rivascolarizzazione endoluminale dell’arteria femorale comune è assolutamente incoraggiante, con tassi ad un anno dell’85-90%. Elevata è l’incidenza di restenosi (20-30%), con necessità di reintervento in 1 paziente su 52, 3. Di fatto, Deloose e coll. riportano risultati sovrapponibili tra endoarteriectomia femorale e trattamento endovascolare in termini di pervietà primaria ad un anno, con un’incidenza di restenosi significativamente maggiore nel caso di terapia endoluminale di lesioni complesse.
Le linee-guida 2024 della European Society for Vascular Surgery (ESVS) confermano la chirurgia aperta come trattamento di scelta per le lesioni steno-ostruttive del tripode femorale nei pazienti candidabili ad intervento (Raccomandazione n. 60, classe I, livello di evidenza C)5. Nello stesso documento gli Autori descrivono la terapia endovascolare come possibile alternativa alla chirurgia aperta in caso di lesioni non complesse dell’arteria femorale comune che non coinvolgano la biforcazione, in virtù di tassi di pervietà primaria comparabili con l’endoarteriectomia (Raccomandazione n. 61, classe IIb, livello di evidenza B). Il trattamento endovascolare di lesioni che coinvolgono la biforcazione femorale è contemplato come possibilità nei pazienti con inguine “ostile”, in virtù dell’assenza di complicanze di ferita (Raccomandazione n. 62, classe IIb, livello di evidenza C).
Dal punto di vista procedurale, la rivascolarizzazione endoluminale del tripode femorale viene condotta attraverso un accesso percutaneo a livello dell’arteria femorale comune controlaterale o, eventualmente, a livello dell’arto superiore. Le tecniche utilizzate prevedono la semplice angioplastica con palloncino (eventualmente a rilascio di farmaco, per la prevenzione della restenosi, Fig. 1) e l’eventuale impianto di stent autoespandibile. Di fatto, l’utilizzo dello stent rispetto alla sola angioplastica, tradizionalmente sconsigliato in questa regione anatomica, sembrerebbe garantire migliori risultati in termini di pervietà a distanza6.
La presenza di lesioni complesse, in particolare placche calcifiche, rappresenta spesso un’indicazione all’utilizzo di metodiche aggiuntive di “debulking”, quali l’aterectomia e/o, soprattutto, la litotrissia intravascolare7, 8. In caso di lesioni che coinvolgano la biforcazione femorale, è consigliabile eseguire un’angioplastica simultanea dell’arteria femorale superficiale e della profonda con la tecnica del “kissing balloons” (Fig. 2). Dobbiamo, infine, in presenza di estesa malattia aterosclerotica del tratto iliaco-femorale, tenere a mente anche la possibilità di un intervento cosiddetto “ibrido”, combinando un approccio chirurgico diretto al tripode femorale con una ricanalizzazione endovascolare dell’arteria iliaca esterna e del primo tratto dell’arteria femorale comune (Fig. 3a e 3b).
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La copertura farmacologica con doppia antiaggregazione piastrinica (aspirina + clopidogrel) dopo trattamento endovascolare del tripode femorale è generalmente consigliata per almeno un mese. Proprio in considerazione dei non trascurabili tassi di restenosi, è assolutamente mandatorio un follow-up regolare del paziente mediante ecocolordoppler, riservando l’esecuzione di uno studio angioTC ai casi di restenosi emodinamicamente significativa, meritevoli di reintervento.
In conclusione, il trattamento endovascolare del tripode femorale rappresenta un’opzione per casi strettamente selezionati, in quanto non sono ancora disponibili dati di pervietà a lungo termine. L’impiego di stent autoespandibili per l’arteria femorale comune sembrerebbe garantire migliori tassi di pervietà a distanza rispetto alla sola angioplastica. In presenza di lesioni intensamente calcifiche, sono spesso necessarie metodiche aggiuntive quali l’aterectomia e la litotrissia intravascolare.
Dott. Rocco Giudice, Direttore UOC Chirurgia Vascolare, A.O. “S. Giovanni-Addolorata” - Roma
Per la corrispondenza: rgiudice@hsangiovanni.roma.it
BIBLIOGRAFIA