Prof. Nicola Ferrara

Ordinario di Medicina Interna e Geriatria, Dipartimento di Scienze Mediche Traslazionali, Università degli Studi di Napoli “Federico II”. Presidente della Società Italiana di Gerontologia e Geriatria

Articolo pubblicato in:

Anno Accademico 2016-2017

Vol. 61, n° 1, Gennaio - Marzo 2017

Simposio: Il paziente anziano ovvero la Medicina delle complessità!

10 gennaio 2017

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Aspetti demografici ed epidemiologici dell’invecchiamento

N. Ferrara, G. Corbi

Premessa

L’invecchiamento è un fenomeno universale che coinvolge tutti gli esseri viventi e si esprime come un progressivo declino delle riserve funzionali e più tardivamente delle funzioni. Complessivamente il fenomeno ha delle sue peculiarità (per esempio la durata massima della vita) specie-dipendenti, tuttavia esso si presenta in maniera differenziata sia tra i singoli individui della stessa specie sia nei differenti organi ed apparati del singolo soggetto. L’invecchiamento è un elemento fisiologico e non è sinonimo di malattia, tuttavia con l’età si osservano a) un incrementato rischio di sviluppare malattie, b) significative modifiche della composizione biochimica dei tessuti con una alterazione del rapporto massa magra/massa grassa, c) un decremento delle capacità funzionali, d) una riduzione della capacità di adattarsi agli “stressor” esterni, e) un incremento della vulnerabilità (la cosiddetta “fragilità primaria”), f) un aumentato rischio di “fragilità secondaria” (da disabilità e comorbilità), g) un incremento esponenziale della mortalità.

 

Aspetti demografici

Prima di entrare nel merito degli aspetti demografici è necessario ricordare che l’aspettativa di vita è il numero medio di anni che un individuo può aspettarsi di vivere a partire dalla sua nascita e, insieme al tasso di mortalità ed all'indice di mortalità infantile, è un buon indicatore del livello dello stato sociale, ambientale, sanitario e della qualità di vita in cui vive una determinata popolazione.

A partire dalla seconda metà del IX secolo fino all’inizio del XXI secolo si è  osservata una cosiddetta “rettangolarizzazione” delle curve di sopravvivenza caratterizzate da una progressiva riduzione della mortalità per malattie infettive e degli incidenti mortali nelle popolazioni più giovani1. Interessanti sono le osservazioni di Coller2 che, indicando il 1840 come linea di cut-off nella storia dell’umanità per separare un’era cosiddetta “prescientifica” da un era cosiddetta “scientifica”, ha evidenziato che per guadagnare un singolo anno di aspettativa di vita nei 200.000 anni precedenti al 1840 erano necessari approssimatamene 10.000 anni, mentre nei successivi  170 anni dell’era scientifica ne erano richiesti meno di 5 anni.  Durante i primi 100 anni dell’era scientifica tra il 1840 ed il 1940 l’incremento della aspettativa di vita era primariamente dovuto a miglioramenti nella igiene (per esempio il lavaggio delle mani con la drammatica riduzione delle febbri puerperali), all’accesso all’acqua pulita, ai primi tentativi di vaccinazioni ed all’introduzione della microbiologia medica. Durante questo periodo, i bambini, particolarmente vulnerabili alle malattie infettive, furono i maggiori beneficiari di questi avanzamenti scientifici. Insieme al trattamento ed alla prevenzione della malattie infettive, anche il miglioramento delle condizioni ambientali e di lavoro, delle abitudini alimentari e comportamentali hanno determinato l’incredibile incremento dell’aspettativa di vita che ha caratterizzato tutto il Ventesimo secolo. Per il combinato disposto dell’incremento della aspettativa di vita e della riduzione della natalità tra il 2000 ed il 2030 è atteso il raddoppio della popolazione di anziani nel mondo permettendo di definire globalizzato il fenomeno dell’invecchiamento.

L’aspettativa di vita secondo l’Organizzazione Mondiale della Salute (OMS), si attesta nel 2016 intorno a 71.4 anni, con un’aspettativa maggiore nelle donne rispetto agli uomini in ogni parte del mondo3. Si stima che la maggior parte delle persone può aspettarsi di vivere oltre 60 anni, in relazione, nei Paesi meno sviluppati, soprattutto ad una riduzione della mortalità giovanile4, e nei Paesi ad alto reddito, per l'aumento della speranza di vita degli ultra60enni5, 6. In particolare in 12 Paesi Europei, tra cui l’Italia, nel 2015 si evidenziava un’aspettativa di vita che superava gli 82 anni, con le donne che vivono più a lungo degli uomini come in ogni parte del mondo.

I dati EUROSTAT mostrano che gli ultra65enni hanno rappresentato nel 2015 il 18.9% della popolazione totale7. Il confronto tra 2015 e le stime del 2080 mostra come la popolazione europea continuerà ad invecchiare, soprattutto per il progressivo invecchiamento dei cosiddetti “baby boomer”8.Particolarmente interessante è il progressivo invecchiamento della popolazione anziana in sé con l’incremento esponenziale delle coorti degli ultra80enni e dei centenari con il quasi raddoppio dell’indice di dipendenza degli anziani (ossia il rapporto tra popolazione anziana e popolazione in età lavorativa [15-64 anni]) che passerà dal 28,8% nel 2015 al 51,0% entro il 20808. Dati Istat 2016 dimostrano un’Italia al terzo posto in Europa per longevità, con un’aspettativa di vita di 84.7 anni per le donne e di 80.1 anni per gli uomini, ed una previsione per il 2065 del raggiungimento di 91.5 anni per le donne e 86.6 anni per gli uomini9. Mentre le donne vivono più degli uomini (meno del 20% degli ultra centenari sono uomini), gli uomini  si risposano più frequentemente per cui le donne sono molto spesso single. Le donne, che spesso non hanno adeguate risorse finanziarie, trascorrono, quindi, più anni della loro vita in condizioni di disagio rispetto agli uomini.

Un interessante indicatore di salute globale di una popolazione è considerata l’aspettativa di vita in buona salute, che rappresenta il numero medio di anni in piena salute che un neonato potrebbe aspettarsi di vivere considerando i tassi di mortalità specifici per età e i livelli medi età-specifici dello stato di salute per un determinato periodo10.

L’intervallo tra l’aspettativa di vita globale e l’aspettativa di vita in buona salute di fatto rappresenta  il tempo medio durante il quale le condizioni di vita della popolazione sono caratterizzate da comorbilità e disabilità. I principali determinanti di tali condizioni sono le malattie cronico-degenerative (particolarmente la depressione, disturbi neurologici, perdita del visus e dell’udito, malattie cardiovascolari e diabete). Va sottolineato che in Italia a fronte dell’allungamento della vita media, migliora anche la qualità della sopravvivenza: a 65 anni la speranza di vita senza limitazioni funzionali nel 1994 era pari a 12.7 anni per gli uomini e 14.2 per le donne; nel 2013 raggiunge rispettivamente 15.5 anni per gli uomini e 16.2 per le donne11.

 

Aspetti epidemiologici

L’invecchiamento non è un processo omogeneo. Vi sono soggetti anziani il cui invecchiamento può essere definito “di successo” (il cosiddetto “successfull aging”) caratterizzato sia dall'assenza di malattie croniche significative, sia da un livello di salute percepito come soddisfacente, sia dalla presenza di autosufficienza con soddisfacente capacità di orientamento temporo-spaziale. In altri anziani è possibile osservare il declino di numerose funzioni di organi ed apparati, associato alla presenza di almeno due malattie croniche, rappresentando il cosiddetto “invecchiamento usuale” (“usual aging”). In altri ancora l’invecchiamento è caratterizzato dalla perdita di autosufficienza, da una grave riduzione delle capacità cognitive e dalla presenza di numerose malattie cronico-degenerative (“invecchiamento catastrofico”), che conduce rapidamente a quella condizione di fragilità che caratterizza la fascia di popolazione anziana più debole ed a rischio di istituzionalizzazione. 

Nel 2016 secondo l’OMS le malattie croniche non trasmissibili hanno rappresentato la causa principale di perdita di salute in più della metà dei casi12. Dati Eurostat mostrano come le persone anziane (≥65 anni) rappresentassero più di 2/5 (42.2%) di tutte le persone disabili dell’Unione Europea nel 2012 , con una probabilità pari a 4.2 volte in più per i soggetti di ≥65 anni di riportare una disabilità rispetto ai soggetti di età compresa tra 15 e 44 anni13.

In Italia, la generazione “baby boomer” (gli individui nati tra il 1945 ed i primi anni 60) nel 2013 è arrivata alla soglia dell’età anziana in condizioni di salute migliori rispetto alle generazioni precedenti: è più bassa la quota delle limitazioni funzionali e quella di chi dichiara di stare male o molto male. Il progressivo invecchiamento determina livelli complessivamente crescenti di patologie croniche nel totale degli anziani, anche se l’analisi per generazione mette in mostra, in particolare tra i giovani anziani (65-74 anni), come la presenza di malattie croniche gravi si stia riducendo nel tempo soprattutto come conseguenza delle azioni preventive messe in atto in questi anni. Nello specifico dati Istat 2015 mostrano come il 24.8% degli ultra75enni goda di buona salute, mentre l’85.2% ed il 65.4% sia affetto rispettivamente da almeno 1 o 2 malattie croniche. Mentre tra i soggetti ultra75enni affetti da patologie croniche, il 20.4% risulta essere in buona salute, l’88.1% di essi ha fatto uso di almeno 1 farmaco quando si analizzano i 2 giorni precedenti all’osservazione (elaborazione da dati I.Stat 2016. http://dati.istat.it).

Il trend demografico ed epidemiologico legato all’invecchiamento ha avuto come diretta conseguenza l’uso contemporaneo di più farmaci prescritti (politerapia), nonché l’utilizzo di più farmaci non prescritti (e/o l’eccessiva somministrazione di farmaci prescritti), non tutti strettamente necessari ad una cura appropriata (polifarmacia). Va ricordato che sia la politerapia che la polifarmacia rappresentano importanti fattori di rischio per insorgenza di reazioni avverse da farmaci, ritenute responsabili di scarsa qualità di vita, ospedalizzazioni ripetute ed incremento dei costi e della mortalità. Una ulteriore problematica è quella relativa all’uso dei farmaci da banco che, nei Paesi occidentali, rappresenta un fenomeno di crescente rilevanza. È importante evidenziare che gli anziani ricevono in media 6-7 farmaci.

Dal 2011 al 2015 si assiste ancora ad un incremento dell’uso di farmaci che nei soggetti ultra65enni passa dal 79.6% del 2011 al 82.1% del 2015, con un aumento nel consumo anche in relazione all’età (75.8% nei soggetti tra 65-74 anni  contro l’88.1% degli ultra75enni)14.

È ben noto che le modificazioni età-dipendenti della cinetica e della dinamica dei farmaci, insieme all’incrementato numero età-dipendente dei farmaci assunti, sono strettamente legati agli eventi avversi che possono rappresentare un'importante causa di morbilità e possano causare tra il 10% e il 30% di tutti i ricoveri ospedalieri nei pazienti più anziani15, e studi hanno dimostrato come in soggetti anziani il 52.3% assuma più di un farmaco inappropriato in terapia16. Si evidenzia come il 44.8% delle segnalazioni di reazioni avverse a farmaci (escluso i vaccini) interessi soggetti di ≥65 anni17.

Per quanto riguarda le ospedalizzazioni, sebbene il numero di ricoveri totali sia andato costantemente riducendosi (da oltre 12,8 milioni nel 2001 a 9,4 milioni nel 2014) (-26.7%), interessando unicamente la componente per acuti (-29.2%), che costituisce il principale motivo di ricovero (91.1% nel 2014), nella popolazione geriatrica il 45.1% degli uomini di ≥65 anni (24.7% in quelli di ≥75 anni) ed il 40.8% delle donne della stessa età (23.9% in quelle di ≥75 anni) nel 2014 risultava essere stato sottoposto a ricovero. Inoltre, a differenza di quel che accade nella popolazione generale, in confronto al 2001,nel 2014 i ricoveri delle persone di ≥75 anni hanno presentato un aumento del costo pari al 7.3% negli uomini e una stabilità nelle donne, probabilmente come effetto della gravità dei quadri patologici18.

 

Definizione di Fragilità

La definizione di “fragilità” sia a livello nazionale che internazionale è stata lungamente dibattuta nell’ambito della comunità scientifica geriatrica. Secondo Fried la fragilità può essere definita come una condizione caratterizzata da una riduzione della riserva funzionale con incremento della vulnerabilità età-dipendente (la cosiddetta fragilità pre-clinica) (Tab. 1)19. Eventi acuti, che in soggetti non fragili possono essere facilmente gestiti, fanno precipitare il quadro clinico in soggetti con fragilità preclinica.

Il quadro di fragilità preclinica si aggrava ulteriormente in presenza di caratteristiche peculiari della fragilità clinica che comprende la comorbilità, la polifarmacoterapia (con relativo elevato rischio di danno iatrogeno), criticità socio-economica, caratteristiche che sfociano inesorabilmente verso un quadro di disabilità grave. Tale fenotipo clinico è stato proposto da Rockwood e al.20 che pongono la malattia e la disabilità al centro della fragilità (Tab. 2).

Gli indici di Fried e di Rockwood  sicuramente rappresentano gli indici più utilizzati nella definizione della fragilità, ma anche quelli che hanno avuto più conferme dal punto di vista del valore prognostico in letteratura.  Rispetto all’indice di Fried,  quello di Rockwood sembra essere un fattore predittivo più sensibile per esiti negativi per la salute, a causa della sua scala di rischio più finemente graduata e l'inclusione di deficit che probabilmente hanno relazioni causali con outcome clinici avversi 20.

 

Conclusioni

Per rispondere alle sfide che la demografia e l’epidemiologia stanno proponendo alle nostre società, anche quelle ad elevato tenore di vita, è necessario rivedere le strategie assistenziali e sanitarie finora seguite. In particolare gli interventi assistenziali diretti all’anziano, inteso come soggetto fragile e malato complesso, devono essere pianificati ed attuati, per avere efficacia, nell’ambito di una rete della cura continuativa geriatrica. Infatti la cura continuativa geriatrica ha dimostrato la capacità di a) ridurre la mortalità, b) migliorare la capacità funzionale, c) ridurre la  istituzionalizzazioni e d) avere effetti favorevoli sulla soddisfazione di pazienti, familiari e personale addetto all’assistenza.

Gli interventi devono rispondere ad una logica multidisciplinare e multiprofessionale e svolgersi in strutture specificamente organizzate, mentre il criterio per l’ammissione nella rete della cura continuativa geriatrica non deve essere legato all’età, ma dovrebbe essere riservato essenzialmente agli anziani “fragili”, dopo un’attenta valutazione multidimensionale utilizzando strumenti validati e condivisi. Tali strumenti di valutazione  possono (anzi devono) essere utilizzati anche in diversi setting assistenziali per acuti, inclusi i reparti ospedalieri specialistici e chirurgici.

 

 

 


BIBLIOGRAFIA

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