Anno Accademico 2016-2017
Vol. 61, n° 1, Gennaio - Marzo 2017
Conferenza: Storie nobili e meno nobili di Premi Nobel
13 dicembre 2016
Conferenza: Storie nobili e meno nobili di Premi Nobel
13 dicembre 2016
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In un suo vecchio libro, al quale forse sento di dovere ancora - dopo oltre sessanta anni - la mia prima emozione per la medicina, “Cacciatori di microbi”1, Paul de Kruif, narrando con il suo modo molto divulgativo una delle vicende di cui mi occuperò qui, scrive che “i cacciatori di microbi” (intendendo con questo termine gli scienziati in genere) “sono uomini come tutti noi”, nel senso che anche essi hanno, come tutti, delle umane debolezze. Leggendo quanto segue, tenerlo presente non sarà male.
Chiunque si confronti oggi con un atteggiamento “scientifico” dovrebbe sempre tener presente che “è possibile e addirittura necessario realizzare che la nostra immagine del mondo può essere errata”2 e che è possibile interpretare (o vedere) diversamente quello che fino ad un certo momento abbiamo interpretato (e visto) in un certo modo. Come spesso, l’arte ha preceduto altre manifestazioni umane in questa visione: sono molto note le “costruzioni” di Mauritz Cornelis Eschera che si possono spesso interpretare (“vedere”) in vari modi, ma mai in due modi contemporaneamente; è anche molto nota quella che va sotto il nome di “rabbit-duck illusion”, che inizialmente è fatta risalire a una vignetta apparsa alla fine del XIX su una rivista tedescab, ma che poi è stata accolta anche da Wittgenstein3 proprio come esempio di come lo stesso “fatto” possa essere visto in modi completamente diversi. Dal punto di vista filosofico ciò si è affermato, soprattutto nella seconda metà del secolo scorso, con due filosofi della scienza (spesso critici tra loro): da un lato Karl Popper, con il suo “criterio di falsicabilità”4, 5 (per cui l’osservazione di un numero qualsiasi, ma finito, di osservazioni non può mai giustificare con un processo induttivo la formulazione di una legge universale, potenzialmente valida per un numero infinito di casi); e dall’altro Thomas Kuhn6, con la sua “teoria del paradigma”, per cui la “scienza” si trova, per periodi più o meno lunghi, in un certo senso “prigioniera” di se stessa - cioè di quanto è ammesso in un determinato momento, insieme che Kuhn indica proprio col termine “paradigma” - ed è solo perché a poco a poco si accumulano “fatti” incompatibili con quanto è noto (fatti che inizialmente vengono di solito attribuiti ad “errori” interpretativi e che vengono spesso fatti pesare negativamente su chi li ha notati) che si passa poi ad un altro “paradigma” interpretativo che accoglie, inglobandole, le nuove osservazionic. Per concludere questo forse troppo lungo paragrafo introduttivo (senza il quale però quanto segue potrebbe forse indurre a considerazioni troppo pessimiste) vorrei accennare alla necessità - ben nota- che uno “spirito critico” sovraintenda sempre a quella che è l’osservazione, anche di elementi all’apparenza indiscutibili. Per fare un esempio che sembra estremamente attinente al mio tema, è reperibile su Internetd una lettera (Fig. 1) in cui l’Università di Berna, nellapersona del decano della Facoltà di Scienze, il prof. W. Heinrich PhD, fa presente nel 1907 all’allora non famosissimo ma già noto Einstein che non può essere accettato come “Professore Associato” in quanto le sue idee sulla natura della luce e i suoi concetti di spazio e tempo appaiono, oltre che alquanto radicali, più attinenti all’arte che non alla fisica. La lettera pare una conferma di quanto tra breve dirò circa alcuni possibili, ma piuttosto marchiani, errori di valutazione; ma una appena attenta valutazione del “documento” ne svela la falsità (la lettera - inviata da una Università della Svizzera tedesca ad un tedesco - Einstein era nato a Ulm - è scritta in inglese; compare nella intestazione un “numero di codice” che al tempo -1907- era assolutamente sconosciuto; il timbro apposto è apocrifo; non esisteva nel 1907 alcuna facoltà di scienze a Berna, le scienze essendo allora incluse nella Facoltà di Filosofia, e infine, come ciliegina, nel foglio compare in alto a destra una sorta di francobollo che, se mai, sarebbe stato applicato sulla busta e che comunque è facilmente identificabile con una parte di una famosa fotografia di Einstein anziano; l’unico dato “vero” è che Einstein fu accettato a Berna nel 1908 e non nel 1907)e.
Fig. 1: La presunta lettera di rifiuto a Einstein, del 1907,v. testo e nota e
Conviene allora citare subito quanto uno dei protagonisti, come si vedrà, del mio discorso, scrisse nel 1980, molti anni dopo la vicenda per cui verrà qui citato: “Un modo per stimolare la ricerca verso la verità è quello di opporsi alle posizioni dogmatiche. Si creerà così una attitudine aperta alla incredulità e ad una rapida confutazione e se le nuove idee contengono veramente un granello di verità o comunque attivano altri verso la verità, allora il nostro obbiettivo di scienziati viene adempiuto”8. Non è proprio quello che si è a volte verificato.
Al contrario di quella appena vista, è del tutto autentica la lettera, datata 14 giugno 1937f, che il dottor Hans Adolf Krebs ricevette dalla rivista Nature alla quale aveva inviato, insieme al suo collaboratore Arthur Johnson, un suo lavoro sul ruolo dell’acido citrico nel metabolismo intermedio dei tessuti animali; nella lettera ci si dichiarava spiacenti di non poter pubblicare i dati per il gran numero di lavori in attesa. Krebs, che non era certo l’ultimo arrivato (si era laureato a Berlino a 25 anni, aveva lavorato col famoso Otto Warburg al Kaiser Wilhelm Institute ed aveva già al suo attivo una cinquantina di pubblicazioni) era poi riuscito a far veder la luce allo studio in una rivista10 di minore (si direbbe oggi) “impact factor” e per esso ricevette 16 anni dopo, nel 1953, il premio Nobel e in vecchiaia11 ricordava l’episodio con bonomia. L’episodio non è unico: nel 1955 Solomon Berson e Rosalind Yalow inviarono al J. Clin. Invest. il loro lavoro12 che non solo descriveva le basi per tutti i futuri saggi RIA, ma determinava un’epocale mutazione nelle concezioni sul diabete e induceva, come è stato poi riconosciuto13, una vera e propria rivoluzione in biologia e in medicina. Il lavoro venne a lungo rifiutato, per il parere dei peer reviewers avallatog da quello dell’Editor-in chief, secondo cui esso, tra l’altro, andava contro la “legge immunologica” per la quale una molecola “piccola” come quella dell’insulina, non poteva avere proprietà antigeniche. Con una sorta di amaro vezzo, la Yalow che per quel lavoro ricevette il Nobel nel 1977 (Berson nel frattempo però era morto), mostrava in ogni possibile occasione, in seguito, la lettera incriminata e faceva notare che se scoprire che l’insulina spariva più rapidamente da alcuni pazienti diabetici rispetto a quanto accadeva in altri era stato, in fondo, quasi un colpo di fortuna, l’interpretazione che lei e Berson avevano dato dell’osservazione non era stata affatto casuale, ma estremamente creativa; ed era proprio la mancanza di creatività nella lettura del lavoro che aveva portato l’editor e i revisori a rifiutare il lavoro: ricavare dalla quantità di insulina marcata iniettata quella di insulina naturale che era stata spostata dal suo legame con la proteina appariva un po’ (potremmo aggiungere) come vedere gli angeli in luogo dei diavoletti (o viceversa) in uno dei disegni di Escher. Non diversa sorte toccò nel 1948 a un allora oscuro farmacologo dell’Università di Georgia, Raymond Ahlquist, nel cui studio14 in cui per la prima volta si parlava di recettori alfa e beta; il lavoro venne senza discussione rimandato al mittente dalla più importante rivista di farmacologia (il J. Pharmacol. Exptl. Therap.), la quale osservò che “certamente i metodi impiegati nello studio sono accurati e precisi, ma l’interpretazione dei dati è inaccettabile dato che va contro quella che è considerata una legge della fisiologia” (si trattava evidentemente della cosiddetta “legge di Cannon and Rosenblueth” secondo la quale si avevano due neurotrasmettitori, la “simpatina I” e la “simpatina E” e non due recettori diversi nello stesso organo15. Solo per l’amicizia del fisiologo della sua università, William F. Hamilton, che dirigeva il J. of Physiology il lavoro vi poté apparire14, ma in pratica nessuno lo notò per lunghi anni, fino a che, intorno al 1960 ebbe in pochissimo tempo oltre tremila citazioni, aprendo la via al Nobel assegnato nel 1988 a Sir James Black16 “per la sua scoperta di farmaci betabloccanti”. Casi analoghi si ripetono con regolarità, come ha mostrato pochi anni fa17, 18 un fisico spagnolo, Juan Miguel Campanario, che ha studiato a fondo il problema delle difficoltà che anche articoli successivamente indicati come fondamentali e che magari hanno ottenuto riconoscimenti prestigiosi, all’inizio hanno sperimentato grandi problemi nell’essere accettati dalla comunità scientifica. Egli ha raccolto numerosi altri esempi nel settore. Così17, 18 molte difficoltà erano state incontrate da Robert Furchgott nella pubblicazione dei suoi dati sul rilassamento della muscolatura liscia endotelio-dipendente (premio Nobel nel 1988); il lavoro iniziale sulla risonanza magnetica nucleare che avrebbe contribuito al premio Nobel assegnato nel 2003 a Paul C. Lauterbur era stato rifiutato da Nature che lo aveva poi pubblicato nel 1973 dopo accese proteste; Baruch Blumberg si vide rifiutare il lavoro nel quale si identificava l’antigene Australia perché, secondo il revisore, si trattava soltanto di un altro dei “candidate virus” che venivano periodicamente e frequentemente proposti (il lavoro che poi fu premiato col Nobel nel 1976, fu pubblicato solo dopo una profonda revisione e una notevole riduzione). Il lavoro di Louis Ignarro sul ruolo cruciale del NO nei processi vitali fu, come narra Olney19, rifiutato più volte prima di indurre una enorme valanga di studi tra cui quelli che hanno portato al viagra. Addirittura il manoscritto di Sir Frank MacFarlane Burnet che riferiva i dati sulla risposta anticorpale- uno studio che ha iniziato la moderna immunologia e ovviamente onorato del Nobel nel 1960- fu rifiutato con la motivazione che “mancava di una adeguata base sperimentale” e i dati vennero poi pubblicati in una monografia non soggetta a revisione18-20. Considerazioni aneddotiche di questo tipo potrebbero ripetersi per molti altri casi, dalle considerazioni teoriche che portarono alla tomografia computerizzata21 ai prioni di Prusiner22 .
Accanto a dei Nobel rifiutati, almeno in un primo tempo, ci sono anche dei Nobel assegnati un poco frettolosamente. Nel 1926 il prestigioso premio fu assegnato (due anni prima della sua morte) a Johannes Fibiger, un danese che aveva studiato in Germania con Robert Koch e Emil von Behring e che era unanimemente considerato un ricercatore scrupoloso e rispettato. In parecchi studi iniziati nel 1907 e culminati nel 1919 Fibiger aveva sostenuto23 che il carcinoma dello stomaco era provocato da un nematode, un verme che aveva riscontrato presente nei tumori e che aveva ricevuto il nome, molto indicativo, di Spiroptera carcinoma, poi meglio identificato come Gongylonema neoplasticum. Anche se non mancavano, già al momento, notevoli critiche al lavoro di Fibiger, gli esperti del Comitato per il Nobel non ebbero esitazioni nell’esprimere in termini estremamente eloquenti la loro grande e quasi infinita ammirazione per gli studi di Fibiger; uno di essi24 non esita a dichiarare che “a suo giudizio, il lavoro di Fibiger costituisce il maggior contributo della nostra generazione alla medicina sperimentale”; e un altro aggiunge che “si tratta senza alcun dubbio di una scoperta di indiscutibile importanza”. Ci vollero da 10 a 26 anni e numerosi altri studi25, 26 per stabilire che Fibiger era in errore, ma soprattutto per mostrare come egli - sebbene fosse un reputato anatomopatologo - avesse scambiato una semplice iperplasia dello stomaco per una degenerazione neoplastica e una analoga metaplasia polmonare come formazione metastatica derivata dal supposto cancro gastrico. Naturalmente le tecniche istologiche, le metodologie sperimentali, le conoscenze in tema di nutrizione che erano proprie del tempo di Fibiger possono aver contribuito alle erronee conclusioni che vennero tratte non solo da lui, ma anche dal Comitato per il Nobel, nel quale però, come hanno di recente rilevato Stolt et al.27, alcuni membri, come il professor F. Henschen, “furono forse un pochino poco critici a causa della loro amicizia con Fibiger” e anche se altri, come Bergstrandt, erano assolutamente contrari, questi ultimi “persero la loro battaglia”. Molti anni dopo, nel 2005, il Nobel fu assegnato a due ricercatori australiani, Robin Warren e Barry Marshall per aver individuato più di venti anni prima il ruolo fondamentale di un batterio, inizialmente non identificato e poi denominato Helicobacter pylori, nella gastrite e nell’ulcera peptica28, 29. Anche in questo caso, come ha ricordato Warren nella sua “Nobel Lecture”30, un qualche ruolo fu svolto dal casoh: le piastre con il germe furono lasciate sul banco di lavoro più a lungo del normale a causa delle vacanze pasquali (l’Helicobacter ha un lungo tempo di sviluppo) e i due autori erano in buoni rapporti con Martin Skirrow, un noto microbiologo inglese nello stesso settore, il che permise dopo un po’ di tempo di superare le difficoltà che il Lancet aveva trovato nel reperire dei rewievers favorevoli alla pubblicazione dei dati (il lavoro era stato in un primo momento rifiutato dalla Australian Gastroenteroly Society).
Un Nobel aggiudicato all’unanimità, sia pure un poco frettolosamente - come vedremo - fu quello che aveva premiato nel 1923 due canadesi dell’Università di Toronto (Frederick Grant Banting e John James Richard Macleod) per la scoperta dell’insulina, l’ormone antidiabetico la cui importanza nella terapia di questa gravissima e diffusissima malattia non poteva essere certo messa in discussione. La figura 2 riporta le prime pagine dei primi due lavori31, 32 fondamentali, e va notato che in essi non appare il nome di Macleod, che pure era il capo del dipartimento di fisiologia in cui gli studi erano stati compiuti, il che indica già di per sé che l’atmosfera che aleggiava tra i componenti del gruppo non era delle migliori.
Fig. 2: Le prime pagine dei due primi lavori27, 28 del gruppo canadese sull’insulina
Riassumiamo in una tabella (tabella 1) le vicende relative alla fondamentale scoperta. I fatti salienti sono: Banting non perdonò mai a Macleod (che indicava come “Herr Geheimrat”i) di avergli “tolto la scena” nella prima esposizione delle ricerche davanti alla American Physiological Society alla fine del 1921 né il fatto di non essere presente fisicamente alla riunione del maggio dell’anno successivo, in cui Macleod ebbe una “standing ovation” per l’annuncio dell’insulina; inoltre protesterà violentemente per aver dovuto dividere il premio assegnatogli proprio con Macleod, al quale il Comitato del Nobel riconosce un ruolo essenziale nella scoperta, che Banting invece gli disconosce (in effetti inizialmente Macleod era stato molto scettico sul piano di indagini, ma poi vi aveva contribuito con elementi “vitali”34), e così via. Best da parte sua, dopo la tragica e improvvisa morte di Banting in un incidente aereo durante la II guerra mondiale, per molti anni portò avanti una sua personale versione delle vicende che avevano portato alla scoperta, al punto che negli anni tra il 1940 e il 1970 quasi nessuno negli ambienti medici (e anche, ad esempio, nella enciclopedia canadese36) ricordava il nome di Macleod; Sir Henri Dale, tra l’altro prima segretario e poi presidente della Royal Society londinese, nel 1961 scriveva a Best che: ”Nessuno oggi pensa che Macleod abbia avuto una qualche parte nella scoperta dell’insulina”34. L’altro fondamentale componente del gruppo di Toronto, il biochimico Collip, si rifiutò sempre di commentare le vicende degli anni ’20, dicendo agli amici che la verità sarebbe emersa solo dopo la morte di tutti gli interessati. In effetti nel 1978 fu pubblicata, ovviamente postuma, la versione di Macleod (il quale era morto nel 1935 dopo aver lasciato Toronto anni prima), versione che fino allora rimasta celata tra le carte di Collip, ed essa dette inizio a una revisione radicale della storia37.
Tab. 1 (Dati fondamentalmente da Bliss27, 28)
8 nov 1920 | Macleod, uno scozzese professore di fisiologia a Toronto, incontra per la prima volta Banting. | |
17 mag 1921 | Macleod assegna per caso (forse con il lancio di una monetina) Best, uno studente, come assistente a Banting. Egli, inizialmente scettico, dà consigli su come avviare e condurre il progetto, su come ottenere l’estratto attivo, su come evitare errori dovuti all’inesperienza dei due, su come ottenere prove cliniche e così via. | |
Vacanze di Natale 1921 | L’Am. Physiol. Soc. invita Macleod a riferire sui dati disponibili. Macleod manda a parlare Banting e si limita a presiedere la seduta. Sono presenti i più noti cultori del diabete, da Joslin ad Allen a Kleiner e a Clowes, capo ricerche Lilly. Banting espone i dati, ma davanti alle critiche si confonde e Macleod prende le redini della situazione, convincendo soprattutto Clowes; Banting se la prende affermando che «Herr Geheimrat» (Sua Maestà il professore) gli ha tolto il suo attimo di gloria, si è appropriato dei dati e gli sta rubando il lavoro. | |
11 gen 1922 | Leonard Thompson (LT) di 14 anni, diabetico, riceve un estratto pancreatico, ma i risultati non sono soddisfacenti. | |
Gen 1922 | Collip dice a Banting che l’estratto da lui ottenuto è attivo nell’uomo, ma si rifiuta di fornirgli i dettagli della purificazione. I due vengono alle mani e sono separati da Best. Il nuovo estratto, somministrato a LT il 23 gen anche ad altri 6 malati, funziona. | |
Feb 1922 | Escono due lavori, uno31 ad opera ad opera di Banting, Best e l’altro32 con i nomi di Banting, Best, Collip et al. (i clinici coinvolti, ma non Macleod). | |
3 mag 1922 | Macleod legge a Washington davanti alla Am. Ass. Physicians il lavoro sul controllo metabolico del diabete ad opera della «insulina» (in precedenza «isletina») ottenendo una standing ovation. Banting e Best sono assenti, ma il loro nome appare, con quello di altri, nella pubblicazione relativa.32 | |
Nov 1922 | August Krogh (Premio Nobel 1920) visita Toronto in vista di un coinvolgimento del gruppo canadese per un Nobel (la moglie di Krogh è diabetica, egli si fa dare la sostanza, ne importa la tecnologia in Danimarca dove fonderà con Hagedorn la Nordisk Insulin Company). | |
Primi del 1923 | Krogh, insieme ad altri, propone Banting e Macleod per il premio Nobel. | |
25 ott 1923 | Banting e Macleod si divideranno il Premio Nobel per la Medicina loro assegnato. Il Comitato del Nobel ritiene che Banting non avrebbe ottenuto i risultati che ha ottenuto senza il contributo di Macleod. Banting, rifiutandosi di avere Macleod come «co-winner» annuncia di dividere la sua metà con Best. Macleod annuncia che dividerà la sua metà con Collip. | |
1928 | Macleod lascia Toronto a va a Aberdeen. Parla di una «situazione estremamente difficile .. di molestie indescrivibili». Gli succede, a 29 anni, Best. Banting (che ha già il suo Istituto) non va alla cena di addio («una sedia vuota mi sostituirà»). | |
1932 | Best scrive a Joslin lamentando di non essere stato invitato per i festeggiamenti per il decimo anniversario della scoperta. | |
1940 | (Macleod è morto da 5 anni, nel 1935). Banting scrive di lui come «dell’uomo più egoista mai conosciuto, inaffidabile, senza verità, poco scrupoloso, codardo, un debole in agguato»; Best era stato «un aiuto occasionale». | |
21 feb 1941 | Muore Banting in un incidente aereo a Terranova. | |
1946-1978 | Best, con l’aiuto di parecchi amici tra cui Sir Henri Dale riscrive la storia della scoperta dell’insulina attribuendosene il massimo merito. | |
1940-1960 | Si celebrano i 90 anni della scoperta dell’insulina e l’Università di Toronto e tutto il Canada arrivano alla conclusione che tale evento si deve alla collaborazione in vari gradi dei «4 Moschettieri». Anche l’ultimo degli studenti di Best si dice d’accordo. | |
2012 | Si celebrano i 90 anni della scoperta dell’insulina e l’Università di Toronto e tutto il Canada arrivano alla conclusione che tale evento si deve alla collaborazione in vari gradi dei «4 Moschettieri». Anche l’ultimo degli studenti di Best si dice d’accordo. |
La quale storia in realtà presenta ancora alcuni lati non del tutto chiari. A parte le quasi ovvie dichiarazioni di vari studiosi che, all’annuncio del 1922, rivendicavano una qualche priorità nella stessaj, continua ancora oggi quello che si potrebbe indicare come “il caso Paulescu”. La successione degli eventi in questo caso è riassunta nella tabella 2, ma va detto che le polemiche al riguardo, che hanno compreso anche aspetti controversi della vita di Paulescu, non si possono purtroppo ancora considerare affatto concluse48-50.
Tab. 2 Evoluzione del “caso Paulescu” Fondamentalmente sulla base dei lavori di de Leiva et al.33,34
1920 | Nel trattato pubblicato insieme al francese E. Lancereux Nicolae Paulescu pubblica39 una “Descrizione dettagliata degli effetti di estratti di pancreas nel cane privato dell’organo”. |
1921: 21 apr 19 mag 23 giu 23 lug C.R Soc. Biol. Accettato 1921, 22 giu Pubblicato. 1921, 31 ago | Dopo varie comunicazioni in Romania (date accanto), Paulescu pubblica su Arch. Intern. Physiol.: «Recherche sur le role du pancréas dans l’assimilation nutritive»40. Sono riferiti parecchi esperimenti in cui si dimostrano gli effetti ipoglicemizzanti dell’estratto pancreatico, la riduzione della glicosuria e della chetonuria nell’animale privato dell’organo e l’induzione di ipoglicemia nell’animale normale. Nell’uomo l’estratto induce effetti simili solo per via parenterale, ed effetti collaterali non gravi. Denomina “pancreina” l’estratto e fa in Romania domanda di brevetto, che gli viene concesso il 10 apr. 1922 col n. 6254. |
5 feb 1922 | Esce il primo articolo di Banting e Best. |
5 feb 1923 | Paulescu scrive a Banting allegandogli il suo lavoro del 1921; la lettera è pubblicata in37 e si può avere in www.library.utoronto.ca. Banting non risponderà mai. |
30 mag 1922 | L’Univ. di Toronto firma un accordo con la Lilly per la produzione e i diritti in tutte le Americhe dell’”insulina”, termine in realtà già proposto da altri fin dal 1906. |
1921-1934 | Scott e Murlin scrivono riconoscendo la priorità del lavoro di Paulescu. In seguito anche C. Funk, A Sordelli, J.T Lewis, P. Trendelenburgh, W. Trotter riconoscono pubblicamente l’importanza e la priorità del lavoro di Paulescu. |
6 nov 1923 | Paulescu scrive al Presidente del Comitato per il Nobel, protestando perché il gruppo Canadese non ha rispettato i diritti di proprietà intellettuale, accludendo la sua pubblicazione del 1921. La lettera è pubblicata in37 e si può avere in www.library.utoronto.ca. Il Comitato gli risponde inviandogli il libretto sui Premi Nobel del 1923 con il discorso di Sjoquist che cita l’articolo canadese del 1922. |
1931, 17 lugl | Paulescu muore, ma insiste che «Ils n’ont fait que répéter ce que j’avais bien dit avant eux….» «Sono stato sempre convinto che la data di pubblicazione protegge lo scienziato da ogni ingiustizia… devo ammettere che mi sono sbagliato … certamente non posso accettare un fatto estremamente odioso, quale quello del furto di una proprietà scientifica che appartiene ad altri…».41 |
1969 | Un diabetologo di Glasgow, Ian Murray, fa riemergere la vicenda. Un diabetologo Rumeno (Pavel) scrive all’unico sopravvissuto, Best, facendogli notare che nel lavoro canadese del 1922 la citazione dei dati di Paulescu è presente, ma è citata male nelle conclusioni. |
15 ott 1969 | Best risponde a Pavel (la lettera è parzialmente pubblicata in37), trincerandosi dietro i 45 e passa anni trascorsi, ma ammettendo che avendo letto il lavoro di Paulescu in francese, lui e i suoi possono averlo male interpretato (in realtà lo citano come un lavoro negativo, laddove Paulescu ovviamente scrive l’opposto) |
11 nov 1969 | Murray scrive a Pavel: «It is satisfactory to have his (Best’s) admission that they were so wrong in their reference to Paulescu’s work. The explanation of their error, however, seems to me somewhat naïve’’ |
1969 ott | Pavel scrive a Arne Tiselius, direttore dell’Istituto per il premio Nobel accludendogli la lettera di Best e chiedendo che sia fatta giustizia. La lettera è pubblicata in37. |
Dic 1969 | Tiselius risponde, ammettendo che Paulescu meritava il Nobel, ma che, mancando a suo tempo di qualunque «nomination», che c’era invece per Banting e Macleod, il Comitato era esente da colpe; e oltre tutto, in definitiva, ciò che è stato è stato e non ci si può far niente. |
1970 | Al VII Congresso della IDF viene creato, su richiesta dei Rumeni, un Comitato per chiarire i termini della «scoperta» dell’insulina. Il parere del comitato è contrario a Paulescu, ma alcuni nomi dei componenti (Young, Haist) vengono contestati perché in contatto stretto con Best. |
1971 | Martin42e Murray43 scrivono che “quando il gruppo di Toronto aveva appena iniziato il suo lavoro, Paulescu aveva già ottenuto il suo ormone antidiabetico pancreatico e provato la sua efficacia ipoglicemica”. |
1972 | Rolf Luft44 descrive Macleod come colui che fece entrare la Lilly nell’affare dell’insulina e [cit. in Wade N. Nobel follies. Science. 1981;211:1404] dichiara che l’assegnazione del Nobel ai due Canadesi è stato il peggior errore che il Comitato abbia mai fatto. M. Bliss32 va ancora oltre e scrive di “unethical exercise in falsification which verges on scientific fraud”. |
2001 | L’Accademia di Romania elegge Paulescu a suo membro e pone una sua statua nella facoltà di Medicina, alla presenza di Sir John Alberti, Presidente della IDF. |
2002 | La IDF e la EASD organizzano alcuni eventi per ricordare Paulescu e una cerimonia il 27 agosto 2003 a Parigi per la consegna del «Paulescu international prize». Per problemi politici la riunione viene poi annullata tra le veementi proteste rumene. |
2005, 8 set | A Delfi si tiene un convegno della EASD in cui alcuni esperti affermano che «that international organizations had ignored the scientific merits of Paulescu, which should be recognized”. |
Dei tre neuropsichiatri finora insigniti del premio Nobel (Wagner-Jauregg nel 1927, Egas Moniz nel 1949 e Eric Kandel nel 2000) i primi due hanno suscitato qualche perplessità. Julius Wagner-Jauregg venne premiato per il suo metodo di cura della paralisi progressiva, affezione al suo tempo piuttosto frequente come stadio terminale della sifilide e considerata in pratica senza alcuna possibilità di intervento. Basandosi su una letteratura che risaliva fino a Ippocrate e a Galeno, ma che aveva riscontri anche molto più recenti, letteratura che in definitiva faceva pensare che le condizioni mentali dei malati, quasi sempre rinchiusi negli “asylum”, migliorassero durante o in conseguenza di affezioni febbrili importanti (dal tifo al colera alla tisi), Wagner-Jauregg induceva nei suoi malati accessi febbrili provocando in loro la malaria terzana (che poi a sua volta veniva curata con i rimedi allora disponibili, dal chinino ai preparati sperimentali che i ricercatori della Bayer (segnatamente Schulemann e Rohel, come citato da Sneader51) gli mettevano a disposizione e che portarono alla plasmochina. La prima nomination per il Nobel a Wagner-Jauregg è del 1924, ma si levarono molte voci contrarie (tra cui in particolare, come riferito da Withrow52, quella dello svedese Bror Gadelius, che non esitò a dichiarare che “un medico che inietta la malaria in un paziente affetto da paralisi progressiva ai miei occhi è un criminale”), al punto che per l’assegnazione del premio si dovette aspettare che lo svedese andasse in pensione e nessuno prima degli anni ’30 si pose, anche per il fatto che la malattia era in pratica priva di qualsivoglia altro mezzo terapeutico, il problema etico di un tale trattamento. La cosa non deve meravigliare poi troppo se si considera che negli anni immediatamente successivi alla scoperta della infezione da HIV53, 54 ci fu chi propose di impiegare la malario-terapia in quei malati e ancor più recentemente la stessa proposta ha riguardato i soggetti affetti da lyme disease55; a questo riguardo, ovviamente data l’epoca alquanto diversa, non sono mancati autori – brasiliani -56 che non solo hanno sollevato il tema etico connesso a tali “trattamenti”, ma hanno fatto notare che spesso gli ideatori sono “occidentali”55 e i pazienti di etnie sovente diverse52, 54.
L’altro Nobel neuropsichiatra premio Nobel è il portoghese Egas Moniz, che lo ricevette nel 1949 per, come recita la motivazione: “ his discovery of the therapeutic value of leucotomy in certain psychoses”; in realtà, Moniz era nel suo Paese, ma non solo, considerato un personaggio eminente; era stato tra l’altro uomo politico e ambasciatore in Francia e in campo medico aveva introdotto, fin dal 1931e per primo, l’angiografia cerebrale57, una innovazione che forse poteva motivare il Premio meglio di quella per cui gli fu conferito e che suscitò anch’essa (come altre già menzionate) molte polemiche, anche recenti58, k) le cui eco si trovano, come si sa, anche in letteratura: il racconto di Tennesse Williams (“Improvvisamente l’estate scorsa”) da cui fu tratto un celebre film con Liz Taylor; quello di Ken Kesey (“Qualcuno volò sul nido del cuculo”, Pulitzer 1962) con il conseguente film con Jack Nicholson; e anche “Frances”, il film di Graeme Clifford sulla vita dell’attrice Frances Farmer che nel 1982 (dodici anni dopo la morte di costei) fruttò una nomination all’Oscar (il Nobel dei film) a Jessica Lange ne sono esempi famosi, anche per le conseguenze non raramente devastanti indotte dalla pratica. Tra i pazienti che furono assoggettati all’intervento (che fu ben più diffuso e praticato di quanto non si pensi59 furono la sorella, Rosemary, di John Fitzgerald Kennedy, la cui tormentata vita conclusasi solo nel 2005 è stata raccontata di recente in un libro60 e, negli ultimi tempi di vita (come hanno sostenuto alcuni neurochirurghi61), Evita Peron.
Prima di concludere con l’ultimo degli episodi controversi del Nobel (ma molti altri se ne possono trovare, anche in settori diversi dalla medicinal) un pensiero: Ignazio Semmelweis salvò innumerevoli donne intuendo che la febbre puerperale dei suoi tempi era da imputare il più delle volte62, 63 alla scarsa igiene delle mani di medici: e morì in manicomio deriso e fuggito da molti colleghi; qualche premio Nobel successivamente ha goduto, come si è visto, di fama e onori forse non del tutto meritati.
In una rassegna delle diatribe conseguenti ai premi Nobel non può mancare, per finire, forse la più famosa: quella tra l’inglese Raymond Ross e il nostro G. Battista Grassi sulla quale ha riportato con devozione e coscienza l’attenzione il prof. Ernesto Capanna dell’ateneo romano, ai cui recenti lavori64-67 devo le notizie con cui terminerò, rimandando proprio a questi lavori chi volesse esserne maggiormente informato. Come si sa fin dai primi anni di studio della Medicina, la malaria è stata in Italia una malattia sociale di estrema importanza; al contrario di quanto accedeva per i medici inglesi e francesi, per i quali la malaria era in fondo una malattia coloniale, praticamente sconosciuta in patria, per il medico italiano la malaria era pane e tragedia quotidiani. La malaria era diffusa in moltissime regioni del Paese, sia al nord che al sud, e non fa quindi meraviglia che essa venisse studiata da noi con particolare cura, attenzione e interesse. A Roma, poi, dove Grassi era arrivato nel 1898 come professore di anatomia comparata, esisteva una eccellente scuola malariologica di cui facevano parte tra gli altri, Marchiafava, Celli, Bignami, Bastianelli cui si unì lo stesso Grassi che dedicò il complesso dei suoi studi sulla malattia68 a Giustino Fortunato, il meridionalista, a conferma del carattere e dell’importanza sociale che questi studi avevano assunto. Nella dedica al Fortunato, Grassi accenna alle polemiche che si erano venute sviluppando tra lui e l’inglese Ross in merito alla priorità delle ricerche, questione per la quale rimando ancora ai lavori appena citati. La cosa ebbe conseguenze notevoli, perché nel 1901-1902 il comitato del Nobel discusse proprio della assegnazione del premio per le scoperte sulla malaria valutando i rispettivi meriti di Grassi e di Ross; nell’incertezza che si venne a creare, il comitato richiese una sorta di arbitrato ad una autorità terza, che venne scelta nella persona, ritenuta autorevole, di Robert Koch. Sfortunatamente per Grassi, poco tempo prima Koch era venuto in Italia, a Grosseto, tra l’altro zona malarica per eccellenza, e alcune sue tecniche erano state criticate da Grassi; il parere di Koch fu favorevole a Ross, al quale il premio venne assegnato. Ross, che già da tempo aveva iniziato un’opera violenta di denigrazione verso Grassi, la continuò per anni (la lapide che in India ricorda i primi studi di Ross gli si attribuisce il merito di aver lavorato sulla zanzara del genere anofele; una precisazione, quella del genere del vettore interessato dalla malaria, che Ross non era mai stato in grado di fare, se non altro per la sua preparazione di medico coloniale e non di zoologo come invece era Grassi). La polemica tra i due durò anni - anche dopo che la delusione per il mancato riconoscimento aveva portato Grassi ad abbandonare i suoi studi sulla malattia - e raggiunse un nuovo apice quando, nel 1923 Ross pubblicò una sua biografia69 con un intero capitolo (da pagina 396 a pagina 412) dedicato fin dal titolo a “Roman brigandage” e in cui apostrofa Grassi (ma anche i suoi colleghi romani) in modo decisamente “unfair”, con un linguaggio che non gli era nuovo e che gli era stato rimproverato anche nel suo Paese molti anni prima (nella biografia Ross ricorda in nota che il British Medical Journal già l’11 giugno 1904 “reproved me for taking up the position against the italians”). Grassi ovviamente rispose70, rovinandosi definitivamente gli ultimi mesi di vita. Abbastanza di recente, un olandese, Jan Peter Verhave, ha pubblicato un articolo71 in cui ricorda che un altro inglese, Clifford Dobell scrivendo a Paul de Kruif, il medico scrittore che poi avrebbe raccontato la vicenda Ross-Grassi nel suo diffusissimo libro “Cacciatori di microbi” (quello già ricordato all’inizio), aveva preso decisamente posizione a favore di Grassi, al punto che poi non aveva gradito troppo la posizione equilibrata esposta nel libro. Oggi72-75 vi è un quasi unanime accordo tra gli storici delle medicina nell’ammettere che sia Ross sia Grassi ebbero un ruolo notevole e pari nella vicenda che li vide coinvolti.
Non solo gli uomini di scienza, potremmo dire, ma anche coloro che li giudicano sono, come si vede, uomini come noi.
a. M.C. Escher (1898-1972) è stato un incisore e grafico olandese i cui lavori sono stati molto apprezzati e studiati anche da scienziati logici, matematici e fisici.aM.C. Escher (1898-1972) è stato un incisore e grafico olandese i cui lavori sono stati molto apprezzati e studiati anche da scienziati logici, matematici e fisici.
b. La vignetta è apparsa per la prima volta il 23 ottobre 1892 in “Fliegende Blätter” (“Fogli volanti”), un giornale umoristico pubblicato a Monaco; la didascalia diceva: “Esistono animali più simili?”. Il disegno è diventato anche una scultura di Paul St. George, un artista multimediale inglese contemporaneo.
c. Massimo Lopez, di cui è nota la cultura in campo di neoplasie, ha di recente raccontato da par suo lo scorrere nel tempo dei diversi “paradigmi” che hanno dominato il settore dei “tumori”7
d. http://www.butac.it/luniversita-berna-einstein/ (visitato agosto 2016)
e. L’osservazione è rivolta particolarmente ai giovani colleghi, troppo spesso, forse, propensi a dare a Internet una autorità che può non avere (o non può avere).
f. La lettera, pubblicata più volte, è stata riconosciuta propria in un Editoriale pubblicato, molti anni dopo sulla stessa rivista Nature9.
g. Sul problema della revisione dei lavori scientifici in genere al fine della loro pubblicazione (problema che da qualche tempo non solo è all’attenzione del mondo della cultura, ma va incontro alle ulteriori difficoltà prospettate dal web) si veda: David Shatz: “Peer review, a critical inquiry”. Rowman & Littlefield, Oxford, 2004.
h. Warren così si esprime30 : “Obviously, as with any new discovery, there is an element of luck, but I think my main luck was in finding something so important. I think the best term is serendipity; I was in the right place at the right time and I had the right interests and skills to do more than just pass it by”.
i. Una traduzione benevola potrebbe essere: “Sua Maestà il Professore”; il termine sta anche per “consigliere segreto”.
j. Le più note38, 39 furono quelle di Ludwig Zuelzer (le cui proteste furono abbastanza marcate), di Israel Kleiner (che invece, malgrado molti elementi fossero a sua favore, non se la prese più di tanto, arrivando in vecchiaia a scrivere filastrocche per i nipotini) e di Eugène Gley, un fisiologo francese piuttosto noto che addirittura nel 1905 aveva depositato in busta chiusa –come a volte si faceva- una nota su alcuni suoi esperimenti presso la Société française de Biologie; quando nel 1922 nella seduta del 22 dicembre il Presidente, che era Minkowsky, dette comunicazione dei dati dei canadesi, Gley chiese che si aprisse la sua busta di 17 anni prima e si constatò che effettivamente egli era arrivato a ottenere un estratto di pancreas indubbiamente dotato di attività; alle vibranti proteste di Gley, Minkowskj, che era dotato di un notevole spirito rispose: “Capisco perfettamente cosa prova, caro Gley; anch’io sono molto dispiaciuto per non aver scoperto l’insulina, pensando poi a quanto ero stato vicino a quel punto !!”
k. Christine Johnson, che ebbe un parente prossimo gravemente leso dalla lobotomia, ha lanciato una campagna sul suo sito web58 anche a nome di un gruppo di vittime dell’intervento e delle loro famiglie. La Johnson ha chiesto che la Fondazione Nobel ritiri il Premio assegnato a Moniz (che è morto nel 1955 a seguito anche di un colpo sparatogli forse da un suo malato, che lo ridusse in carrozzella per alcuni anni), ma la Fondazione le ha scritto nel 2004 rifiutando di togliere Moniz dal novero dei premiati, sebbene abbia aggiunto di essere ben cosciente che “la professione medica è in grado di offrire oggi terapie molto più umane e efficaci per alcuni malati mentali gravi”.
l. Il caso più recente è quello riferito da un sito TFE (thefinaledition) il 5 agosto 2016 secondo cui Thorbjorn Jagland, oggi Presidente del comitato del Nobel per la pace, ha detto, parlando anche a nome di altri quattro membri dello stesso comitato, che il Presidente Obama dovrebbe realmente pensare di considerare la sua rinuncia immediata al premio assegnatogli anni fa. L’attendibilità del sito è da verificare, ma forse anche quella del Nobel ad Obama.
BIBLIOGRAFIA