Anno Accademico 2015-2016
Vol. 60, n° 4, Ottobre - Dicembre 2016
Simposio: Il Tromboembolismo venoso e il suo attuale trattamento
07 giugno 2016
Simposio: Il Tromboembolismo venoso e il suo attuale trattamento
07 giugno 2016
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L’approccio clinico al tromboembolismo venoso (TEV), quasi esclusivamente di interesse chirurgico in anni passati, ha visto un progressivo coinvolgimento di altre discipline, quali la medicina interna, l’angiologia medica, la cardiologia e la radiologia interventistica, tanto che oggi diagnosi, indicazioni cliniche e trattamento del TEV e dell’embolia polmonare sono considerate tipicamente in ambito multidisciplinare.
Prevenzione del TEV in chirurgia vascolare
Come è ben noto, la possibilità di una complicanza tromboembolica conseguente ad un intervento chirurgico è un’eventualità meno frequente rispetto al passato, come effetto della profilassi antitrombotica con eparine a basso peso molecolare (EBPM), comunemente impiegata in clinica da molti anni. Attualmente nei reparti di chirurgia vascolare, a dispetto di alcuni dati di letteratura, che riportavano un’incidenza di TEV variabile dal 5 al 10% dopo correzione chirurgica o endovascolare di aneurisma aortico1, una trombosi venosa profonda si manifesta raramente (0.52% in 384 pazienti trattati per aneurisma aortico nella nostra esperienza), in rapporto all’efficacia della profilassi farmacologica ed all’attenzione ad una mobilizzazione precoce postoperatoria.
Trattamento del TEV
L’efficacia delle terapia anticoaugulante e fibrinolitica per il TEV conclamato (eparina sodica, EBPM, nuovi anticoaugulanti orali, fibrinolitici) ha certamente ridimensionato il ruolo del chirurgo nel trattamento delle trombosi venose, anche se, nella pratica corrente, emergono ancora alcune criticità che coinvolgono inevitabilmente gli interessi della chirurgia. In particolare, quando si analizzano i dati di letteratura più moderni, si evince che l’attuale terapia anticoaugulante, pur essendo efficace in acuto nella maggior parte dei pazienti, non è sempre in grado di risolvere in maniera definitiva il TEV, dal quale possono risultare eventi clinici a lungo termine, quali le recidive a distanza (24 – 30% a 8 anni) e l’insorgenza di una sindrome post-trombotica moderata/severa (incidenza 9 -21% a 16 mesi)2. Tali sequele sono secondarie, oltre che ai ben noti fattori di rischio (obesità, immobilizzazione, assenza di contenzione elastica, trombofilia, scarsa aderenza alla terapia anticoaugulante), alla persistenza completa o incompleta di un significativo residuo trombotico, resistente alla terapia convenzionale3. Per tale motivo è stata proposta una nuova strategia di trattamento del trombo in fase iniziale, capace di influire positivamente sulla prognosi a distanza.
Tra gli approcci alternativi al trattamento convenzionale del TEV, l’impiego delle tecniche di fibrinolisi loco-regionale, in associazione o meno a procedure di stenting venoso, anche se non pienamente validato dalle linee guida, offre una importante possibilità di risoluzione dell’evento trombotico, particolarmente attrattiva nei pazienti giovani ed attivi. Il CaVenT Study (Catheter-Directed Venous Thrombolysis in Acute Iliofemoral Vein Thrombosis) ha dimostrato che con la fibrinolisi locoregionale è possibile ottenere una significativa riduzione delle ricorrenze a distanza e dell’insorgenza di sindrome post-trombotica, senza i rischi emorragici correlati alla trombolisi sistemica4, 5. In questo senso, l’associazione di una trombectomia chirurgica, come proposto da Schwartzback e Holper6,7 o di una fibrinolisi farmaco-meccanica con tecnica endovascolare8, può essere considerata un ulteriore miglioramento terapeutico, nell’ottica di eliminare qualsiasi trombo residuo. Queste ultime metodologie sono in corso di validazione per mezzo dell’ATTRACT Study, trial randomizzato di confronto tra trombolisi farmaco-meccanica e terapia abituale9, di cui si attendono i risultati. Altro importante passo verso l’ottimizzazione terapeutica è il concetto del rimodellamento dell’asse venoso mediante stenting, dopo la disostruzione farmaco-meccanica, la cui validità emerge da i lavori più recenti in letteratura, che dimostrano una superba pervietà a lungo termine con importanti benefici clinici6, 7, 8, 10.
Filtri cavali
Il filtro cavale è un’arma in più nel trattamento del TEV, che ha completamento sostituito l’intervento chirurgico di legatura della vena cava inferiore e che fondamentalmente risulta indicato per quei pazienti affetti da trombosi venosa ed embolia polmonare conseguente, che non possono seguire una terapia anticoaugulante oppure nei casi di inefficacia dimostrata della stessa.
Anche se le attuali linee guida sull’uso del filtro cavale sono piuttosto restrittive, esistono diverse situazioni nel cosiddetto “Real World” che ne suggeriscono l’impiego, peraltro agevolato dal miglioramento tecnologico dei device (bassa invasività dell’accesso vascolare, possibilità di rimozione). Clinicamente le maggiori indicazioni da considerare:
- Controindicazione a terapia anticoaugulante
- Fallimento della terapia anticoaugulante
- Trauma maggiore
- Procedura chirurgica a rischio di TEV per tipologia
- Procedura chirurgica maggiore con storia di TEV
Il filtro cavale, almeno nella sua accezione più classica appare come un ombrellino senza tela, che esercita un potere filtrante massimo all’apice e minimo alla base, con mantenimento del flusso cavale.
L’efficacia preventiva nei confronti dell’embolia polmonare del filtro cavale è stata dimostrata dal PREPIC Study11, in cui viene altresì segnalata l’importanza di associare una terapia anticoaugulante sistemica per migliorarne la “performance” e ridurre le complicanze locali, quali la trombosi dell’accesso (fino al 36% dei casi) e la trombosi cavale (fino all’11% dei casi)12. La migrazione è fortunatamente una eventualità più rara (1.5%)13. Viste le possibili conseguenze legate alla presenza di un filtro cavale, soprattutto nei pazienti con inabilità temporanea all’anticoaugulazione, attualmente si preferisce impiantare filtri rimuovibili nella maggior parte dei casi, in maniera che, quando è possibile la reintroduzione della terapia antitrombotica, essi possano essere rimossi (generalmente entro 4-6 settimane).
BIBLIOGRAFIA